Cosa cambia coi quesiti del Referendum 2025 su lavoro e cittadinanza se vince il Sì

Quali sono le norme al centro dei referendum 2025 su lavoro e cittadinanza, come funziona ora e cosa cambierebbe con la vittoria del Sì

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Domenica 8 e lunedì 9 giugno gli italiani saranno chiamati al voto su 5 referendum abrogativi in tema di lavoro e cittadinanza. I risultati saranno validi solo se verrà raggiunto il quorum, ovvero se avrà votato il 50% più uno degli aventi diritto, quindi circa 25 milioni di persone. I cittadini sono chiamati a esprimersi sulla cancellazione di alcune norme: chi vota Sì si esprime a favore della cancellazione di queste norme, chi vota No per mantenerle valide.

Jobs act e licenziamenti illegittimi

Il primo referendum, quello riportato sulla scheda verde, propone di abrogare il decreto legislativo 23 del 2015, uno dei provvedimenti attuativi del Jobs act, la riforma sul lavoro promossa dall’allora premier Matteo Renzi.

La norma riguarda le tutele per i lavoratori in caso di licenziamento illegittimo nelle aziende con più di 15 addetti.

ReferendumFonte foto: ANSA

Se vince il Sì tornerebbe in vigore la legge Fornero del 2012, che aveva riformato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970.

Con la vittoria del Sì tornerebbe dunque ad aumentare il numero dei casi in cui i lavoratori licenziati possono ottenere il reintegro, in particolare nei casi di licenziamenti collettivi.

Verrebbe però ridotto il limite massimo dei risarcimenti che i lavoratori possono richiedere: dalle 36 mensilità attuali (norma introdotta nel 2018 dal primo governo Conte) alle 24 della legge Fornero.

Indennità nelle piccole aziende

Il secondo quesito referendario, su scheda arancione, riguarda l‘indennità di licenziamento illegittimo dei dipendenti nelle piccole imprese.

Nello specifico, si propone l’abolizione delle norme che fissano un tetto di 6 mensilità per l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo dei lavoratori delle imprese fino a 15 dipendenti e di 14 mensilità per i dipendenti delle aziende con non più di 60 addetti ma suddivisi in unità produttive con massimo 15 dipendenti.

Se vince il Sì verrebbero rimossi questi limiti e spetterà al giudice stabilire liberamente l’ammontare del risarcimento in base alla singola situazione.

Causali per i contratti a termine

Il terzo referendum (scheda grigia) riguarda un altro pezzetto del Jobs act e propone di abrogare l’articolo 19 del decreto legislativo 15 giugno 2015 che disciplina la durata dei contratti a termine senza causali fino a 12 mesi.

Attualmente i datori di lavoro possono assumere con contratti a tempo determinato della durata fino a 24 mesi, ma solo dai 12 mesi in su è necessaria indicare una motivazione.

Con la vittoria del Sì, le aziende dovranno indicare la causale anche per i contratti a termine inferiori a 12 mesi, come da contratto collettivo.

Appalti e responsabilità solidale

Il quarto quesito (scheda rossa) riguarda la responsabilità solidale tra impresa committente e impresa appaltatrice in caso di incidenti sul lavoro.

La legge attualmente in vigore, del 2008, prevede una eccezione ai rimborsi quando i danni sono una “conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici”.

Il referendum propone di abrogare l’articolo 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008 che prevede questa eccezione.

Dunque con la vittoria del Sì la responsabilità del committente si estenderebbe anche ai casi di “rischi specifici“.

Cittadinanza italiana

Il quinto referendum, quello stampato su scheda gialla, non riguarda il tema del lavoro ma quello della cittadinanza.

Si chiede di abrogare l’articolo 9, comma 1 legge 5 febbraio 1992, n. 91, solo nella parte relativa al tempo minimo di residenza legale in Italia necessario ai cittadini extra-comunitari maggiorenni per richiedere la cittadinanza italiana.

Con la legge in vigore servono 10 anni di residenza in Italia senza interruzioni per poter chiedere la cittadinanza.

Con la vittoria del Sì questo tempo minimo verrebbe dimezzato e tornerebbe a 5 anni, come era prima del 1992. Gli altri requisiti (reddito e lingua italiana) restano inalterati.

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