Info utili – Virgilio Motori https://www.virgilio.it/motori Consigli e novità su Auto e Moto Mon, 09 Jun 2025 07:12:37 +0000 it-IT hourly 1 237892327 Sciopero dei trasporti 09 giugno 2025: città, orario inizio e fine https://www.virgilio.it/motori/info-utili/scioperi/sciopero-trasporti-09-giugno-2025/278791/ Mon, 09 Jun 2025 06:13:30 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278791 Il 09 giugno 2025 è previsto uno sciopero nel settore dei trasporti in Italia. In particolare, si registrerà uno sciopero di 8 ore, che si svolgerà dalle 16.00 alle 23.59. Questo sciopero coinvolgerà il personale della società Medway Italia e sarà indetto dal sindacato USB Lavoro Privato. Di seguito, i dettagli dello sciopero previsto.

Sciopero dei trasporti Italia

È indetto uno sciopero di 8 ore, dalle 16.00 alle 23.59, per il servizio di trasporto merci, che coinvolge il personale della società Medway Italia. Lo sciopero è indetto dal sindacato USB Lavoro Privato.

°Fonte: https://scioperi.mit.gov.it/mit2/public/scioperi

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Sciopero dei trasporti giugno 2025: calendario e orari città per città https://www.virgilio.it/motori/info-utili/scioperi/sciopero-trasporti-date-orari-citta/278789/ Mon, 09 Jun 2025 06:13:21 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278789 Nel mese di giugno 2025 sono previsti diversi scioperi nei settori dei trasporti in Italia. Gli scioperi coinvolgeranno vari servizi, tra cui trasporto merci, ferroviario e trasporto pubblico locale, con modalità e orari specifici. Di seguito, il calendario dettagliato degli scioperi previsti per il mese di giugno 2025.

Sciopero 09 giugno 2025

Nella città di Italia è indetto uno sciopero di 8 ore, dalle 16.00 alle 23.59, per il settore del trasporto merci, che coinvolge il personale della società Medway Italia. Lo sciopero è indetto dal sindacato USB LAVORO PRIVATO.

Sciopero 14 giugno 2025

Nella regione Sardegna, è previsto uno sciopero di 24 ore, dalle 21.00 del 14/6 alle 20.59 del 15/6, nel settore ferroviario. Questo sciopero coinvolge il personale della società RFI Sala Circolazione e Orario di Cagliari e Unità Circolazione Sardegna, ed è indetto dal sindacato OSR UILT-UIL.

Sciopero 15 giugno 2025

Nella città di Napoli, è indetto uno sciopero di 4 ore, dalle 12.45 alle 16.45, per il trasporto pubblico locale, che coinvolge il personale della società ANM di Napoli. Lo sciopero è indetto dal sindacato OSR FISI.

Sciopero 16 giugno 2025

Nella regione Lombardia, è previsto uno sciopero di 23 ore, dalle 03.00 del 16/6 alle 02.00 del 17/6, nel settore ferroviario. Questo sciopero coinvolge il personale della società Trenord ed è indetto dal sindacato OSR ORSA FERROVIE.

Sciopero 20 giugno 2025

Nella città di Italia, sono previsti diversi scioperi per l’intera giornata. Il primo è un sciopero generale che coinvolge le categorie pubbliche e private, con modalità variabili per aereo, ferroviario, autostrade, TPL, marittimo e porti. Questo sciopero è indetto dai sindacati CUB/SGB/USB.

Inoltre, un altro sciopero generale, sempre per l’intera giornata, coinvolge il settore ferroviario, con modalità dalle 21.00 del 19/6 alle 21.00 del 20/6. Questo sciopero è indetto dal sindacato SI-COBAS.

Infine, un ulteriore sciopero di 8 ore, dalle 13.00 alle 21.00, coinvolge il personale della società Captrain Italia nel settore del trasporto merci, ed è indetto dai sindacati FILT-CGIL/FIT-CISL/UILT-UIL.

°Fonte: https://scioperi.mit.gov.it/mit2/public/scioperi

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Lucidante auto spray o cera tradizionale: il migliore per il fai da te https://www.virgilio.it/motori/info-utili/cera-auto-lucidante-spray/281540/ Mon, 09 Jun 2025 04:30:32 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281540 Durante l’utilizzo quotidiano, la vernice delle auto viene messa a dura prova. Agenti esterni, come sporco o moscerini, giocano la loro parte, ma anche il semplice calcare dell’acqua o l’asciugatura possono creare dei micro graffi (chiamati swirl) che vanno a penalizzare la resa estetica della carrozzeria. Sui colori più scuri, in particolare, non è raro vedere auto quasi nuove che sembrano più vissute della propria età. Questo potrebbe essere evitato grazie a un processo di lucidatura e qualche accortezza, anche senza doversi rivolgere a centri specializzati dai costi non propriamente abbordabili.

Una lucidatura fatta in casa permette, con una spesa contenuta, di rendere l’auto più appagante esteticamente, ma non solo: il trattamento lucido fornisce alla vernice uno strato protettivo che la mantiene nuova più a lungo. Ci vuole un po’ di tempo e i prodotti giusti, ma un ottimo risultato è alla portata di tutti, basta seguire la tecnica corretta. Un tempo c’erano solo le paste a base di cera naturale, ma con l’aggiornarsi delle tecnologie sono arrivati tanti nuovi lucidanti a base sintetica spray, nonostante molti sostengano che il metodo tradizionale rimanga il migliore. Insomma, facciamo chiarezza per semplificare questo imbarazzo della scelta.

Cera tradizionale: cos’è, pregi e difetti

La cera per auto esiste da decenni, ed è ancora oggi uno dei metodi più utilizzati per ottenere un effetto lucido duraturo. Può presentarsi in pasta, crema o forma liquida e va applicata con una spugna apposita. Dopo qualche minuto, si rimuove l’eccesso con un panno in microfibra pulito, rivelando una carrozzeria brillante e protetta.

Tra i vantaggi più evidenti c’è la resistenza agli agenti atmosferici: pioggia, sole, smog. Inoltre, forma una vera e propria barriera contro piccoli graffi e impurità. Certo, richiede più tempo e attenzione. Non è proprio un’operazione da pochi minuti, perché il prodotto deve asciugare. E se è la prima volta, è facile sbagliare le dosi o i movimenti. Il risultato però è invidiabile e la durata può arrivare anche a 6 mesi.

Lucidante auto spray: cos’è, pregi e difetti

Lo spray lucidante è la risposta contemporanea alla necessità di un prodotto veloce e facile da applicare. È perfetto se si vuole un risultato rapido, anche senza esperienza. Anche con i lucidanti sintetici di nuova generazione ci sono delle regole ferree da seguire, come un pretrattante a base alcool e il metodo di applicazione.

Il rovescio della medaglia? La protezione dura meno. Se l’auto è spesso all’aperto sotto agenti atmosferici dovrai applicarlo più spesso. Ma per mantenere un’auto sempre in ordine, lo spray può diventare un fedele alleato, specialmente se per lavarla ci si rivolge a un autolavaggio self service.

I trucchi per una lucidatura fai da te

Prima di tutto, la lucidatura va fatta su un’auto pulita, asciutta e all’ombra. Non è una buona idea applicare il prodotto sotto il sole, soprattutto d’estate: rischi di ottenere aloni e striature. La cera in pasta va stesa sull’auto con l’apposito tampone morbido in spugna attraverso un movimento lento e circolare, dopo di che va lasciata asciugare da 10 a 20 minuti e rimosso l’eccesso con un panno in microfibra pulito. Stesso procedimento dei prodotti lucidanti in crema, ma con tempi di posa solitamente ben più brevi.

Con i lucidanti spray per auto, il momento più delicato è quello della pulizia pre-trattamento. Dopo aver lavato e asciugato normalmente la vettura, bisogna applicare un decontaminante a base di alcool isopropilico per assicurarsi un’aderenza perfetta del lucidante. Il prodotto lucidante va spruzzato su un panno apposito e steso su una piccola superficie con movimenti lenti e rettilinei, prima in una direzione poi in quella incrociata. Bisogna attendere solo pochi secondi per rimuovere l’eccesso con un panno in microfibra pulito.

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Qual è la multa se si viene pizzicati su un monopattino senza indossare il casco https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/multa-monopattino-senza-casco/281893/ Mon, 09 Jun 2025 04:00:41 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281893 I monopattini elettrici riempito le strade con un’alternativa ecologica, agile e tecnologicamente accessibile. Insieme ai vantaggi sono emersi dubbi sulla gestione di comportamenti scorretti e rischi legati alla sicurezza individuale.

Per rispondere a questa situazione, il legislatore è intervenuto con una revisione del Codice della Strada, che ha reso obbligatorio il casco per tutti i conducenti di monopattini elettrici, senza distinzioni legate all’età. Si tratta di una decisione presa sulla base di evidenze statistiche e del principio secondo cui ogni mezzo su strada deve sottostare a regole di responsabilità e buon senso condiviso.

La sanzione prevista, quanto costa la disattenzione

Circolare su un monopattino elettrico senza indossare un casco omologato comporta una sanzione che va da 50 a 250 euro, a seconda delle circostanze, dell’eventuale recidiva e del contesto in cui la violazione avviene. Si tratta di una sanzione amministrativa, che può essere elevata dalle forze dell’ordine e che viene notificata anche a seguito di controlli tramite dispositivi mobili o testimonianze acquisite nei centri urbani.

L’assenza del casco viene trattata oggi come una violazione grave delle norme di sicurezza, paragonabile in tutto e per tutto alla guida senza cintura o all’uso del cellulare al volante.

Il casco obbligatorio come risposta a un cambiamento culturale

L’introduzione dell’obbligo del casco per i conducenti di monopattini elettrici segna un punto di svolta nella cultura della mobilità urbana in Italia. Fino a pochi anni fa, il monopattino veniva percepito come un dispositivo ludico, privo di implicazioni di sicurezza, ma l’esplosione del suo utilizzo in ambito urbano ha imposto una nuova visione, più matura e strutturata.

Le regole introdotte non sono pensate per scoraggiare l’utilizzo del mezzo, ma per responsabilizzarne l’uso con l’elevazione al livello di altri veicoli soggetti a norme. Questo cambiamento racconta di un’evoluzione nei valori collettivi: muoversi rapidamente non è sufficiente se non lo si fa anche in sicurezza.

Omologazione e conformità

Non basta indossare un qualunque casco per evitare la multa. La normativa impone che l’accessorio utilizzato sia conforme alle norme europee UNI EN 1078 o UNI EN 1080, a seconda del tipo di uso e delle caratteristiche costruttive. Significa che caschi da skateboard, mountain bike o ciclismo urbano possono essere ammessi solo se dotati della certificazione idonea e in buono stato.

Il casco deve coprire la nuca e la parte superiore del cranio, deve essere ben allacciato e privo di danni strutturali. Durante i controlli le forze dell’ordine non si limitano a verificare la presenza del casco, ma possono valutarne l’idoneità e di conseguenza elevare la sanzione se l’accessorio risulta inadatto o non conforme alle specifiche.

Perché il casco è diventato indispensabile

Secondo i dati raccolti dall’Istituto superiore di sanità, oltre la metà dei traumi cranici legati all’uso del monopattino avviene in assenza del casco. Chi si muove in città con questo mezzo sottovaluta la velocità raggiungibile, i pericoli derivanti dalle buche o dalle frenate improvvise, o ancora le manovre imprevedibili di automobilisti e pedoni.

In molti casi un banale impatto a 20 km/h può trasformarsi in un trauma cranico. Il casco non è solo un obbligo giuridico: è uno scudo tra la vita e l’asfalto, un piccolo gesto di protezione che può fare la differenza tra un incidente risolvibile e una tragedia.

Monopattino e traffico urbano, il rischio invisibile

Uno dei motivi per cui il casco è diventato obbligatorio riguarda la vulnerabilità del monopattinista in mezzo al traffico cittadino. A differenza di un motociclista, che spesso è visibile, rumoroso e protetto da strutture più solide, chi viaggia su un monopattino tende a scomparire nel flusso caotico delle auto, dei bus e dei ciclisti.

È facile non essere visti, soprattutto nelle ore notturne o in condizioni meteorologiche difficili. Un ostacolo improvviso, un tombino sollevato, una frenata non prevista: bastano pochi istanti per cadere e sbattere violentemente la testa. Il casco è l’unico strumento immediato che può evitare il peggio.

Le multe come deterrente

L’intento del legislatore è di instillare una nuova cultura della mobilità leggera, fatta di precauzione, rispetto e consapevolezza. La sanzione da 50 a 250 euro, dunque, assume un valore simbolico ed educativo. In molte città, questa disposizione è stata accompagnata da campagne di comunicazione e sensibilizzazione, promosse dai Comuni, dalle Polizie Locali e da enti privati, per spiegare che il rispetto delle regole è un gesto di responsabilità verso gli altri.

In alcune regioni sono previsti anche progetti scolastici e corsi per adulti, che comprendono moduli sulla mobilità sostenibile e sull’uso sicuro del monopattino.

L’aspetto assicurativo, casco come parametro di rischio

Oltre alla legge, anche il mondo delle assicurazioni guarda con attenzione all’uso del casco. Le compagnie che offrono copertura per i monopattini elettrici valutano sempre anche la condotta del conducente come fattore di rischio e possono rifiutare l’indennizzo in caso di incidente se risulta che il conducente era privo di casco, soprattutto in presenza di lesioni alla testa. In pratica non solo si rischia una multa, ma si può perdere anche il diritto a un risarcimento in caso di sinistro. La protezione legale ed economica dipende quindi anche dal rispetto delle norme più basilari di sicurezza personale.

Il monopattino come veicolo a tutti gli effetti

L’equiparazione normativa del monopattino ad altri mezzi di trasporto è ormai un fatto. Chi guida un monopattino elettrico è chiamato a rispettare le stesse regole di prudenza e circolazione che valgono per chi guida una bici elettrica o uno scooter. Oltre all’obbligo del casco sono entrati in vigore anche l’obbligo di assicurazione per responsabilità civile, l’obbligo di targa identificativa adesiva, l’uso di luci anteriori e posteriori, frecce, campanello e doppi freni. Chi circola senza uno o più di questi dispositivi è passibile di sanzione.

La circolazione selvaggia, fatta di soste abusive, contromano o uso su marciapiedi, non è più tollerata. In questo contesto, la mancanza del casco è vista come una violazione della disciplina della mobilità e come tale viene trattata.

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281893 Monopattini e sicurezza, quanto si paga se si circola senza casco
Corsi di educazione stradale, quali vantaggi per i neopatentati https://www.virgilio.it/motori/info-utili/patente/corsi-educazione-stradale-neopatentati/281888/ Sun, 08 Jun 2025 04:30:29 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281888 Superare l’esame di guida e ottenere la patente è il punto di partenza di un percorso che può proseguire con una formazione continua orientata alla responsabilità. Pur avendo completato il percorso didattico previsto per legge, i neopatentati si trovano spesso ad affrontare per la prima volta la complessità reale della guida su strada, fatta di imprevisti, errori altrui, distrazioni ambientali e condizioni climatiche avverse.

È in questo scenario che i corsi di educazione stradale post-patente non si pongono più come aggiornamenti teorici ma strumenti per acquisire padronanza, maturità e autocontrollo. La realtà della strada richiede più di quanto un esame possa testare e la formazione avanzata si pone proprio come ponte tra il permesso di guidare e la capacità di farlo davvero in modo sicuro.

Dai numeri agli insegnamenti

Le statistiche sugli incidenti stradali in Italia, pubblicate da Istat e Aci, mostrano un dato: i neopatentati sono tra i soggetti più coinvolti in sinistri, soprattutto nei primi due anni dal conseguimento della patente. Le cause sono molte volte riconducibili a inesperienza, valutazioni errate delle distanze di frenata, sovrastima delle proprie capacità, ma anche a una carente percezione del rischio.

In questa fascia d’età e d’esperienza, la componente emotiva gioca un ruolo ed è proprio qui che i corsi di guida sicura ed educazione stradale avanzata possono intervenire con efficacia. Non sono solo corsi teorici ripetitivi, ma percorsi attivi, immersivi, svolti con simulatori e test su pista, in grado di modificare il comportamento del conducente più rapidamente di quanto possano fare le sanzioni o le raccomandazioni familiari.

Imparare a leggere la strada prima ancora di guidare

Uno degli insegnamenti più preziosi che un corso post-patente può offrire riguarda la capacità di anticipare il rischio e decodificare i segnali, anche non verbali, che emergono nella circolazione quotidiana. Saper leggere un’incertezza in un incrocio, interpretare l’intenzione di un pedone, riconoscere una curva potenzialmente pericolosa in base alla vegetazione o alla conformazione dell’asfalto: tutto questo non si insegna nelle aule, ma lo si apprende con l’aiuto di istruttori esperti, che mettono a disposizione dei ragazzi anni di esperienza professionale.

La guida è prima di tutto un atto cognitivo che coinvolge attenzione, analisi e decisione, e solo dopo diventa una questione tecnica di sterzo e pedali. Chi ha appena preso la patente può quindi beneficiare in modo enorme da una formazione che lo aiuti a sviluppare questa intelligenza della strada.

Le nuove tecnologie e la guida consapevole

Un altro punto dell’educazione stradale moderna è la familiarizzazione con le tecnologie di bordo, sempre più presenti anche nelle utilitarie. Cruise control adattivo, frenata automatica d’emergenza, mantenimento della corsia, segnalatori d’angolo cieco: sono strumenti che migliorano la sicurezza, ma che richiedono comprensione, attenzione e corretta gestione.

I corsi avanzati spiegano come questi sistemi vadano utilizzati con spirito critico e non come sostituti dell’attenzione. Mostrano i limiti dell’automazione e aiutano i giovani conducenti a integrare questi strumenti in una guida responsabile. In un contesto in cui la digitalizzazione dell’auto è sempre più marcata, insegnare a gestire questi sistemi in modo maturo significa anche educare alla guida del futuro.

Una cultura del rispetto che inizia dal comportamento individuale

Al centro dell’educazione stradale c’è un concetto che trascurato nei programmi ufficiali: il rispetto degli altri utenti della strada. I corsi per neopatentati servono a instillare questa cultura fin dai primi momenti di indipendenza al volante, attraverso esercitazioni, esempi e discussioni guidate su casi reali.

Si impara per esempio che un sorpasso aggressivo o una frenata inutile non sono solo manovre sbagliate, ma atti che possono causare ansia, reazioni imprevedibili e incidenti a catena. Si capisce anche che il rispetto delle distanze di sicurezza non è una formalità, ma un presidio di civiltà condivisa. Ogni gesto sulla strada ha conseguenze e i corsi aiutano a renderle visibili e comprensibili, così da trasformare la guida in un atto sociale, oltre che personale.

Sconto assicurativo e ritorno economico

Oltre ai vantaggi in termini di sicurezza, la frequentazione di corsi di educazione stradale riconosciuti può portare anche benefici economici. Alcune compagnie assicurative premiano i neopatentati che investono nella formazione post-patente con riduzioni sulle polizze.

La sinergia tra pubblico, privato e settore assicurativo è ancora in fase di sviluppo, ma dimostra come il concetto di educazione possa essere premiato e incentivato. In un periodo in cui i costi per assicurare un’auto per un neopatentato possono raggiungere cifre proibitive, poter contare su uno sconto grazie a un corso frequentato è un vantaggio che incoraggia comportamenti virtuosi.

L’autonomia emotiva alla guida

Uno dei temi più sottovalutati nei manuali tradizionali è quello della gestione emotiva del traffico, una componente che incide sul comportamento al volante, soprattutto nei primi anni. I corsi di educazione stradale evoluti comprendono moduli dedicati allo stress, alla gestione dell’ansia, alla prevenzione dell’aggressività e alla consapevolezza del proprio stato psicofisico. Perché un guidatore nervoso, agitato o affaticato è un pericolo per sé e per gli altri, anche se tecnicamente impeccabile.

L’approccio psicologico alla guida insegna che essere rilassati, vigili e sereni è tanto importante quanto saper fare una retro senza toccare il marciapiede. E questo si impara solo con l’esperienza guidata e con l’aiuto di istruttori preparati.

Dalle piste alle strade urbane

Sempre più corsi di guida per neopatentati si avvalgono di simulatori professionali, capaci di riprodurre in ambienti protetti situazioni di pericolo reale. Pioggia, nebbia, ostacoli improvvisi, frenate d’emergenza, incroci complessi: scenari che nella realtà potrebbero essere letali diventano terreno sicuro di prova.

I giovani possono quindi affrontare in anticipo l’emotività del rischio, capire cosa si prova in una situazione-limite e imparare a reagire con lucidità. Questa esperienza pratica è spesso decisiva per evitare comportamenti pericolosi in futuro. Si passa insomma da una guida meccanica a una guida consapevole, pronta, adattiva, che fa la differenza quando si esce da soli per la prima volta con la propria auto.

Un investimento sociale e istituzionale a lungo termine

Alcune Regioni italiane stanno già sperimentando programmi di educazione stradale obbligatoria post-patente, promossi da enti pubblici e autoscuole accreditate. Questi corsi sono gratuiti o finanziati in parte da fondi regionali, proprio perché si riconosce il valore collettivo della prevenzione.

Ridurre il numero degli incidenti significa alleggerire il sistema sanitario, migliorare la qualità dell’aria, abbassare i costi delle assicurazioni e salvare vite.

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281888 Non solo regole, ma consapevolezza: il valore dei corsi di educazione stradale
Camperizzare un furgone, come ottenere la libertà su quattro ruote https://www.virgilio.it/motori/info-utili/camperizzare-furgone-come-fare/281102/ Sun, 08 Jun 2025 04:06:19 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281102 Negli ultimi anni, sempre più persone hanno riscoperto il fascino della vita on the road, scegliendo di abbracciare uno stile di viaggio libero, flessibile e sostenibile. Trasformare un furgone in camper non è solo una scelta economica rispetto all’acquisto di un camper già pronto, ma anche un modo per personalizzare ogni dettaglio del proprio rifugio mobile, rendendolo un’estensione della propria personalità e dei propri sogni.

Dalla progettazione degli spazi interni alla scelta dei materiali, ogni fase della conversione rappresenta un’opportunità per costruire qualcosa di unico: un piccolo mondo su ruote pronto a portarci ovunque desideriamo. In questo approfondimento vedremo passo dopo passo come trasformare un semplice furgone in una casa viaggiante, analizzando gli aspetti tecnici, pratici e normativi da considerare per realizzare un camper fai-da-te funzionale, sicuro e accogliente.

Camperizzare un furgone: pianificazione e progettazione

Prima di sporcarsi le mani, è fondamentale avere un piano dettagliato. È importante decidere il layout interno: dove andranno il letto, la cucina, il bagno (se previsto) e gli spazi di stoccaggio. Considerare le proprie esigenze personali e il tipo di viaggio che si vorrebbe intraprendere. La scelta di fare dei weekend fuori posta o dei viaggi più lunghi, influenzerà il tipo di materiali e attrezzature.

Isolamento

L’isolamento è cruciale per mantenere una temperatura confortevole all’interno del furgone, sia d’estate che d’inverno. I materiali più comuni includono lana di roccia, fibra di poliestere, polistirolo estruso (XPS) o armaflex. È necessario, quindi, applicare l’isolamento su pareti, soffitto e pavimento, assicurandosi di coprire ogni fessura per evitare ponti termici. Questo passaggio contribuirà anche a ridurre il rumore esterno.

Finestre e ventilazione

Installare finestre e oblò non solo migliora l’estetica, ma è fondamentale per la luce naturale e la ventilazione. Scegliere finestre progettate per camper, che offrono una buona tenuta e protezione dai raggi UV. Per la ventilazione, si può considerare l’installazione di un maxi oblò con ventola sul tetto e/o prese d’aria laterali per creare un flusso d’aria costante e prevenire l’accumulo di umidità e condensa.

Impianto elettrico

L’impianto elettrico è il cuore del tuo camper. Sarà necessaria una batteria di servizio (o batterie), un regolatore di carica solare (se si installano pannelli solari), un inverter (per trasformare la corrente continua a 12V in alternata a 220V), fusibili e un quadro elettrico. Pianificare attentamente la posizione delle prese, delle luci e degli elettrodomestici. Se non si ha esperienza, è consigliabile farsi aiutare da un elettricista qualificato per garantire la sicurezza e la conformità alle normative.

Impianto idrico

L’impianto idrico di base prevede serbatoi per acqua potabile e acqua grigia, una pompa dell’acqua e un rubinetto con lavello. È possibile aggiungere uno scaldabagno per avere acqua calda. È fondamentale valutare le dimensioni dei serbatoi in base alla durata media dei viaggi e al consumo previsto. Un sistema di filtrazione può essere un’ottima aggiunta per garantire acqua potabile di qualità.

Costruzioni mobili e arredi

Qui la creatività può davvero esprimersi. I mobili devono essere leggeri ma robusti. Materiali come il multistrato di pioppo o betulla sono ideali. È possibile costruire un letto fisso o trasformabile, una piccola cucina con fornello e lavello, armadietti e mensole. È consigliabile sfruttare al massimo ogni spazio con soluzioni intelligenti come panche con vano contenitore o tavoli pieghevoli.

Finiture interne

Le finiture interne danno il tocco finale al tuo camper. È possibile utilizzare pannelli in legno, rivestimenti in tessuto o vinile per le pareti. Il pavimento può essere rivestito con linoleum, PVC o parquet laminato. Scegliere materiali resistenti all’umidità e facili da pulire. Non dimenticare tende o oscuranti per le finestre, che offrono privacy e protezione dal sole.

Quanto costa camperizzare un furgone

Il costo per trasformare un furgone in camper può variare enormemente a seconda del livello di personalizzazione, dei materiali scelti e se si decide di fare il lavoro da solo o di affidarsi a professionisti. In generale, ci si può aspettare una spesa che va dai 5.000 ai 20.000 € o più:

  • fai da te economico: con buone capacità manuali e usando materiali di recupero o a basso costo, bastano 5.000 – 10.000 €;
  • fai da te di qualità: utilizzando buoni materiali e attrezzature, il costo si aggira tra i 10.000 e i 15.000 €;
  • affidarsi a professionisti: rivolgendosi a un’azienda specializzata nella trasformazione di furgoni, i costi possono partire da 15.000 e arrivare a 30.000 € o più, a seconda della complessità del progetto.

Le voci di costo principali includono: acquisto del furgone, isolamento, finestre/oblò, impianto elettrico (batterie, pannelli solari, inverter), impianto idrico (serbatoi, pompa), mobili, elettrodomestici (frigorifero, fornello) e materiali per le finiture.

A chi rivolgersi

Se non si è sicuri di affrontare l’intero progetto da soli, o se si desidera un risultato professionale e certificato, ci sono diverse opzioni:

  • aziende specializzate nella trasformazione di furgoni in camper: ci sono molte aziende in Italia che offrono servizi di allestimento su misura, dalla progettazione all’installazione di tutti gli impianti e arredi;
  • artigiani o falegnami con esperienza in veicoli: alcuni artigiani qualificati possono aiutare con la costruzione dei mobili su misura, fornendo soluzioni ottimizzate per gli spazi ristretti di un furgone;
  • elettricisti e idraulici specializzati in veicoli: per gli impianti più complessi e delicati, come quello elettrico o idrico, è consigliabile rivolgersi a professionisti che abbiano esperienza con i veicoli di questo tipo.

Che permessi servono

Questo è un aspetto cruciale e spesso sottovalutato. In Italia, un furgone trasformato in camper deve essere omologato comeautocaravan” per poter circolare legalmente. Il processo di omologazione è complesso e prevede diverse fasi:

  • progetto e relazione tecnica: un ingegnere abilitato deve redigere un progetto dettagliato e una relazione tecnica che attesti la conformità dell’allestimento alle normative vigenti;
  • dichiarazioni di conformità: tutti gli impianti (elettrico, gas, idrico) devono essere realizzati a regola d’arte e certificati da installatori qualificati. Bisognerà ottenere le dichiarazioni di conformità per ciascun impianto;
  • collaudo: una volta completato l’allestimento e ottenute tutte le certificazioni, il veicolo deve essere sottoposto a un collaudo presso la Motorizzazione Civile (UMC). Durante questa fase, verrà verificata la conformità dell’allestimento al progetto presentato e la sicurezza generale del veicolo;
  • aggiornamento del libretto: superato il collaudo, il libretto di circolazione verrà aggiornato con la nuova destinazione d’uso “autocaravan”.

È fondamentale non saltare questo passaggio, in quanto circolare con un veicolo non omologato può comportare multe salate, il sequestro del mezzo e problemi con l’assicurazione in caso di incidente. Se ci si affida a un’azienda specializzata, solitamente si occupano loro di seguire l’iter burocratico per l’omologazione.

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281102 Camperizzare un furgone
Cosa rischiano gli automobilisti incivili che abbandonano animali su strada https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/automobilisti-abbandono-animali-strada/281885/ Sun, 08 Jun 2025 04:00:18 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281885 L’abbandono di animali domestici lungo le strade è anche un rischio per l’incolumità pubblica. Soprattutto nei mesi estivi, ogni anno migliaia di cani, gatti e altri animali sono lasciati soli sull’asfalto, nelle aree di sosta, scarpate autostradali o carreggiate secondarie.

Questa pratica, oltre a causare sofferenze agli animali, è un pericolo per la sicurezza stradale, poiché un animale impaurito che attraversa improvvisamente la strada può causare incidenti anche mortali. L’automobilista che commette questo gesto tradisce la fiducia dell’animale che dipende da lui, ma infrange anche la legge e di conseguenza si espone a una serie di conseguenze.

Il reato secondo il Codice Penale italiano

Secondo l’articolo 727 del Codice Penale, chiunque abbandona un animale domestico o un animale che abbia acquisito abitudini della cattività è soggetto a sanzioni che traducono in un’ammenda fino a 10.000 euro o nei casi più gravi nell’arresto. Più esattamente, se però l’abbandono dell’animale provoca un incidente stradale che causa la morte o le lesioni personali di una o più persone, scatta la reclusione da 3 mesi a 1 anno per le lesioni gravi, da 1 anno a 3 anni per le lesioni gravissime e da 2 anni a 7 anni per l’omicidio stradale.

La norma non lascia margini di interpretazione: l’abbandono è considerato un comportamento lesivo della dignità e del benessere dell’animale e viene trattato come un crimine.

Non importa il motivo – sia esso disagio economico, trasloco o partenza per le vacanze – la legge non ammette giustificazioni. E quando l’abbandono avviene su strade ad alta percorrenza, come superstrade o autostrade, la pena può essere aumentata fino a un terzo per via del riconoscimento dell’aggravante del pericolo arrecato anche agli altri utenti della strada.

Dall’auto al carcere, le conseguenze per chi usa il proprio veicolo

Quando il gesto viene compiuto con l’ausilio di un’automobile, come nel caso di chi trasporta l’animale lontano dalla propria abitazione per poi lasciarlo in aperta campagna o sul bordo di una strada, entra in gioco un altro profilo sanzionatorio.

Il Codice della Strada prevede la possibilità della sospensione della patente di guida per un periodo dai sei mesi a un anno. In altre parole non si rischia solo una sanzione pecuniaria o penale, ma si può essere privati del diritto alla mobilità, con tutte le ripercussioni che ne derivano sul piano lavorativo e personale. Questa misura accessoria risponde a una logica di coerenza normativa: chi utilizza un mezzo per commettere un reato che mette in pericolo gli altri automobilisti non può continuare a guidare come se nulla fosse accaduto.

Abbandono e incidente, legame sottovalutato

L’aspetto più inquietante di questo comportamento emerge quando l’abbandono di un animale è causa diretta di un incidente stradale. Se un animale lasciato su strada provoca un sinistro con danni alle persone, chi lo ha abbandonato può essere chiamato a rispondere di lesioni personali gravi o gravissime, e in caso di esiti fatali, di omicidio stradale.

La responsabilità penale si estende quindi ben oltre il gesto in sé, e comprende anche le conseguenze che ne derivano, in una catena di eventi che può trasformarsi in tragedia. In queste circostanze, le pene variano da 3 mesi a 7 anni di reclusione, a seconda della gravità delle lesioni o del decesso delle vittime coinvolte.

Il fenomeno stagionale, picchi estivi e inizio autunno

Anche se si assiste all’abbandono di animali durante tutto l’anno, i mesi estivi e il rientro dalle ferie registrano il numero più alto di casi. Questo picco si spiega con la decisione di partire per le vacanze e non voler affrontare il costo o l’impegno di portare con sé l’animale.

L’automobile diventa quindi lo strumento per disfarsene con rapidità, nel silenzio delle periferie o lungo le provinciali meno sorvegliate. Un comportamento che dietro l’apparente leggerezza rivela una strutturale incapacità di pianificazione e responsabilità da parte del proprietario.

Il ruolo delle forze dell’ordine e delle telecamere

L’introduzione di sistemi di videosorveglianza intelligenti lungo le arterie autostradali e nei pressi di molte aree verdi ha reso più facile l’identificazione dei colpevoli. Le forze dell’ordine riescono a risalire alla targa del veicolo utilizzato per l’abbandono, incrociare i dati con le denunce di scomparsa o con segnalazioni e arrivare a individuare il responsabile.

Molte compagnie autostradali collaborano con associazioni animaliste per attivare punti di soccorso e segnalazione rapida di animali vaganti. Questo sforzo condiviso mostra che l’abbandono non è più un reato difficile da dimostrare: oggi la tecnologia inchioda e l’automobilista che compie il gesto viene scoperto in tempi brevi.

Le associazioni animaliste e il fronte della sensibilizzazione

In parallelo all’attività repressiva è cresciuto l’impegno delle associazioni per la protezione animale, che lavorano per sensibilizzare l’opinione pubblica e offrire alternative etiche all’abbandono. Le campagne sociali che mostrano gli effetti devastanti di questa scelta, accompagnate da immagini toccanti o slogan incisivi, hanno un impatto forte, soprattutto tra i più giovani.

A ben vedere l’abbandono degli animali è il sintomo di un problema culturale profondo: la mancata percezione dell’animale come soggetto di diritti, dotato di sensibilità, memoria, sofferenza. In Italia, nonostante i passi avanti, questa consapevolezza sembra a tratti ancora parziale e relegata alla sensibilità individuale. In troppe famiglie, il cane o il gatto vengono ancora considerati impegni temporanei da mettere da parte quando sopraggiungono le vacanze, un trasloco o un figlio.

Il paradosso dell’auto

Non va trascurata l’ambivalenza del mezzo con cui molti animali vengono abbandonati. L’automobile, simbolo di libertà e progresso, si trasforma in questi casi in strumento di esclusione e violenza, usato per trasportare una creatura verso la solitudine e il pericolo. È un ribaltamento che sottolinea come l’abuso di un bene tecnologico possa diventare il mezzo per compiere un’azione disumana. Questo aspetto è doloroso per chi, da automobilista responsabile, si trova costretto a sterzare bruscamente per evitare un cane sulla corsia o assiste impotente a un incidente provocato da un animale in fuga.

Giurisprudenza sempre più severa

Numerose sentenze dimostrano che i tribunali italiani sono sempre meno disposti a tollerare con leggerezza i reati di abbandono di animali. I giudici applicano con le pene previste dal Codice Penale anche in assenza di danni diretti alle persone.

In alcune circostanze, sono stati disposti anche risarcimenti danni morali per le associazioni intervenute a tutela degli animali, e la sospensione della patente è stata confermata anche nei casi in cui il veicolo non abbia causato direttamente un pericolo. Si delinea così un orientamento giurisprudenziale che rafforza la deterrenza, e che invia un messaggio: chi abbandona paga, senza attenuanti.

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281885 Multe, carcere e ritiro patente per chi lascia animali in strada
Quali dispositivi di sicurezza devono montare i monopattini condivisi https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/dispositivi-sicurezza-monopattinii/281802/ Sat, 07 Jun 2025 04:30:16 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281802 I monopattini elettrici condivisi sono un’alternativa rapida, economica e a basso impatto ambientale. Il loro utilizzo massiccio ha generato non pochi interrogativi sul piano della sicurezza stradale e portato le istituzioni ad aggiornare il Codice della Strada con particolare attenzione alle dotazioni di sicurezza obbligatorie per i mezzi in sharing. La nuova normativa ha stabilito criteri chiari e rigorosi per regolare l’utilizzo di questi veicoli così da ridurre gli incidenti e armonizzare la loro presenza con quella di pedoni, ciclisti e automobilisti.

I dispositivi di sicurezza diventano il cuore della normativa

Uno degli aspetti più innovativi introdotti dalla riforma normativa riguarda l’obbligo per i monopattini elettrici condivisi di essere dotati di frecce direzionali e segnalatori luminosi di frenata, elementi fino a pochi anni fa assenti nella quasi totalità dei modelli circolanti. Questi dispositivi devono essere ben visibili sia di giorno che di notte, installati frontalmente e posteriormente, e devono funzionare in modo continuo ed efficace. L’introduzione delle frecce è un punto di svolta nella percezione del monopattino come mezzo dotato di dignità veicolare e lo pone più vicino a biciclette elettriche e motorini che a semplici dispositivi ludici.

Accanto a questi obblighi, viene imposta la presenza di luci anteriori bianche o gialle e luci posteriori rosse, da mantenere accese obbligatoriamente in condizioni di scarsa visibilità o durante le ore notturne. In aggiunta il veicolo deve essere equipaggiato con dispositivi catarifrangenti laterali che assicurino visibilità trasversale anche in caso di attraversamento improvviso. La norma si fonda su una logica di prevenzione: più visibile è il monopattino, maggiore è la probabilità che venga evitato in caso di rischio.

Differenze tra monopattini privati e quelli condivisi

Se la normativa italiana del 2025 ha unificato in parte le regole per i monopattini privati e quelli a noleggio, restano alcune differenze. I monopattini in sharing, proprio per la loro funzione pubblica e il maggior numero di chilometri percorsi, sono soggetti a requisiti tecnici e assicurativi più stringenti. La direzione sembra orientata a una progressiva armonizzazione normativa per evitare disparità percepite come ingiustizie e ridurre la confusione degli utenti.

Controllabilità, riconoscibilità e assicurazione obbligatoria

La dotazione tecnica non si ferma alla segnaletica visiva. I monopattini condivisi devono oggi essere dotati di un doppio sistema frenante indipendente, uno per ogni ruota così da garantire un arresto rapido e sicuro anche su superfici sdrucciolevoli o in caso di manovre d’emergenza.

Uno degli elementi di maggior impatto introdotti dal legislatore è l’obbligo di un contrassegno identificativo permanente da apporre su ogni veicolo. Questo adesivo plastificato, resistente e non rimuovibile, deve contenere il codice identificativo del mezzo e riferimenti al gestore. In parallelo è obbligatoria anche la copertura assicurativa, finora assente per la maggior parte dei monopattini in sharing. Ogni veicolo va assicurato contro i danni a terzi, comprese persone, altri veicoli e infrastrutture urbane. L’assenza di assicurazione comporta sanzioni che possono arrivare fino a 3.750 euro, a carico della società che gestisce il servizio di condivisione.

Tecnologie smart per aumentare la sicurezza in tempo reale

I modelli più nuovi di monopattini condivisi integrano sensori, accelerometri, sistemi di geolocalizzazione e controlli elettronici che permettono al gestore di monitorare in tempo reale l’uso del veicolo. Queste informazioni aiutano a individuare abusi o comportamenti pericolosi, ma anche a costruire modelli predittivi utili alla prevenzione degli incidenti. La micromobilità connessa è una realtà che tramite l’uso combinato di app, algoritmi e sensori trasforma ogni veicolo in una fonte di dati e in uno strumento attivo di sorveglianza ambientale e urbana.

Casco, visibilità e comportamento

Se i mezzi devono adeguarsi, anche gli utenti sono chiamati a una maggiore attenzione e responsabilità. Dal 2025, l’uso del casco protettivo è divenuto obbligatorio per tutti i conducenti, indipendentemente dall’età. Il casco è un dispositivo indispensabile per ogni utente con specifiche tecniche regolamentate dalle normative europee, come la UNI EN 1078 o UNI EN 1080. In parallelo è obbligatorio indossare bretelle retroriflettenti o giubbotti ad alta visibilità durante l’uso del mezzo in orari notturni o in condizioni di scarsa illuminazione.

Viene inoltre confermato il divieto assoluto di trasportare passeggeri, animali o oggetti ingombranti che possano compromettere la stabilità del mezzo. Allo stesso modo è vietata la circolazione sui marciapiedi, a meno che il monopattino non venga condotto a mano.

Il ruolo dei Comuni e la gestione degli spazi pubblici

Un altro tassello della riforma riguarda la regolamentazione della sosta dei monopattini elettrici. In molte città italiane, l’assenza di norme aveva generato caos: mezzi abbandonati su marciapiedi, davanti ai negozi o in prossimità di incroci. Oggi i comuni sono obbligati a individuare aree dedicate al parcheggio dei monopattini, spesso condivise con bici, scooter o motorini. In assenza di spazi autorizzati, la sosta selvaggia è punita con sanzioni amministrative che variano da città a città.

Ogni comune ha il compito di promuovere una strategia di mobilità integrata, in cui i monopattini non siano un corpo estraneo al traffico, ma un tassello di un mosaico più ampio. La loro gestione non può più essere affidata ai privati, ma richiede piani di mobilità sostenibile, incentivi all’utilizzo virtuoso e campagne di informazione che coinvolgano anche le scuole e i centri di formazione per adulti.

I limiti strutturali delle nostre città

L’espansione dei monopattini elettrici ha messo in luce le carenze infrastrutturali di molte città italiane, dove le piste ciclabili sono poche, interrotte o pericolose. Non è sufficiente aggiornare i veicoli se le città non evolvono con la stessa velocità: il rischio è che le nuove norme restino lettera morta in uno spazio urbano ostile. Per rendere efficace la normativa serve ripensare il concetto di strada e investire in aree dedicate, semafori intelligenti e soluzioni di mobilità intermodale.

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281802 Monopattini in sharing, le regole aggiornate su freni, luci e indicatori
Multa errata sull’omologazione dell’autovelox? Quando serve la querela per falso https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/multa-errata-omologazione-autovelox-querela/281797/ Sat, 07 Jun 2025 04:00:08 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281797 L’apparente precisione di una verbale può trasformarsi in un ostacolo insormontabile per esercitare un proprio diritto. È il caso delle multe per eccesso di velocità emesse tramite autovelox, in cui sul verbale viene indicato che il dispositivo utilizzato è omologato o conforme a un prototipo omologato. Questa affermazione ha in realtà conseguenze giuridiche complesse, soprattutto alla luce di una realtà tecnico-normativa che contraddice quanto riportato. A oggi non esistono norme tecniche di omologazione per gli autovelox, ma solo decreti ministeriali di approvazione che autorizzano l’utilizzo dei dispositivi che non certificano una vera e propria omologazione nel senso tecnico del termine.

La fede privilegiata del verbale

Quando le forze dell’ordine redigono un verbale, lo fanno in qualità di pubblici ufficiali. Le loro dichiarazioni scritte godono, in sede giuridica, della cosiddetta fede privilegiata. Significa che quanto attestato nel verbale viene ritenuto vero fino a querela di falso. E qui si innesta il cortocircuito: se nel verbale viene specificato che il dispositivo è omologato, chi intende sostenere il contrario non può semplicemente presentare un ricorso al giudice di pace. Deve intraprendere un’azione più articolata: la querela di falso, prevista dagli articoli 221 e seguenti del Codice di procedura civile. Una strada che comporta un rischio economico se il giudizio dovesse concludersi negativamente.

La sentenza della Cassazione che chiude il cerchio

Il principio è stato confermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza 13997 del 26 maggio 2025, in cui i giudici hanno respinto il ricorso di un automobilista pugliese multato nel 2022. Il cittadino aveva fatto notare che l’autovelox impiegato non risultava formalmente omologato, ma nel verbale la polizia stradale attestava il contrario. Nonostante le sue argomentazioni poggiassero su un dato di fatto oggettivo – ossia la mancata esistenza di un decreto di omologazione – il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Il motivo? L’uomo non aveva presentato querela di falso contro il verbale. È proprio questa mancanza formale che ha determinato l’esito sfavorevole, nonostante il contenuto tecnico della sua contestazione fosse legittimo.

Un nodo giuridico mai sciolto, approvazione contro omologazione

Il problema si annida in una confusione semantica che da anni contamina il lessico della pubblica amministrazione e delle stesse forze dell’ordine. Nel linguaggio comune, approvato e omologato sono usati come sinonimi, ma in ambito tecnico-legale sono concetti distinti. L’omologazione richiede l’esistenza di norme tecniche e procedure standardizzate mentre l’approvazione ministeriale è un atto discrezionale e amministrativo che autorizza l’uso di un dispositivo, ma senza certificare la sua conformità a standard oggettivi. La maggior parte degli autovelox presenti sulle strade italiane sono stati approvati, ma non omologati, ma nei verbali continua a essere usata la parola omologato.

Il ruolo delle prefetture

Quando un automobilista presenta opposizione a una sanzione, il prefetto ha facoltà di respingere o accogliere il ricorso sulla base degli atti disponibili. L’analisi di questi ricorsi tende a fondarsi su un automatismo giuridico: se il verbale menziona l’omologazione, viene ritenuto sufficiente a sostenere la validità dell’accertamento. La possibilità di richiedere un supplemento di verifica documentale o di sospendere l’efficacia del provvedimento in caso di dubbi tecnici, viene raramente esercitata. Questo approccio svuota la tutela prevista in teoria dall’articolo 203 del Codice della Strada.

Il peso economico della querela di falso

Presentare una querela di falso non è un’azione alla portata di tutti. È necessario incaricare un avvocato, affrontare un giudizio civile, produrre documentazione tecnica e sostenere i costi di eventuali perizie. Nel caso deciso dalla Cassazione, l’automobilista è stato condannato a pagare 500 euro di spese, oltre a quelle già sostenute nei tre gradi di giudizio. Si tratta di una somma che per molti è un deterrente sufficiente ad accettare la sanzione, anche quando si è convinti della propria ragione.

Per sostenere una querela di falso può servire allegare perizie tecniche che dimostrino come il dispositivo impiegato non sia omologato. Queste consulenze, affidate a ingegneri o esperti del settore, analizzano i documenti ministeriali relativi ai singoli modelli di autovelox, comparandoli con i requisiti previsti dall’articolo 192 del regolamento di esecuzione del Codice della Strada. Queste relazioni hanno valore probatorio, ma comportano costi e tempi di stesura incompatibili con i termini di impugnazione. Anche per questo motivo non tutti i cittadini riescono ad affrontare un ricorso fondato tecnicamente.

L’assenza di una norma tecnica

Nessun decreto tecnico è mai stato emanato per sciogliere i nodi irrisolti relativi ai criteri di omologazione degli autovelox. Si tratta di una lacuna normativa che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha lasciato aperta per anni, nonostante le ripetute richieste degli operatori del settore e delle associazioni dei consumatori. Questo vuoto giuridico rende possibile l’utilizzo di dispositivi approvati” ma non “omologati con la creazione di una zona grigia che le forze dell’ordine riempiono con formule ambigue e contraddittorie. In assenza di un decreto tecnico, la conseguenza è che nessun apparecchio potrebbe tecnicamente definirsi omologato, ma il verbale continua a riportare quella dicitura con tutte le implicazioni legali che ne derivano.

Un problema diffuso ma sottovalutato

Il caso approdato davanti ai giudici della Corte di Cassazione potrebbe apparire come un’eccezione, ma in realtà è una punta dell’iceberg. Molti cittadini si trovano verosimilmente nella stessa situazione e rinunciano a far valere i propri diritti proprio perché scoraggiati dalla complessità procedurale e dai costi. Il sistema giudiziario finisce così per legittimare una pratica di scrittura burocratica che confonde, distorce e rende opaco ciò che dovrebbe essere trasparente.

La giurisprudenza si consolida

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, con più pronunce analoghe in un anno – dall’ordinanza 10505 del 2024 a quella più recente 13997 del 2025 – ha costruito un orientamento netto e difficilmente ribaltabile. I verbali di accertamento non possono essere contestati nel merito se non tramite querela di falso, almeno quando dichiarano l’esistenza di una omologazione.

Anche se la Suprema Corte ha tracciato un solco, la magistratura di primo e secondo grado non è sempre uniforme nel recepire l’orientamento. Alcuni giudici di pace hanno accolto ricorsi pur in assenza di querela di falso e ritenuto prevalente il principio di verità materiale rispetto alla sola verità formale del verbale. Queste decisioni aprono in definitiva uno spiraglio, ma sono spesso isolate e sovvertite nei gradi successivi.

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281797 Se la multa riporta dati falsi sull'omologazione, si può procedere con una querela
Come caricare l’auto per le vacanze in sicurezza, evitando guai e multe https://www.virgilio.it/motori/info-utili/come-caricare-bagagliaio/281398/ Fri, 06 Jun 2025 17:00:55 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281398 La partenza per le vacanze è sempre un momento carico di entusiasmo e aspettative. Dopo giorni, settimane o addirittura mesi di pianificazione, arriva finalmente il momento di mettersi in viaggio. Tuttavia, prima di accendere il motore e partire verso la meta tanto attesa, c’è un passaggio fondamentale che spesso viene sottovalutato: caricare correttamente il bagagliaio.

Una distribuzione errata dei pesi, oggetti lasciati liberi o una semplice disorganizzazione possono influire sulla sicurezza, sulla stabilità del veicolo e persino sui consumi di carburante. In questo approfondimento vedremo come ottimizzare lo spazio, proteggere i passeggeri e viaggiare in tutta tranquillità, con un bagagliaio ordinato e funzionale.

Pianifica e prepara

Prima ancora di iniziare a riempire il bagagliaio, è fondamentale dedicare del tempo alla pianificazione e alla preparazione. Questo passaggio farà risparmiare tempo e fatica e assicurerà di non dimenticare nulla di essenziale:

  • fare una lista: sembrerà banale, ma una lista dettagliata di tutto ciò che si vuole portare è il punto di partenza, dividendo la lista per categorie (abbigliamento, prodotti da bagno, cibo, attrezzatura sportiva, ecc.). Questo aiuterà a visualizzare l’ingombro e il peso di ogni articolo;
  • selezionare l’essenziale: portare solo ciò di cui si ha realmente bisogno. Spesso si tende a riempire valigie perché “forse servirà”. Eliminare il superfluo è il primo passo per un bagagliaio efficiente;
  • scegliere il bagaglio giusto: utilizzare borse morbide e flessibili anziché valigie rigide, se possibile. Si adattano meglio agli spazi irregolari del bagagliaio e sono più facili da incastrare;
  • preparare gli oggetti di prima necessità: tenere separati e facilmente accessibili gli oggetti che potrebbero servire durante il viaggio (snack, acqua, giocattoli per bambini, documenti, farmaci, ecc.).

Caricare il bagagliaio, distribuire il baricentro

La distribuzione del peso all’interno del bagagliaio è cruciale per la sicurezza e la stabilità del veicolo. Un carico non equilibrato può alterare il comportamento dell’auto, rendendo la guida più difficile e pericolosa. È consigliato seguire questi suggerimenti:

  • pensare al baricentro: quest’ultimo è il punto in cui si concentra il peso del veicolo. L’obiettivo è mantenere il baricentro dell’auto il più basso e centrato possibile. Questo significa che gli oggetti più pesanti devono essere posizionati in basso;
  • evitare sovraccarichi: consultare il libretto di uso e manutenzione dell’auto per conoscere la capacità di carico massima consentita. Superare questo limite non solo è illegale, ma compromette gravemente la sicurezza e l’usura del veicolo;
  • bilanciamento laterale: cercare di distribuire il peso in modo uniforme anche lateralmente. Evitare di concentrare tutti gli oggetti pesanti su un solo lato del bagagliaio, poiché ciò potrebbe causare uno sbilanciamento e influire sulla stabilità in curva;
  • attenzione al peso sul tetto: se si utilizza un portapacchi sul tetto, bisogna ricordare che gli oggetti caricati lì alzano notevolmente il baricentro dell’auto. Limitare il peso sul tetto e assicurarsi che sia ben distribuito e fissato.

Oggetti pesanti in basso e in avanti

Questa è la regola d’oro per caricare il bagagliaio in modo sicuro ed efficiente. Gli oggetti più pesanti, come valigie grandi, casse d’acqua o attrezzi, devono essere posizionati il più vicino possibile allo schienale dei sedili posteriori e sul fondo del bagagliaio. Questo minimizza il movimento in caso di frenata brusca e mantiene il baricentro basso e avanzato.

Se ci sono più oggetti pesanti, conviene cercare di distribuirli su tutta la larghezza del bagagliaio, sempre in basso. Non impilare oggetti pesanti uno sopra l’altro se non sono stabili. È consigliato utilizzare tappetini antiscivolo o reti di contenimento per evitare che gli oggetti pesanti si muovano durante il viaggio. In caso di collisione, un oggetto pesante non ancorato può trasformarsi in un pericolo.

Sfruttare ogni spazio disponibile

Una volta posizionati gli oggetti pesanti, è il momento di ottimizzare lo spazio restante. Pertanto:

  • riempire gli spazi vuoti: utilizzare borse più piccole, sacchetti morbidi o abbigliamento arrotolato per riempire gli spazi vuoti tra le valigie più grandi. Questo non solo massimizza lo spazio, ma impedisce anche che gli oggetti si spostino e si danneggino;
  • sotto i sedili: alcune auto offrono spazio sotto i sedili anteriori o posteriori. Utilizzare questi spazi per oggetti piccoli e piatti, come carte stradali, libri o sacchetti con snack;
  • vani laterali e reti: sfruttare al massimo i vani laterali del bagagliaio, le reti di contenimento e gli scomparti nascosti (ad esempio, sotto il piano del bagagliaio, se presente). Sono perfetti per oggetti di uso meno frequente o per tenere in ordine piccole cose;
  • organizzatori per bagagliaio: valutare l’acquisto di organizer specifici per bagagliaio. Questi possono avere scomparti divisori, tasche e cinghie per tenere tutto in ordine e facilmente accessibile.

Fissare gli oggetti

Anche il carico più ben posizionato può diventare un pericolo se non è adeguatamente fissato. Utilizzare cinghie di fissaggio o reti elastiche per ancorare gli oggetti al pavimento del bagagliaio o ai punti di ancoraggio specifici presenti nella maggior parte delle auto. Questo è particolarmente importante per oggetti di forma irregolare o che potrebbero scivolare.

Anche se non sono pesanti, borse e zaini morbidi possono muoversi durante il viaggio. Se possibile, incastrarli bene tra gli altri oggetti o fissarli con una rete. È fondamentale, inoltre, non caricare oggetti più alti dello schienale dei sedili posteriori, a meno che non si utilizzi una rete divisoria o una griglia di protezione. In caso di frenata brusca, un oggetto che supera l’altezza dello schienale potrebbe proiettarsi in avanti nell’abitacolo. Per ultima ma non meno importante, assicurarsi che il carico non ostacoli la visibilità dallo specchietto retrovisore.

Caricare la bici nel bagagliaio

Caricare le biciclette può essere una sfida, soprattutto se non si dispone di un portabici esterno. Di seguito alcuni consigli:

  • smontaggio parziale: per inserire una bici nel bagagliaio, bisognerà quasi certamente smontare la ruota anteriore e, a volte, anche quella posteriore. In alcuni casi, potrebbe essere necessario anche abbassare il sellino o togliere i pedali;
  • protezione: avvolgere le parti della bici (soprattutto telaio e forcella) con coperte, teli o pluriball per evitare graffi alla stessa e agli interni dell’auto. Anche gli ingranaggi e la catena andrebbero protetti per non sporcare;
  • posizionamento: posizionare la bici in modo che sia il più stabile possibile. Se il bagagliaio è abbastanza grande, potrebbe essere posizionata in orizzontale. Se è necessario piegare i sedili posteriori, adagiala sul piano creato;
  • pulizia: se la bici è sporca, pulirla sommariamente prima di caricarla per non sporcare il bagagliaio. Considerare l’utilizzo di un telo protettivo grande per il fondo del bagagliaio;
  • alternative: si bisogna trasportare più bici o non si vuole smontarle ogni volta, un portabici esterno (da tetto, da gancio traino o da portellone, come quello suggerito sotto) è la soluzione più comoda e sicura. Assicurarsi che sia omologato e conforme alle normative vigenti.

Con questi brevi e semplici consigli, tutta la famiglia potrà godersi le vacanze estive senza doversi preoccupare per la sicurezza propria e degli altri.

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281398 Caricare bagagliaio auto
Gomito fuori dal finestrino? Potresti incappare in una multa https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/multa-gomito-fuori-finestrino/281711/ Fri, 06 Jun 2025 07:48:07 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281711 C’è chi lo fa per abitudine, chi per darsi un tono, chi semplicemente perché ha caldo. Ma guidare con il gomito fuori dal finestrino non è solo una posa estiva o una scelta di comfort: è una violazione del Codice della Strada e può comportare sanzioni economiche, rischi per la sicurezza e complicazioni assicurative in caso di incidente.

In Italia, dove la gestualità alla guida è parte della cultura automobilistica, non tutti sanno che sporgere un arto dalla vettura mentre si è al volante può avere conseguenze molto più serie di quanto si pensi. È il caso di un gesto apparentemente innocuo che in realtà è una trasgressione formale e funzionale alla normativa in vigore.

Un comportamento vietato per legge

A chiarire la questione è l’articolo 169 del Codice della Strada, al comma 4, il quale stabilisce che è vietato al conducente e ai passeggeri sporgere parti del corpo dalla sagoma del veicolo in movimento. Questo divieto non è legato a una questione estetica o stilistica, ma al principio della sicurezza su strada: è sanzionato ogni comportamento che possa aumentare il rischio di lesioni o incidenti. Il gomito fuori dal finestrino compromette la posizione corretta del corpo alla guida, riduce la capacità di reazione in caso di emergenza e crea una potenziale interferenza con gli altri utenti della strada.

In termini pratici, la multa prevista varia da 87 a 344 euro, ma può anche essere accompagnata da un verbale più ampio se la postura del conducente comporta altri rischi. Chi riceve una multa per “gomito fuori” spesso crede di trovarsi di fronte a un abuso di potere. I verbali vengono però redatti con formule specifiche e codici che identificano l’articolo violato. Il conducente ha facoltà di contestare la sanzione, ma deve poi dimostrare che il comportamento non comprometteva il controllo del mezzo né infrangeva i divieti del Codice.

Il controllo del veicolo è un obbligo

Oltre alla norma c’è una disposizione più generale – l’articolo 141, comma 2, dello stesso Codice della Strada – che impone al conducente di mantenere il controllo totale del veicolo ovvero adeguare la propria condotta alle condizioni del traffico e della strada.

Avere un braccio fuori dall’abitacolo è incompatibile con questo obbligo: non si può sterzare con prontezza, non si può reagire con entrambe le mani in caso di ostacolo improvviso, e la percezione dello spazio laterale si riduce. Per questo motivo, l’agente può contestare una seconda infrazione, sanzionabile con una multa da 42 a 173 euro, anche senza incidenti o situazioni di pericolo concreto. È sufficiente la presunzione di scarsa padronanza del mezzo.

Psicologia della guida e senso di controllo

Alcuni studi in ambito psicologico dimostrano che tenere il braccio fuori dal finestrino può essere associato a un falso senso di controllo e a un bisogno inconscio di occupare più spazio sulla carreggiata. Questo atteggiamento, simile a quello dei motociclisti che si allargano nelle curve, tradisce un atteggiamento egocentrico alla guida. È un messaggio implicito rivolto agli altri automobilisti: sto dominando la strada. Ma l’illusione di sicurezza generata da questi gesti si infrange contro la realtà statistica che mostra come proprio le abitudini non conformi aumentino la probabilità di errori e distrazioni.

Rischi fisici molto concreti

Nel malaugurato caso in cui si verifichi un urto laterale, anche a bassa velocità, il braccio sporgente può subire lesioni gravi, fratture o amputazioni. Gli incidenti che coinvolgono auto in colonna, marciapiedi stretti o veicoli pesanti in sorpasso laterale trasformano un gesto trascurato in una tragedia personale.

Il finestrino, che fa da barriera di protezione, viene annullato nella sua funzione protettiva quando il gomito o l’avambraccio sono esposti. E la responsabilità, in caso di danno, ricade sul conducente stesso: non è previsto alcun indennizzo per comportamenti contrari alle regole basilari della prudenza.

Le conseguenze assicurative sottovalutate

In caso di incidente, le compagnie assicurative valutano il comportamento del conducente per stabilire la quota di responsabilità e l’applicazione di clausole di rivalsa. Guidare con il gomito fuori può essere considerato concorso colposo ovvero una forma di corresponsabilità nel sinistro. Di conseguenza l’assicurazione può ridurre o negare il risarcimento e obbligare il conducente a farsi carico delle spese mediche o dei danni arrecati a terzi.

La condotta può influenzare la valutazione del bonus e del malus e far lievitare il premio nelle annualità successive. Anche in assenza di sinistri, la reiterazione di questo comportamento può essere letta come indice di condotta di guida imprudente, utile per rifiutare la copertura in caso di eventi futuri.

Un gesto che dice molto sulla cultura della guida

Nella narrazione popolare il gomito fuori dal finestrino è associato a una certa idea di maschilismo automobilistico, di guida rilassata, quasi da film anni Settanta. Ma la realtà di oggi è molto diversa. Viviamo in un contesto in cui ogni dettaglio- dalla posizione delle mani sul volante al tipo di scarpe indossate – può fare la differenza in termini di responsabilità.

L’abitudine di tenere il braccio all’esterno è diventata nel tempo un simbolo di leggerezza che contrasta con l’esigenza di rigore imposta dalla modernità della mobilità urbana.

Le campagne che puntano alla prevenzione

Negli ultimi anni, numerose iniziative promosse da Aci, Polizia Stradale e associazioni per la sicurezza stradale hanno messo in evidenza l’importanza di posture corrette alla guida. Spot, manifesti e video tutorial hanno mostrato come comportamenti insignificanti possano avere gravi conseguenze.

In molti casi, il messaggio è stato rivolto soprattutto ai giovani conducenti, in genere più inclini a gesti non regolamentari per disattenzione, imitazione o senso di sfida.

Le scuole guida dovrebbero insegnarlo?

Nel percorso formativo di un automobilista per il conseguimento della patente di guida, il focus resta sui comandi, le manovre e le precedenze. Non tutti gli istruttori insistono su elementi di postura e comportamento che in realtà sono parte integrante della sicurezza alla guida. Manca l’inserimento tra i moduli didattici di una sezione dedicata a ciò che non si deve fare mentre si è al volante, tra cui sporgere arti, mangiare o appoggiarsi al finestrino. Oggi invece questi aspetti sono assimilati solo quando si subiscono sanzioni o, peggio, in seguito a incidenti evitabili.

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281711 Tenere il braccio fuori dal finestrino può metterti nei guai
Telo per cane in auto: a cosa serve e come sceglierlo https://www.virgilio.it/motori/info-utili/telo-auto-cane-come-sceglierlo/281255/ Fri, 06 Jun 2025 03:47:17 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281255 Si avvicina l’estate, le vacanze e i lunghi viaggi in auto. Se avete un cane con cui condividere il vostro itinerario, ci sono vari aspetti da tenere a mente: la sicurezza, le pause, l’idratazione e, non per ultimo, la pulizia. Chi ha provato almeno una volta a trasportare un animale in auto sa bene che ci vuole un minimo di organizzazione per evitare disastri tra peli, sporco o graffi. Per questo arrivano in aiuto vari accessori auto da tenere sempre a bordo per i vostri amici a quattro zampe, primo fra tutti un telo per cani, che sia per i sedili posteriori o per il bagagliaio. In commercio ne esistono tanti, ma non tutti sono uguali. Alcuni proteggono l’auto, altri mettono al primo posto il comfort dell’animale.

A cosa serve il telo per il cane

Viaggiare spesso con il proprio animale vuol dire mettere a dura prova la tappezzeria della vettura. Il telo per cani è progettato per coprire i sedili posteriori o il bagagliaio e proteggerli da sporco, peli e danni accidentali. È un accessorio pensato per chi viaggia spesso con il proprio animale, ma anche per chi fa gite occasionali e vuole evitare di rovinare gli interni.

Il suo scopo è quello di proteggere e preservare i tessuti, ma permette anche di non dover pulire tutto continuamente e aumenta il comfort per il vostro amico a quattro zampe. Per chi ha animali di grossa taglia o più vivaci, il telo diventa uno strumento fondamentale per evitare che il cane si sposti o cada tra i sedili. In più, molti modelli sono lavabili in lavatrice, un dettaglio non da poco quando si parla di fango, sabbia o peli.

Le caratteristiche che non possono mancare

Un telo per cani, oltre ad essere della misura giusta per la vostra macchina, deve presentare delle caratteristiche fondamentali per renderlo efficace:

  • materiale impermeabile: deve resistere all’acqua e ai liquidi, proteggendo i sedili anche in caso di zampe bagnate;
  • superficie antiscivolo: fondamentale per evitare che l’animale scivoli in curva o in frenata;
  • imbottitura: un materiale morbido per far viaggiare più comodamente il proprio cane;
  • facilità di installazione: i modelli con agganci rapidi ai poggiatesta si montano in pochi secondi;
  • lavabilità: meglio se lavabile in lavatrice, per una pulizia veloce e completa;
  • protezione laterale: alcuni teli includono coperture per le portiere, utili contro i graffi delle unghie;
  • compatibilità con la cintura di sicurezza: molti modelli hanno aperture per far passare il guinzaglio o la cintura apposita.

Bagagliaio o sedili posteriori?

Una delle prime scelte da fare riguarda il posizionamento tra bagagliaio e sedili posteriori: il bagagliaio è l’opzione più usata per cani di grossa taglia o per chi ha SUV e station wagon. In questo caso si utilizzano tappetini imbottiti o teli sagomati, spesso con bordi rialzati per evitare che lo sporco fuoriesca. I sedili posteriori sono invece la scelta più comoda per cani di taglia media o piccola, o per chi preferisce avere l’animale più vicino durante il viaggio. Qui si utilizzano i classici coprisedili, spesso a forma di amaca, che coprono seduta, schienale e parte posteriore delle sedute anteriori.

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281255 Telo per cani in auto: viaggia pulito e in sicurezza
Quando il limite di velocità non è un obbligo, le eccezioni nel Codice della Strada https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/limite-velocita-eccezioni/281579/ Thu, 05 Jun 2025 07:28:31 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=281579 Anche se i limiti di velocità sono un caposaldo ineludibile della sicurezza collettiva, non mancano deroghe e sfumature. Al di là dei cosiddetti segnali verdi che consigliano l’andatura da mantenere, il Codice della Strada ne contempla una serie che, in alcune circostanze, consentono variazioni alle soglie imposte sia per eccesso sia per difetto.

Cosa prevede l’articolo 142 del Codice della Strada

Una delle eccezioni al rispetto dei limiti di velocità la facoltà degli enti gestori delle infrastrutture viarie – Comuni, Province, Regioni o concessionarie autostradali – di intervenire sui limiti standard.

Secondo l’articolo 142, comma 2, del Codice, questi soggetti possono innalzare o abbassare i limiti di velocità, purché la modifica sia motivata da caratteristiche costruttive della strada o da esigenze di sicurezza. E venga segnalata tramite cartellonistica verticale conforme alle norme ministeriali. Da qui la presenza di limiti a 70 km/h su alcune strade urbane di scorrimento, nonostante il limite urbano generale sia fissato a 50 km/h.

Veicoli di emergenza in servizio

Le forze dell’ordine, i vigili del fuoco e i mezzi di soccorso sanitario, come ambulanze o automediche, sono autorizzati a superare i limiti di velocità durante un intervento in emergenza. Questa deroga, disciplinata dall’articolo 177 del Codice della Strada, si applica solo quando il veicolo circola con dispositivi di segnalazione visiva e acustica attivati.

La legge impone che, anche in questi casi, i conducenti adottino ogni precauzione necessaria per evitare incidenti, ma la priorità dell’intervento non deve mai compromettere la sicurezza degli altri utenti della strada.

Trasporto pubblico e servizi di pubblica utilità

Anche i veicoli destinati a servizi pubblici essenziali, come i mezzi del trasporto pubblico locale, quelli adibiti alla manutenzione stradale o alla gestione delle reti idriche, elettriche e del gas, possono in alcune situazioni oltrepassare i limiti ordinari di velocità. Questa eccezione vale solo quando l’intervento è programmato e urgente, come ad esempio in caso di riparazioni straordinarie su tratti di rete che metterebbero in pericolo la sicurezza o l’igiene pubblica.

In ogni caso, i conducenti sono tenuti a rispettare le norme generali di prudenza, e devono essere riconoscibili come operatori in servizio mediante segnalazioni visive o indicazioni sul veicolo.

Autostrade, quando si può davvero viaggiare a 150 km/h

Nel caso delle autostrade, la regola generale stabilisce una velocità massima di 130 km/h, ma anche qui sono previste eccezioni regolamentate. Il limite può essere aumentato fino a 150 km/h su tratti a tre o più corsie per senso di marcia, dotati di asfalto drenante, illuminazione e sistemi avanzati di controllo del traffico. Questo innalzamento è però subordinato alla presenza di segnaletica verticale e all’autorizzazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La deroga è sospesa automaticamente in presenza di pioggia o condizioni meteorologiche avverse e riporta il limite a 110 km/h.

Pioggia, nebbia e neve, il limite si abbassa

Un altro caso emblematico è quello relativo alla modifica dei limiti in presenza di condizioni atmosferiche avverse. La legge prevede una riduzione automatica dei limiti massimi in caso di pioggia battente, neve o visibilità ridotta.

In autostrada il tetto massimo si abbassa da 130 a 110 km/h, mentre sulle strade extraurbane si passa da 110 a 90 km/h. Queste riduzioni sono un obbligo giuridico con tutte le conseguenze del caso in termini sanzionatori e assicurativi.

Veicoli speciali e trasporti eccezionali

A rendere più articolato il quadro ci sono poi le categorie particolari di veicoli che sono soggette a limiti di velocità personalizzati. I ciclomotori non possono mai superare i 45 km/h, al di dà della strada su cui circolano. I veicoli che trasportano merci pericolose, o che superano determinati pesi complessivi, sono obbligati a mantenere velocità inferiori rispetto alle altre auto, anche in assenza di segnaletica dedicata.

Queste limitazioni tecniche sono indicate anche sulla carta di circolazione e il mancato rispetto comporta sanzioni e contestazioni di responsabilità in caso di incidente.

Neopatentati, limiti più severi nei primi tre anni

Ecco poi i neopatentati, una categoria a parte in materia di limiti. Per i primi tre anni dal conseguimento della patente B, il conducente è tenuto a non superare i 100 km/h in autostrada e i 90 km/h sulle extraurbane.

Questa eccezione ha uno scopo preventivo: ridurre l’incidenza degli incidenti tra i meno esperti. L’infrazione di questi limiti, che può essere rilevata tramite autovelox o pattuglie, comporta multe maggiorate e la possibile decurtazione doppia di punti rispetto a quella prevista per i conducenti ordinari.

Zone 30, dove il limite scende

La novità degli ultimi meso sono le cosiddette Zone 30, nate da un approccio urbanistico orientato alla mobilità sostenibile. In alcune aree residenziali o ad alta densità pedonale, il limite è stato abbassato a 30 km/h non tanto per esigenze di traffico, quanto per tutelare l’incolumità degli utenti più deboli: bambini, anziani, ciclisti.

Queste zone sono sempre più diffuse nei centri storici delle grandi città e non sono una lentezza consigliata, ma un obbligo giuridico, spesso controllato con telecamere e sensori. Il mancato rispetto del limite porta naturalmente all’applicazione di sanzioni.

Emergenze e deroghe temporanee

Ci sono poi le situazioni di emergenza, che prevedono deroghe straordinarie. In occasione di eventi calamitosi, incendi boschivi, manifestazioni straordinarie o interventi tecnici urgenti, le autorità locali possono modificare temporaneamente i limiti di velocità, in modo da gestire in modo più efficiente il flusso veicolare e ridurre il rischio di incidenti.

Questi provvedimenti vengono comunicati tramite segnaletica mobile o con ordinanze pubblicate sugli albi pretori, e hanno valore legale immediato. In questi casi l’automobilista ha l’obbligo di aggiornare la propria condotta di guida sulla base della nuova segnalazione.

Quando andare troppo piano diventa un’infrazione

Un discorso a parte meritano i limiti minimi di velocità, spesso ignorati ma altrettanto vincolanti. In autostrada è previsto un limite minimo di 80 km/h in condizioni di traffico normale, fatto salvo il principio generale dell’adeguamento alla situazione contingente.

Anche il mancato rispetto di questo limite può comportare multe, poiché la velocità eccessivamente ridotta, in contesti ad alta percorrenza, risulta altrettanto pericolosa quanto l’eccesso di velocità.

Il valore assoluto della segnaletica

Va infine ricordato che la presenza di cartelli specifici ha sempre prevalenza sulle regole generali. Il limite imposto dalla segnaletica, sia esso superiore o inferiore a quello previsto per tipologia di strada, è vincolante per tutti i conducenti, salvo i casi tassativi di emergenza autorizzata (forze dell’ordine, ambulanze in missione, protezione civile). Anche i veicoli con sirene e lampeggianti non possono ignorare del tutto i limiti se non in circostanze comprovate di urgenza operativa.

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281579 Limiti di velocità, quando il cartello non basta a fare legge
Aspirapolvere per auto: quale scegliere e come utilizzarlo al meglio https://www.virgilio.it/motori/info-utili/migliore-aspirapolvere-auto/280974/ Thu, 05 Jun 2025 03:30:03 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280974 Pulire a fondo l’abitacolo dell’auto richiede tempo, dedizione, ma soprattutto gli strumenti giusti. Il primo passo per un buon risultato è sempre lo stesso: eliminare polvere, briciole e residui grossolani. Ed è qui che entra in gioco l’aspirazione. Non basta una passata veloce con la spazzola: per una pulizia accurata serve un dispositivo potente, maneggevole e adatto a raggiungere anche i punti difficili. Dalla scelta del modello più indicato agli accessori da avere sempre a portata di mano, una guida completa per sconfiggere finalmente la polvere.

Mini aspirapolvere per auto

Negli ultimi anni l’aspirapolvere ha conquistato sempre più spazio nei bauli degli automobilisti. I mini aspirapolvere per auto sono pensati per essere usati rapidamente, senza dover srotolare fili né cercare prese elettriche. Funzionano a batteria, sono leggeri, compatti e facili da maneggiare anche negli spazi stretti.

I modelli evoluti offrono una potenza di aspirazione sorprendente per le dimensioni ridotte, spesso con filtri HEPA che trattengono anche le particelle più sottili. Alcuni sono dotati di doppia modalità d’uso: aspirazione tradizionale e funzione soffiante, utile per sollevare lo sporco incastrato tra le guide dei sedili o nelle fessure del cruscotto. La durata della batteria può variare sensibilmente da modello a modello, quindi è utile orientarsi verso dispositivi che garantiscano almeno 15-20 minuti di autonomia reale, sufficiente per l’intero abitacolo.

Aspirapolvere da casa

Quando si può risparmiare soldi e spazio è sempre giusto farlo, perciò se un garage lo permette, anche l’aspirapolvere di casa può diventare un sostituto efficace a costo zero. I dispositivi senza filo con motore sul manico e dotati di accessori intercambiabili, sono perfetti per pulizie approfondite. La potenza è solitamente superiore rispetto ai modelli portatili, il che consente di rimuovere anche la polvere più resistente con maggiore efficacia, soprattutto sui tappetini in gomma o moquette.

L’unico limite è legato alla mobilità: rispetto alle versioni portatili il peso e l’ingombro sono evidenti. Bisogna considerare anche una pianificazione della pulizia dell’auto vista la necessità di spostarlo da casa alla macchina. Ma per quanto riguarda la potenza di aspirazione, con un set di beccucci specifici, l’aspirapolvere domestico resta un’opzione da considerare.

Accessori essenziali per aspirapolvere

Nella scelta del prodotto migliore la sola scelta della potenza non basta, come anticipato bisogna pensare anche alla durata della batteria e alla dotazione di accessori. Quest’ultimi, spesso sottovalutati, fanno davvero la differenza. Tra i più utili c’è la lancia lunga e sottile, perfetta per infilarsi tra i sedili o sotto i pedali. Le spazzole con setole morbide sono ideali per le plastiche del cruscotto, mentre le bocchette larghe aiutano a ripulire velocemente sedute e tappetini.

Esistono poi kit dedicati alla pulizia dell’auto, che includono tubi flessibili estendibili, adattatori per bocchette e panni in microfibra da usare in combinazione. Avere tutto a portata di mano permette di agire in modo sistematico, senza tralasciare gli spazi stretti o dover improvvisare con strumenti poco adatti.

Spazzola per i peli del cane

Se il vostro incubo peggiore è la polvere, vuol dire che non avete mai viaggiato insieme a un amico a quattro zampe. I peli degli animali sono tra i nemici più difficili da eliminare. Anche con il miglior aspiratore si fatica a rimuovere per parti incastrate nel tessuto o nella moquette. Per questo vengono in aiuto le spazzole specifiche con setole in gomma o silicone, progettate per “tirare fuori” i peli dei cani e convogliarli verso l’aspirazione.

L’abbinamento ideale è una passata iniziale con la spazzola con cui si raggruppano i peli, seguita da un’aspirazione mirata con beccuccio stretto. Alcuni modelli includono queste spazzole nel kit, altri vanno acquistati separatamente, ma in ogni caso si tratta di un investimento che fa la differenza per chi viaggia con il proprio amico peloso.

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280974 Gli aspirapolvere migliori per pulire l’auto a fondo
Pulizia interni auto: tutti i trucchi per farli tornare come nuovi https://www.virgilio.it/motori/info-utili/pulizia-interni-auto-consigli-utili/280816/ Wed, 04 Jun 2025 04:35:56 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280816 Secondo alcuni studi, gli italiani tendono a passare oltre 5 anni e mezzo della propria esistenza in auto. Perciò, allo stesso modo di come teniamo pulita la nostra casa, anche il nostro “domicilio su ruote” merita di essere un ambiente confortevole e igienico. Delle sane abitudini di ripristino dell’abitacolo permettono anche di mantenere i materiali in ottimo stato e rallentarne il naturale deterioramento. Per avere una vettura in perfetto stato non è necessario rivolgersi ai centri di detailing specializzati ma, nella maggioranza dei casi, basta un piccolo impegno periodico per ottenere una tappezzeria come nuova.

Primi passi per la pulizia dell’abitacolo

Prima di entrare nel merito di come rimuovere lo sporco da sedili e cruscotto, è necessario dare all’interno della vettura una prima sistemata, raccogliendo le varie cartacce e aspirando polvere, sabbia o sassolini nella parte bassa. Un buon aspirapolvere portatile aiuta a raggiungere fessure e angoli nascosti, come tra i sedili o sotto i tappetini. Per chi viaggia spesso con animali, esistono accessori pensati appositamente per rimuovere peli e polvere ostinata, anche dal tessuto più ruvido del bagagliaio.

Pulizia vetri: le tecniche e i prodotti migliori

Quando si inizia con la messa a nuovo di un abitacolo si parte dall’alto: i vetri. Per rendere cristallini parabrezza, finestrini e lunotto è importante utilizzare prodotti dedicati senza risciacquo, in grado di evitare fastidiosi aloni e mantenere una perfetta visibilità alla guida. La pulizia del parabrezza è un procedimento scomodo, che porta spesso a scarsi risultati vista la difficoltà nel raggiungere e strofinare bene le parti più lontane, per questo sul mercato si possono trovare degli accessori estensibili in grado di rendere tutto il lavoro più agevole e funzionale.

Cruscotto e plastiche: le parti più soggette a usura

Di tutti i materiali di cui è composto l’abitacolo di una macchina, la plastica è quello più soggetto a usura. Soffre la temperatura, l’utilizzo costante e gli sfregamenti a cui è sottoposto giornalmente. Mantenere le plastiche in buone condizioni con l’utilizzo di prodotti appositi fa in modo che possano durare a lungo senza rovinarsi o mostrare segni del tempo. Si inizia con un panno in microfibra asciutto o leggermente inumidito per rimuovere la polvere superficiale, prestando attenzione alle bocchette dell’aria, dove si annida lo sporco più ostinato. Per raggiungerle meglio si possono utilizzare dei piccoli pennelli.

Una volta rimosso il grosso, è il momento di passare al detergente: l’ideale è scegliere un prodotto delicato e antistatico, che non lasci residui oleosi e che, una volta asciutto, aiuti a respingere la polvere. I prodotti con finitura opaca sono particolarmente indicati per evitare riflessi fastidiosi sul parabrezza durante la guida. Da non dimenticare la parte bassa delle portiere e il tunnel centrale, entrambi quasi sempre in plastica.

Sedili auto: come rinnovare pelle e tessuto

Nei sedili trascorriamo tutto il tempo che passiamo in macchina e, dopo i tappetini, sono gli elementi più soggetti a macchie e sporco. A seconda che si tratti di tessuto, pelle o alcantara esistono prodotti specifici adatti a ogni esigenza:

Nel caso dei sedili in tessuto le macchie, il sudore e gli acari tendono a insinuarsi in profondità; per questo aspirazione e pulizia devono essere accurate. Si può utilizzare uno smacchiatore specifico a secco oppure optare per una soluzione liquida, l’importante è non eccedere con l’acqua e lasciar asciugare completamente, magari lasciando l’auto qualche ora con i finestrini aperti. Il pulitore a secco funziona con una schiuma che deve essere spazzolata sul tessuto e necessita di pochi minuti prima di essere assorbita completamente. Si presta così come uno degli accessori da avere sempre in auto per rimuovere velocemente macchie appena fatte e mantenere i sedili puliti e profumati con pochissimo tempo.

I sedili in pelle sono composti da una superficie esterna che non permette allo sporco di penetrare. Risulta quindi più facile la rimozione di macchie e sudore, ma è necessaria un’attenzione specifica per quanto riguarda l’idratazione: la pelle ha bisogno di detergenti delicati con azione nutriente, applicati con un panno in microfibra umido.

L’Alcantara, invece, somiglia al tessuto ma si comporta in modo molto diverso. Ha una texture vellutata che tende a trattenere polvere e residui, ma è anche molto sensibile ai prodotti troppo aggressivi. La regola generale è evitare il bagnato e preferire sempre una detersione a secco (l’auto si può lavare anche completamente senza acqua) con detergenti dedicati, seguita da una spazzolatura leggera per ripristinare il verso del tessuto.

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280816 I prodotti migliori per la pulizia dell'abitacolo
Come allungare la vita a un motore diesel https://www.virgilio.it/motori/info-utili/motore-diesel-quanto-dura/280819/ Tue, 03 Jun 2025 03:57:54 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280819 Il motore diesel è da sempre sinonimo di robustezza e longevità. Ma quanto può durare un propulsore a gasolio e quali sono i segreti per fargli raggiungere un chilometraggio elevato? Lo vediamo in questo articolo.

Quanti km dura un motore diesel

La questione relativa al chilometraggio massimo raggiungibile da un motore diesel è di grande interesse tra gli automobilisti, influenzando spesso le decisioni di acquisto. Sebbene non sia possibile fornire una cifra esatta, dato i molteplici fattori in gioco, è consolidato però il fatto che i propulsori a gasolio siano progettati per offrire una notevole robustezza e, se correttamente gestiti, una vita operativa estesa. Vediamo le aspettative che possiamo aspettarci sulla durata di un questi motori a gasolio:

  • chilometraggio elevato: una manutenzione regolare e attenta può realisticamente far superare i 300.000 – 400.000 chilometri senza manifestare particolari problematiche meccaniche. I veicoli di cilindrata medio-alta o impiegati per lunghe percorrenze costanti possono superare anche i 500.000 km mantenendo una buona efficienza;
  • durata per motori specifici: alcuni propulsori diesel, specialmente quelli di grande cubatura destinati a veicoli commerciali leggeri o mezzi da lavoro, sono progettati per resistere a stress operativi ancora maggiori e possono, in alcuni contesti, avvicinarsi o addirittura superare il milione di chilometri.

Il raggiungimento di tali chilometraggi dipende dalla qualità costruttiva, ma soprattutto dal mantenimento e dallo stile di utilizzo del motore.

Cosa influenza la durata

La vita utile di un diesel, sebbene elevata, è significativamente modulata da una serie di fattori interconnessi tra loro. Comprendere a fondo questi elementi permette all’automobilista di adottare le strategie più efficaci per massimizzare la durata di questi motori, mantenendoli efficienti e affidabili nel corso degli anni e dei chilometri. I principali aspetti che determinano la resistenza e la durata includono:

  • qualità e regolarità della manutenzione: il fattore più critico è quello del piano di manutenzione raccomandato dal costruttore, utilizzando oli, fluidi e ricambi conformi alle specifiche prescritte, è essenziale per prevenire usura precoce e malfunzionamenti;
  • stile di guida adottato: una guida fluida che eviti accelerazioni brusche a motore freddo, regimi di rotazione costantemente troppo elevati o, al contrario, l’utilizzo prolungato del motore a regimi troppo bassi sotto sforzo (sottocoppia), contribuisce a ridurre lo stress sui componenti meccanici;
  • tipologia di percorsi prevalenti: l’uso su percorsi urbani molto brevi può essere più usurante rispetto a percorrenze extraurbane o autostradali più lunghe. Questo consente al motore di operare a temperature di esercizio ottimali e favorisce i cicli di pulizia dei sistemi antinquinamento;
  • qualità del carburante e dei fluidi: l’impiego di combustibile di buona qualità, privo di acqua e impurità, evita il danneggiamento del sistema di iniezione. Allo stesso modo, l’utilizzo di olio motore e liquido refrigerante con le specifiche corrette è fondamentale;
  • gestione dei sistemi antinquinamento: i moderni motori diesel sono dotati di dispositivi come FAP/DPF, valvola EGR e sistemi SCR con AdBlue. Una corretta comprensione del loro funzionamento e delle loro esigenze (ad esempio, consentire la rigenerazione del FAP) è fondamentale per evitare problemi che possono ripercuotersi sull’efficienza del motore;
  • tempestività negli interventi: non trascurare i primi segnali di anomalie, come rumori insoliti, cali di prestazione, eccessiva fumosità o accensione di spie. Effettuare una diagnosi e una riparazione tempestiva, può prevenire danni maggiori e più costosi.

Saper comprendere e rispettare questi elementi definisce il percorso di vita del motore, in molti casi, superando anche le aspettative di durata.

Come capire quando il motore è vecchio

Determinare con esattezza quando un motore possa considerarsi “vecchio” o prossimo alla fine della sua vita, non si basa unicamente sul numero di chilometri percorsi o sugli anni di utilizzo. Sebbene questi siano indicatori importanti, lo stato di usura può essere rivelato da una serie di segnali e sintomi specifici che possono indicare un degrado significativo delle sue prestazioni e della sua efficienza meccanica. Riconoscere questi campanelli d’allarme è fondamentale per valutare la convenienza di eventuali riparazioni o per prepararsi a decisioni più importanti. Vediamo i sintomi più comuni a cui prestare attenzione:

  • consumo di olio lubrificante: un motore che inizia a consumare quantità eccessive di olio superiori alla norma, richiedendo rabbocchi frequenti tra un cambio e l’altro, spesso segnala un’usura avanzata delle fasce elastiche dei pistoni, dei gommini di tenuta delle valvole. Questo porta l’olio a trafilare in camera di combustione dove viene bruciato;
  • fumosità allo scarico: fumo bluastro, tracce di olio sulla parte posteriore della vettura e nel terminale di scarico sono un chiaro indicatore di olio bruciato in camera di combustione, sintomo diretto dell’usura sopra menzionata;
  • calo delle prestazioni: una perdita di potenza evidente o una ridotta capacità di accelerazione che non migliora con la manutenzione ordinaria, possono essere sintomi di una bassa compressione nei cilindri, dovuta all’usura di pistoni, fasce elastiche e cilindri stessi;
  • rumorosità meccanica anomala: battiti profondi e cupi o scampanellii possono indicare un’usura importante delle bronzine di biella, di banco o al pistone stesso;
  • difficoltà nell’avviamento: specialmente a freddo, se non risolvibile con la sostituzione di candelette, batteria o interventi sul motorino d’avviamento, può essere indice di bassa compressione, rendendo più ardua l’accensione del gasolio;
  • irregolarità di funzionamento: un motore consumato può manifestare un funzionamento meno regolare, con vibrazioni più marcate del normale, dovute a squilibri interni o a una combustione non uniforme tra i cilindri;
  • pressione olio bassa: se la spia della pressione dell’olio si accende frequentemente al minimo o la pressione letta da un manometro risulta costantemente inferiore ai valori prescritti, anche con olio nuovo.

La presenza contemporanea di più sintomi tra quelli elencati è solitamente un indicatore attendibile che il motore abbia raggiunto un elevato stato di usura. In tali circostanze, una diagnosi approfondita da parte di un meccanico, includendo magari un test di compressione, può aiutare a definire meglio lo stato di salute del propulsore e a valutare le opzioni disponibili.

Cosa fare per prevenire l’usura

Prevenire l’usura di un motore e massimizzare la sua durata è possibile attraverso l’adozione costante di una serie di buone pratiche. Queste azioni sono mirate a ridurre le sollecitazioni meccaniche e chimiche sui componenti aumentando efficienza e affidabilità, così da percorrere un elevato numero di chilometri. L’approccio preventivo è sempre più vantaggioso ed economico rispetto alla riparazione di eventuali anomalie al motore. Vediamo i punti fondamentali da adottare per ottimizzare la sua durata.

Manutenzione programmata

Fondamentale per il mantenimento di tutte le componentistiche del motore sia benzina che diesel è la sua manutenzione:

  • cambio olio filtro: rispettare gli intervalli prescritti dal costruttore, utilizzando lubrificanti con le esatte specifiche (viscosità SAE e classificazioni ACEA/API, inclusi oli “Low SAPS” per motori con FAP) . L’olio svolge le funzioni di lubrificazione, pulizia, raffreddamento e protezione dalla corrosione, per questo motivo utilizzare questo prodotto può aiutare a rendere più fluido e lubrificato il motore;
  • sostituzione filtri: ci sono due componenti importanti per il motore, il filtro gasolio, in quanto serve per proteggere il sistema di iniezione da impurità e acqua. Un’altra parte spesso trascurata è il filtro aria che assicura l’ingresso di aria pulita per una combustione ottimale;
  • sistema di raffreddamento: controllare regolarmente il livello del liquido refrigerante e sostituirlo secondo le scadenze utilizzando prodotti di qualità. Un raffreddamento efficiente previene surriscaldamenti dannosi.

Stile di guida

Il comportamento nella guida incide notevolmente sull’usura di tutte le parti del motore, per questo è bene seguire alcuni consigli:

  • riscaldamento progressivo: evitare sollecitazioni intense a motore freddo. Dopo l’avvio, attendere qualche istante evitando una guida sportiva per i primi chilometri;
  • evitare sforzi: sfruttare la coppia ai bassi-medi regimi tipica dei diesel, evitando sia regimi eccessivamente elevati sia il “sottocoppia” (motore a bassi giri sotto sforzo);
  • strade: alternare la guida urbana con tragitti extraurbani o autostradali per consentire al motore di operare a temperature ottimali e favorire la rigenerazione dei sistemi antinquinamento presente sui motori moderni;
  • raffreddamento: dopo guide impegnative, lasciare il motore al minimo per 30 secondi – 1 minuto prima dello spegnimento, così da permettere il raffreddamento delle parti del motore come per esempio la turbina.

Sistemi antinquinamento

Prestare attenzione ai sistemi come FAP/DPF, EGR e AdBlue può prevenire problemi che possono stressare il motore portandolo a possibili rotture:

  • FAP/DPF: favorire i cicli di rigenerazione con percorrenze in strade extraurbane evitando di interrompere la fase di pulizia. L’uso di additivi specifici per il serbatoio può aiutare a prevenire tale problema. Nel caso di intasamento elevato va effettuata comunque la pulizia del filtro FAP;
  • EGR: l’utilizzo di carburante di qualità limita la formazione di depositi. Nel caso di problemi, è possibile valutare la sua pulizia o in casi più gravi la sostituzione;
  • AdBlue: utilizzare AdBlue conforme ISO 22241, è consigliabile rabboccare prima di svuotare il serbatoio per evitare blocchi o riduzioni di prestazioni del veicolo. Utilizzare il prodotto che consigliamo di seguito aiuta ad evitare possibili cristallizzazioni che comprometterebbero pompa e iniettore AdBlue.

Carburante e additivi

Per mantenere in salute il motore è fondamentale alimentarlo con prodotti di qualità, se risulta necessario anche l’uso di additivi per gasolio possono aiutare a mantenere il sistema di iniezione pulito ed efficiente. Ma vediamolo in dettaglio:

  • gasolio: preferire carburanti di buona qualità, possibilmente con additivi detergenti, per mantenere pulito il sistema di iniezione e garantire una buona combustione, per questo è bene rifornirsi presso distributori affidabili;
  • additivi: selezionare additivi specifici per motori diesel di marchi noti, seguendo le istruzioni del produttore. Un uso periodico e preventivo è preferibile a interventi massicci o occasionali.

L’applicazione costante di queste misure preventive rappresenta la strategia più efficace per ridurre l’usura dei componenti, mantenere il motore in condizioni ottimali e garantirgli una vita operativa il più lunga e affidabile possibile..

Dura di più motore diesel o benzina?

Il dibattito sulla maggiore longevità dei motori diesel rispetto a quelli a benzina è un classico tra gli appassionati e un fattore considerato da molti acquirenti. Tradizionalmente, ai propulsori diesel è stata attribuita una durata superiore, ma è importante considerare anche le evoluzioni tecnologiche che hanno interessato entrambe le tipologie di motorizzazione. Storicamente, i motori diesel hanno goduto di una reputazione di maggiore robustezza per diverse ragioni tecniche:

  • costruzione più robusta: i motori diesel operano con rapporti di compressione più elevati rispetto ai motori a benzina. Questo richiede componenti interni (come monoblocco, testata, albero motore, bielle e pistoni) dimensionati e costruiti per sopportare stress meccanici e termici maggiori all’usura nel lungo periodo;
  • regime di rotazione: tendenzialmente, i motori diesel funzionano a regimi di rotazione mediamente più bassi rispetto ai benzina per erogare potenza e coppia. Un minor numero di giri al minuto si traduce, a parità di chilometraggio una minor usura complessiva;
  • lubrificanti del gasolio: il gasolio stesso possiede leggere proprietà lubrificanti superiori rispetto alla benzina, che possono contribuire a una minore usura di alcuni componenti del sistema di iniezione.

I motori a benzina moderni hanno compiuto enormi progressi in termini di efficienza, affidabilità e durata, grazie a:

  • tecnologie costruttive: anche i motori a benzina oggi beneficiano di leghe più resistenti, trattamenti superficiali avanzati e processi produttivi di alta precisione che ne hanno incrementato la longevità;
  • gestione elettronica: un controllo più preciso della combustione, dell’iniezione e dell’accensione contribuisce a ridurre lo stress termico e meccanico, ottimizzando il funzionamento e preservando i componenti.

In conclusione, sebbene i motori diesel, per concezione costruttiva, tendano ad avere una maggiore resistenza meccanica e quindi un potenziale di durata chilometrica superiore, la differenza effettiva rispetto ai moderni motori a benzina si è assottigliata. La longevità reale dipende oggi più che mai dalla qualità della manutenzione, dallo stile di guida, dalla tipologia di percorsi e dalla complessità dei sistemi ausiliari, inclusi quelli antinquinamento.

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280819 Manutenzione motore diesel
I ciclisti possono pedalare sulle strisce pedonali? Che cosa dice la legge https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/ciclisti-strisce-pedonali/280647/ Mon, 02 Jun 2025 05:00:40 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280647 La circolazione dei ciclisti sulle strisce pedonali è uno dei temi più fraintesi da chi si muove sulle due ruote. Il Codice della Strada non contiene una norma che vieti in modo esplicito ai ciclisti di attraversare sulle strisce in sella alla bicicletta. Una serie di articoli e regolamenti secondari, se letti con attenzione, chiariscono che la possibilità di attraversare pedalando è limitata e condizionata dalle circostanze.

Il punto di partenza per comprendere lo stato dell’arte è il comma 4 dell’articolo 182 che stabilisce come il ciclista debba condurre la bicicletta a mano qualora, per le condizioni della circolazione, il suo procedere risulti di intralcio o di pericolo per i pedoni. In pratica se ci si trova in un contesto urbano congestionato o si attraversano le strisce pedonali in mezzo ad altri utenti della strada, il ciclista ha l’obbligo di smontare dalla bici e camminare accanto al mezzo. Si comparta a tutti gli effetti come un pedone. È una norma che lascia ampi margini interpretativi, ma che affida alla prudenza e al buon senso la responsabilità di valutare le condizioni concrete.

Ancora più precisa è la disposizione contenuta nel Regolamento di esecuzione del Codice della Strada, all’articolo 377, comma 2, dove si stabilisce che in caso di attraversamento di carreggiate a traffico intenso o in ogni altra circostanza in cui ciò sia opportuno, il ciclista deve scendere e condurre il veicolo a mano. Anche qui, il legislatore non impone un divieto assoluto ma introduce una regola generale fondata sulla necessità di garantire la sicurezza stradale.

Laddove si presenti un rischio potenziale – incroci affollati, visibilità limitata, auto ferme in attesa – è il ciclista a doversi adeguare, senza pretendere di mantenere la precedenza che invece la legge riconosce solo al pedone a piedi.

Precedenza negata e rischio sanzioni

Uno degli aspetti meno noti riguarda la mancanza di diritto di precedenza per chi attraversa pedalando sulle strisce pedonali. Secondo l’interpretazione consolidata di giurisprudenza e dottrina, il ciclista in sella alla bici non viene considerato un pedone, bensì un veicolo. E poiché le strisce pedonali sono dedicate solo al transito pedonale, chi si immette pedalando lo fa a proprio rischio e pericolo, senza alcuna tutela legale in caso di incidente.

Significa che, anche nel malaugurato caso di urto o collisione con un’auto, la responsabilità non sarà automaticamente attribuita all’automobilista, anzi. Se il ciclista ha attraversato improvvisamente o senza rispettare la distanza di sicurezza, può essere ritenuto colpevole totale o concorrente del sinistro, soprattutto se l’automobilista ha rispettato i limiti e non ha potuto prevedere il comportamento irregolare. In aggiunta, la mancanza di precedenza può portare all’esclusione da eventuali risarcimenti assicurativi, proprio perché l’attraversamento non si configura come legittimo.

Dal punto di vista amministrativo, pur in assenza di una norma specifica che vieti tout court il passaggio sulle strisce pedalando, l’articolo 148 del Codice della Strada – che disciplina le manovre di sorpasso e precedenza – può essere utilizzato dalle forze dell’ordine per sanzionare comportamenti pericolosi o imprevedibili da parte dei ciclisti. In questi casi la multa varia tra 25 e 100 euro, a seconda della gravità e del contesto.

Segnaletica orizzontale e confusione percettiva

Un problema sottovalutato è la confusione generata da segnaletica sovrapposta. In molte città italiane, le piste ciclabili terminano a ridosso delle strisce pedonali senza un segnale che imponga la discesa dalla bici oppure l’attraversamento ciclabile non è tracciato con la dovuta chiarezza.

Questo porta molti ciclisti a considerare le zebre come parte naturale del proprio tracciato, senza interrogarsi sulla legittimità della manovra. Una segnaletica orizzontale ben progettata, con colorazioni distinte e segni grafici evidenti, aiuta a distinguere i percorsi riservati ai pedoni da quelli destinati ai velocipedi, evitando interpretazioni errate.

Ruolo dei vigili urbani e prassi applicative

Un altro aspetto che genera confusione è la diversità con cui le polizie municipali applicano le norme. In alcune città italiane, le forze dell’ordine tollerano il passaggio in bici sulle strisce purché avvenga lentamente e in assenza di pedoni.

In altre sono previste sanzioni più o meno sistematiche, anche per comportamenti ritenuti non pericolosi. Questa discrezionalità può portare a una percezione distorta delle regole e a comportamenti incoerenti da parte degli utenti, che si adeguano più alla prassi locale che alla legge scritta.

Responsabilità in caso di incidente su attraversamento pedonale

Quando un ciclista attraversa sulle strisce pedonali pedalando, e si verifica un incidente, il caso si complica sul piano giuridico. I tribunali italiani tendono ad analizzare non solo la dinamica, ma soprattutto la condotta del ciclista, valutando se abbia agito con prudenza o meno.

Se l’attraversamento è avvenuto in modo repentino, senza accertarsi che il veicolo si stesse arrestando, il comportamento può essere considerato imprudente o negligente, con conseguente responsabilità totale o parziale. Anche in termini penali, se il sinistro provoca lesioni, il ciclista rischia l’imputazione per colpa generica o per violazione delle norme di comportamento stradale.

Attraversamenti ciclabili, cosa sono e dove si trovano

L’unica situazione in cui un ciclista può legittimamente attraversare una carreggiata senza scendere dalla bicicletta è quando si trova di fronte a un attraversamento ciclabile ovvero una corsia trasversale alla carreggiata riservata ai velocipedi, riconoscibile grazie a segnaletica orizzontale composta da linee discontinue e un’apposita segnaletica verticale. In questi spazi, contigui alle strisce pedonali ma in ogni casi separati, i ciclisti possono pedalare mantenendo il diritto di precedenza rispetto ai veicoli che sopraggiungo. A condizione però che la visibilità sia buona e che non si metta a repentaglio la sicurezza altrui.

Gli attraversamenti ciclabili sono ancora poco diffusi in Italia e concentrati soprattutto in aree urbane che hanno adottato politiche di mobilità dolce e infrastrutture avanzate. In assenza della segnaletica, resta l’obbligo di scendere e condurre il veicolo a mano, soprattutto quando si attraversano strade a più corsie, incroci o punti a scarsa visibilità.

Va infine sottolineato a completamente dell’inquadramento della normativa in vigore che anche sugli attraversamenti ciclabili il diritto di precedenza non è assoluto. Il ciclista deve comunque assicurarsi che i veicoli si stiano fermando e che la manovra sia percepita in tempo, pena l’attribuzione di responsabilità in caso di mancato rispetto della prudenza dovuta.

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280647 Ciclisti sulle strisce: comportamento corretto o rischio multa?
Qual è la multa per chi supera i limiti di velocità in città per due volte in un anno https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/multa-limiti-velocita-citta/280650/ Mon, 02 Jun 2025 04:30:43 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280650 Se superare i limiti di velocità una sola volta comporta multe e decurtazioni di punti, farlo due volte nell’arco di 12 mesi modifica l’inquadramento dell’infrazione. Si passa da una sanzione amministrativa a una violazione aggravata con conseguenze più pesanti.

La ratio di questa norma si fonda su una logica preventiva e dissuasiva. L’obiettivo del legislatore è scoraggiare comportamenti pericolosi e ripetuti, che mettono a rischio la sicurezza di pedoni, ciclisti e altri utenti della strada, soprattutto in contesti urbani dove la presenza di attraversamenti, incroci, marciapiedi e scuole rende ogni chilometro orario in eccesso una potenziale minaccia. La legge distingue tra l’errore occasionale e la condotta reiterata e punisce in modo più severo quest’ultima.

Limiti superati due volte, quando scatta la sospensione della patente

La norma di riferimento è l’articolo 142 del Codice della Strada che disciplina le sanzioni in caso di superamento dei limiti di velocità. Se un conducente viola per due volte in 12 mesi la soglia compresa tra i 10 km/h e i 40 km/h oltre il limite massimo consentito, scatta una misura accessoria che va oltre la multa. Non si tratta più solo di pagare una sanzione pecuniaria, ma di affrontare la sospensione della patente da 15 a 30 giorni, a seconda della gravità e delle modalità dell’infrazione. La recidiva non è automatica: va accertata e verbalizzata dagli organi preposti e deve riferirsi a infrazioni avvenute esclusivamente in ambito urbano.

La multa in caso di superamento tra 10 e 40 km/h oscilla tra 173 e 695 euro, ma in presenza della seconda infrazione il minimo edittale viene aumentato a 220 euro, con un massimo di 880 euro, a testimonianza della maggiore gravità attribuita al comportamento. E si mantiene la decurtazione di tre punti dalla patente per ciascuna delle due infrazioni.

Se invece le violazioni hanno riguardato superamenti ancora più gravi, oltre i 40 km/h, si applicano sospensioni più lunghe e multe più consistenti, ma anche il rischio concreto di revoca della patente in caso di altre recidive entro il biennio.

L’evoluzione dell’elettronica di bordo offre oggi strumenti concreti per evitare la seconda infrazione. Le vetture più moderne sono dotate di limitatore intelligente di velocità, che si attiva in base al riconoscimento della segnaletica stradale. Alcuni modelli integrano avvisi acustici o vibrazioni del volante quando si supera la soglia impostata, mentre i sistemi più avanzati intervengono sul pedale dell’acceleratore

Controlli, contestazioni e ruoli di Polizia e Prefettura

L’accertamento della recidiva può avvenire in due modalità che dipendono da come viene rilevata la seconda infrazione. Se la seconda violazione viene contestata immediatamente da un agente in servizio, ed è presente nella banca dati del Ministero l’infrazione precedente già commessa nei 12 mesi antecedenti, la sospensione della patente può essere disposta su strada, con ritiro immediato del documento e trasmissione degli atti al Prefetto.

Nel caso in cui l’infrazione venga rilevata tramite dispositivi automatici, come autovelox o tutor, e quindi non contestata al conducente, è la Prefettura competente per territorio a intervenire. Dopo aver ricevuto la comunicazione dall’organo accertatore, verifica se i presupposti della recidiva e, in caso positivo, emette un provvedimento di sospensione, notificato al titolare della patente.

In seguito del ritiro o della sospensione, non è consentito guidare fino alla scadenza del termine stabilito, pena ulteriori sanzioni e il rischio di denuncia penale per guida con patente sospesa.

Perché i limiti in città contano di più

Superare i limiti di velocità in città non è un’infrazione come le altre. In ambito urbano la velocità massima è di norma fissata a 50 km/h, con riduzioni fino a 30 km/h in prossimità di scuole, ospedali, zone residenziali o ciclabili. In questi contesti, anche un piccolo aumento della velocità può risultare decisivo in caso di impatto.

Gli studi dimostrano che un veicolo che viaggia a 50 km/h ha bisogno di circa 25-28 metri per fermarsi completamente, ma basta un eccesso di 10 km/h per raddoppiare il rischio di provocare lesioni più.

L’introduzione delle Zone 30 in alcune città italiane va letta proprio in quest’ottica. Ridurre la velocità consente di abbattere il rischio d’incidente, di aumentare il tempo di reazione e di mitigare le conseguenze fisiche in caso di urto.

La diffusione dei dispositivi di controllo della velocità – autovelox, telecamere intelligenti, radar stradali, sistemi tutor urbani – ha aumentato la possibilità di essere sanzionati anche senza la presenza fisica degli agenti. Ecco allora che segnalare la presenza di rilevatori di velocità, predisporre cartelli ben visibili e adottare una segnaletica coerente e trasparente sono elementi che aiutano a contenere le infrazioni e costruire una cultura della sicurezza.

Cosa succede dopo la sospensione

Al termine del periodo di sospensione stabilito dal Prefetto o dal verbale immediato, il conducente è chiamato a seguire una procedura per ottenere la restituzione della patente. Il documento viene riconsegnato previo accertamento di avvenuta scadenza del periodo sospensivo e della regolarità della posizione amministrativa. La recidiva incide sul saldo punti della patente e, in caso di azzeramento, può portare all’obbligo di sostenere di nuovo l’esame di teoria e pratica. In base alla gravità complessiva del comportamento, il Prefetto può richiedere una visita di idoneità psicofisica, da effettuare davanti alla commissione medica locale.

Per chi utilizza l’auto per lavoro, la sospensione della patente può avere effetti economici e professionali. Alcuni contratti assicurativi prevedono clausole penalizzanti in caso di sospensione per recidiva, che comportano aumenti di premio o perdita di copertura Rc. Anche il rinnovo del documento può subire dei ritardi nel caso in cui siano state commesse più infrazioni gravi in un arco temporale ravvicinato.

Premi, classi di merito e rischio di revoca

Una delle conseguenze della recidiva per eccesso di velocità è il suo impatto sulla classe di merito assicurativa. Le compagnie considerano le sospensioni della patente per motivi di sicurezza stradale come indicatori di rischiosità elevata.

Quando un conducente viene sanzionato per due violazioni in un anno, con conseguente sospensione, il suo profilo assicurativo peggiora anche senza sinistri. In alcuni casi può scattare un aumento del premio annuale oppure l’esclusione dalle tariffe più favorevoli. In presenza di assicurazioni pay per use o legate a dispositivi telematici, una recidiva può comportare la disattivazione della polizza o la rinegoziazione del contratto con condizioni peggiorative.

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280650 Due infrazioni in dodici mesi per eccesso di velocità, multe e sospensione in arrivo
Mancata assicurazione auto: ZTL e semafori possono rilevarla? La risposta https://www.virgilio.it/motori/info-utili/rc-auto-e-assicurazioni/mancata-assicurazione-auto-ztl-semafori/280654/ Sun, 01 Jun 2025 04:24:25 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280654 La digitalizzazione delle banche dati della Motorizzazione Civile e delle compagnie assicurative ha aperto lo scenario del controllo automatizzato della copertura assicurativa RC Auto e della revisione periodica dei veicoli in circolazione attraverso le telecamere delle ZTL, i sistemi semaforici intelligenti e gli autovelox. Ma se da un punto di vista tecnologico è possibile, sotto il profilo giuridico la situazione resta più intricata. A oggi l’utilizzo delle telecamere per questo tipo di accertamenti non è ancora operativo, nonostante alcune norme del Codice della Strada lo prevedano espressamente.

Cosa prevede la legge

L’articolo 193 del Codice della Strada stabilisce che la mancanza della copertura assicurativa obbligatoria possa essere accertata anche tramite il confronto dei dati delle polizze presenti nei database delle compagnie con le immagini dei veicoli rilevati da dispositivi elettronici, come gli autovelox o le telecamere di accesso alle zone a traffico limitato.

Un principio simile è stato introdotto anche per il controllo della revisione scaduta, con l’intento di rendere più efficiente e capillare la sorveglianza su strada. Affinché queste disposizioni diventino operative servono i decreti attuativi che definiscano le caratteristiche tecniche degli strumenti, le modalità di trattamento dei dati personali, i limiti operativi e le condizioni di utilizzo.

Le banche dati e l’interoperabilità

Il fulcro tecnico della questione risiede nell’interoperabilità tra il sistema di rilevamento ottico e le banche dati pubbliche. Quando un veicolo commette un’infrazione rilevata da una telecamera – ad esempio entrare senza permesso in una ZTL – l’immagine della targa viene acquisita in automatica e associata a un verbale.

Il software può effettuare anche un controllo incrociato tra la targa registrata e i database pubblici, per verificare se quel mezzo sia coperto da regolare polizza Rc auto o se risulti sprovvisto di assicurazione. Questo processo è tecnicamente possibile e autorizzato, ma soltanto se è scaturito da un primo illecito, altrimenti l’utilizzo della targa per finalità diverse violerebbe le disposizioni sulla privacy e sulla limitazione dell’uso dei dati personali.

Qual è la situazione attuale

Nonostante il potenziale della tecnologia e le intenzioni del legislatore, allo stato attuale nessuna telecamera può accertare in modo autonomo e automatico l’assenza di assicurazione o di revisione, a meno che il veicolo non abbia già commesso un’infrazione per cui il sistema è stato omologato.

In altre parole, se un’automobile transita sotto una telecamera di una ZTL o supera un semaforo controllato da un dispositivo elettronico, non può essere controllata per l’assicurazione o la revisione se non ha violato un divieto d’accesso o superato il rosso. Gli autovelox, ad esempio, sono tarati per rilevare solo le infrazioni di velocità: non scattano la foto a tutte le auto in transito, ma solo a quelle che superano i limiti previsti.

Per queste ultime, una volta scattata l’immagine, è teoricamente possibile incrociare i dati della targa con gli archivi pubblici della RC auto e della revisione, ma anche in questo caso non è ammessa una contestazione automatica, bensì un invito al proprietario del mezzo a presentare i documenti richiesti.

Omologazione e uso autonomo delle telecamere

Un altro nodo riguarda infatti la mancata omologazione dei dispositivi elettronici per il rilevamento della mancanza di assicurazione. Le telecamere in uso per la gestione del traffico, comprese quelle posizionate nei pressi dei semafori o dei varchi ZTL, non sono state ancora omologate per questo tipo di funzione autonoma.

Secondo quanto chiarito dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, affinché una telecamera possa essere usata per rilevare automaticamente la mancata copertura assicurativa senza la necessità di un’infrazione correlata, è necessario che sia sottoposta a un iter di approvazione tecnico-normativa. Questo vincolo blocca di fatto la possibilità per i Comuni di utilizzare queste tecnologie come strumenti di controllo massivo e preventivo.

Cosa dicono la giurisprudenza e il Garante della Privacy

Il Tar del Veneto ha chiarito che non è legittimo un sistema che effettui controlli a tappeto su tutti i veicoli che passano davanti a un varco, se questi non sono stati fermati o non hanno commesso un’infrazione per la quale il dispositivo è stato approvato. Secondo i giudici amministrativi, un sistema automatico di controllo non può essere utilizzato per scopi diversi da quelli autorizzati, e comunque deve rispettare il principio di proporzionalità nel trattamento dei dati personali.

Questa posizione è allineata con quanto ribadito più volte dal Garante per la protezione dei dati personali, secondo cui la raccolta e l’elaborazione delle informazioni deve sempre essere necessaria e pertinente rispetto all’obiettivo perseguito. Tradotto in termini concreti, significa che un Comune non può dotarsi di una telecamera omologata per registrare gli accessi in ZTL e poi utilizzare lo stesso dispositivo per verificare la regolarità assicurativa di tutti i veicoli in transito, a prescindere dal fatto che abbiano violato o meno un divieto.

ZTL, semafori e autovelox: strumenti diversi, logiche comuni

Non va dimenticato che anche altri strumenti di controllo, come gli autovelox fissi, possono essere utilizzati per rilevare eventuali scoperture assicurative, sempre a patto che ci sia una violazione della velocità. La logica normativa è la medesima: l’infrazione attiva il controllo, ma in assenza, il solo transito non basta a legittimare l’accesso ai dati.

È un principio volto a tutelare il cittadino da un uso eccessivo dei sistemi di sorveglianza, ma che allo stesso tempo limita la capacità repressiva delle istituzioni nei confronti dei veicoli irregolari.

Accanto ai sistemi fissi, sempre più corpi di polizia municipale utilizzano dispositivi mobili di lettura targhe, montati su auto di pattuglia o collocabili su cavalletti temporanei. Questi strumenti, a differenza dei varchi ZTL o dei semafori intelligenti, sono usati in modo mirato durante controlli programmati e non sono soggetti alle stesse restrizioni sull’uso passivo dei dati.

Cosa accade se si guida senza assicurazione e si viene intercettati

Nel caso in cui un veicolo entri in una zona soggetta a videosorveglianza senza autorizzazione, e risulti anche privo di assicurazione, il sistema può rilevare entrambi i dati e trasmetterli all’autorità competente. Il conducente riceverà quindi non solo il verbale per accesso non autorizzato in ZTL, ma anche una sanzione per mancata copertura assicurativa, che comporta una multa molto severa.

L’importo varia da 849 a 3.396 euro, a cui si aggiunge il sequestro amministrativo del veicolo e la decurtazione di cinque punti dalla patente. In caso di recidiva entro due anni, la sanzione raddoppia e può essere disposta anche la sospensione della patente da uno a due mesi.

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280654 Auto non assicurata: la targa può essere intercettata dai sistemi ZTL
Amazon Echo in auto in offerta: Alexa sempre a bordo https://www.virgilio.it/motori/info-utili/amazon-echo-auto-offerta/280774/ Sat, 31 May 2025 04:00:34 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280774 C’è chi non può fare a meno del caffè al mattino, chi della radio accesa in cucina e chi – ormai – di Alexa, l’assistente vocale di Amazon. E per questi ultimi c’è una buona notizia: da qualche tempo Alexa si può portare anche in macchina. Si chiama Amazon Echo Auto ed è il dispositivo pensato proprio per trasformare ogni vettura in una macchina intelligente. Si tratta di un piccolo dispositivo, grande quanto un pacchetto di caramella, che si collega in un attimo e vi permette di avere Alexa sempre a portata di comando vocale. Perché la voce, qui, è tutto. Vi spiegate con lei, e lei risponde.

L’offerta da non perdere

Echo Auto 2 è pensato per l’auto, non è un semplice adattamento. Ha cinque microfoni, studiati per captare la vostra voce anche con finestrini aperti, musica accesa o bimbi urlanti sul sedile posteriore. Certo, se parlate con tono da oracolo greco o sussurrate come in un confessionale, anche Alexa avrà qualche difficoltà. Ma nella guida quotidiana è reattiva, veloce, e non si fa pregare. Il tempo di dire “Alexa” e lei è già lì, pronta a obbedire.

Questo è il momento giusto: Echo Auto è in super offerta con uno sconto clamoroso del 57% che porta il prezzo a 29,99 euro. Un’occasione irripetibile per chi vuole avere Alexa sempre a portata di voce, anche durante la guida. A questo prezzo, portare la comodità dell’assistente vocale Amazon nella vostra auto è non solo facile, ma anche conveniente. Approfittatene ora prima che l’offerta finisca: trasformate ogni tragitto in un’esperienza tecnologica, sicura e connessa.

Come funziona

Amazon Echo Auto è un dispositivo compatto, elegante, sobrio. Si alimenta con la presa accendisigari o una porta USB e si collega allo stereo dell’auto tramite Bluetooth oppure con un cavetto jack da 3,5 mm, per chi guida auto di qualche annetto fa.

La connessione a Internet? Viene fornita dallo smartphone. Echo Auto non ha una SIM né un modem integrato: sfrutta il traffico dati del telefono, al quale si connette tramite l’app Alexa (gratuita, disponibile per iOS e Android). Serve una linea stabile? Sì, ma oggi basta una rete 4G decente per farla funzionare senza intoppi. Una volta collegato, Echo Auto fa esattamente ciò che fa un altoparlante Echo domestico: risponde ai comandi vocali, esegue richieste, lancia app, mette musica. Il tutto senza mani, senza schermi, senza distrazioni.

A cosa serve Alexa in macchina

Quando ci si siede al volante, ogni gesto è un potenziale pericolo. Toccare lo schermo, cercare un contatto, saltare una canzone, controllare le info sul display: sono tutte distrazioni. Echo Auto risolve il problema, perché basta darle un comando con la voce e lei esegue.

Alexa, chiama casa”, e lei chiama. “Alexa, metti la stazione radio tal dei tali”, e parte la diretta. “Alexa, com’è il traffico sulla tangenziale?”, e aggiorna in tempo reale. E così via. In più, è possibile controllare i dispositivi smart di casa: “Alexa, accendi il riscaldamento”, ancora prima di rientrare. O accendere le luci del vialetto mentre fate manovra. Questa è domotica integrata.

Il telefono deve essere sempre connesso

Nessun dispositivo è perfetto. Echo Auto 2 richiede sempre il telefono connesso e attivo. Se finite il traffico dati, Alexa tace. Se lo smartphone è scarico, idem. Inoltre, la qualità audio dipende dallo stereo dell’auto: se avete una cassa gracchiante, non aspettatevi miracoli. Infine, se avete paura della privacy, è possibile disattivarla quando si vuole, come in casa. Il microfono si spegne con un tasto, e il dispositivo vi mostra un LED arancione per segnalare che non sta più ascoltando.

Il prezzo

Per poco più di 69 euro, come ripetiamo è in questi giorni in offerta (non perdete l’occasione a 29,99 euro!) Amazon Echo Auto di seconda generazione è un piccolo investimento che migliora l’esperienza di guida. Non vi trasforma la macchina in Kitt di Supercar, ma toglie un po’ di stress, evita multe per uso del cellulare e rende l’auto più connessa, più moderna e più comoda. Insomma, se siete già nel mondo Alexa, è un’estensione naturale. Se non lo siete, può essere il modo più semplice per entrarci.

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280774 Amazon Echo Auto
Auto diesel Euro 5, come riconoscerla e cosa cambia da ottobre 2025 https://www.virgilio.it/motori/info-utili/manutenzione/auto-diesel-euro-5-come-riconoscerla/280792/ Fri, 30 May 2025 04:30:03 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280792 Dal primo ottobre 2025, le auto diesel omologate Euro 5 saranno soggette a nuovi divieti di circolazione in alcune delle Regioni più popolose e industrializzate del Nord Italia. Il provvedimento riguarda Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna, dove le amministrazioni locali hanno deciso di vietare l’accesso alle aree urbane a queste vetture considerate ancora troppo inquinanti, nonostante siano state immatricolate tra il 2011 e il 2015.

In forma meno strutturata il blocco interesserà anche il Veneto e con l’avvicinarsi dell’autunno può estendersi ad altri territori. Il fine è abbattere i livelli di particolato PM10, NOx e altre sostanze nocive per la salute e per l’ambiente, responsabilità storicamente attribuite ai motori a gasolio.

Come identificare un’auto diesel Euro 5

Per sapere se la propria auto rientra nella categoria delle Euro 5 bisogna consultare la carta di circolazione. Nei libretti più recenti, stampati in formato europeo A4, l’informazione è riportata nella sezione V.9, dove viene indicata la classe ambientale secondo le normative europee sulle emissioni. Nei documenti più datati bisogna leggere tra le righe del riquadro 2, dove alcune sigle come 715/2007*692/2008 identificano appunto le auto Euro 5.

Per chi preferisce uno strumento digitale, c’è il Portale dell’Automobilista, servizio online messo a disposizione dal Ministero delle Infrastrutture: basta inserire il numero di targa per ottenere tutti i dati sull’omologazione e sul livello di emissioni. Non si tratta di un dettaglio: da questa informazione dipende la possibilità di continuare a utilizzare il proprio veicolo o l’obbligo di rivedere le proprie abitudini di mobilità.

Cosa cambia da ottobre nelle regioni coinvolte

A partire dall’autunno 2025, le limitazioni alla circolazione delle auto diesel Euro 5 saranno più severe rispetto agli anni precedenti. In Lombardia, lo stop riguarderà i giorni feriali, dal lunedì al venerdì, dalle 7.30 alle 19.30, nei principali centri urbani e nei comuni con più di 30.000 abitanti.

In Piemonte, il divieto scatterà nei mesi più freddi, tra il primo ottobre e il 15 aprile, ogni anno, dalle 8.30 alle 18.30, e riguarderà le città più popolose. L’Emilia-Romagna si muoverà con criteri simili e coinvolgerà i capoluoghi e le aree metropolitane.

Il rischio, per chi ignora queste regole è anche di tipo economico: le sanzioni amministrative possono superare i 168 euro e in caso di recidiva è prevista la sospensione della patente per un periodo compreso tra 15 e 30 giorni.

Le nuove restrizioni alla circolazione delle auto diesel Euro 5 avranno un impatto su coloro che utilizzano tutti i giorni il proprio veicolo per recarsi al lavoro o per abitudini e necessità personali. Molti pendolari saranno chiamati a costretti a rivedere le proprie abitudini di mobilità e considerare alternative come il trasporto pubblico, il carpooling o l’acquisto di un nuovo veicolo conforme alle normative ambientali più recenti. La transizione verso la normativa aggiornata comporterà quindi costi aggiuntivi e richiederà un adeguamento delle routine quotidiane.

Le opzioni disponibili per chi possiede un diesel Euro 5

I cittadini in possesso di un’auto diesel Euro 5, tutto sommato recente e ancora funzionante, si trovano davanti a un bivio. La prima possibilità è di installare il dispositivo Move-In, acronimo di Monitoraggio veicoli inquinanti. Si tratta di una sorta di scatola nera che consente di monitorare gli spostamenti del veicolo e consentire così di circolare all’interno delle zone a traffico limitato ma entro un limite massimo di chilometri annuali.

In Lombardia, ad esempio, il tetto è fissato a 10.000 km all’anno. Questa soluzione è utile per chi utilizza l’auto solo per tragitti brevi, magari durante i fine settimana o per esigenze sporadiche. Un’altra opzione è la vendita del veicolo, ma attenzione: più ci si avvicina alla data del blocco, più il valore residuo dell’auto tende a scendere. C’è ancora una domanda viva in molte regioni italiane non raggiunte dalle restrizioni e trovare un acquirente disposto a pagare un prezzo equo è ancora possibile.

Un’alternativa è l’acquisto di un’auto usata a benzina, meglio se con una classe ambientale Euro 4 o Euro 5, che al momento non rientrano nei blocchi più severi. Questa scelta permette di risparmiare rispetto all’acquisto di un’auto nuova senza le limitazioni previste per i diesel. Vale la pena precisare che il mercato dell’usato in Italia sta vivendo una fase di inflazione, anche per effetto di queste stesse misure di circolazione, che alterano la domanda e l’offerta.

Il mercato delle auto usate potrebbe subire fluttuazioni a causa delle nuove restrizioni. È verosimile credere che le auto diesel Euro 5, considerate affidabili e convenienti, registreranno una diminuzione della domanda e di conseguenza una svalutazione del loro valore residuo. Al contrario, veicoli a benzina o ibridi conformi alle normative Euro 6 diventeranno più richiesti  influenzeranno i prezzi e la disponibilità sul mercato dell’usato.

Per chi ha possibilità economiche maggiori, la soluzione definitiva è cambiare l’auto ovvero acquistare per un modello omologato Euro 6 o una ibrida o un’elettrica.  Le nuove auto a batteria o con motori a combustione ibrida sono escluse da qualsiasi tipo di restrizione urbana, almeno per il prossimo decennio. Ma è innegabile che questa sia una scelta costosa, e non tutti possono permettersi di affrontare un esborso immediato di diverse migliaia di euro. Oltre ai veicoli elettrici, soluzioni come l’idrogeno, i biocarburanti e i sistemi di guida autonoma potrebbero guadagnare terreno. L’innovazione tecnologica offrirà alternative sostenibili e accessibili agli automobilisti.

L’opzione del noleggio a lungo termine

Per chi cerca flessibilità, un’opzione interessante è il noleggio a lungo termine, una formula che consente di accedere a veicoli sempre aggiornati in termini di normative senza l’obsolescenza tecnologica e i costi di manutenzione imprevisti. In questo modo si può restare in regola, non impegnarsi nell’acquisto di un bene che potrebbe perdere rapidamente valore. Va da sé che si tratta di una formula adatta a chi ha esigenze di mobilità continuativa e a chi non intende mantenere lo stesso veicolo per un lungo arco temporale.

In questo contesto le aziende con flotte di veicoli diesel Euro 5 sono chiamate ad affrontare decisioni strategiche. La sostituzione dei veicoli non conformi comporta investimenti, ma è anche un’opportunità per modernizzare la flotta e ridurre l’impronta ambientale. Anche sul versante business, le imprese possono considerare il leasing o il noleggio a lungo termine di veicoli elettrici o ibridi come soluzioni più flessibili e sostenibili.

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280792 Diesel Euro 5, come capire se la propria auto sarà bloccata da ottobre 2025
Come lavare l’auto senza acqua, i prodotti indispensabili https://www.virgilio.it/motori/info-utili/lavare-auto-senza-acqua-prodotti/280770/ Thu, 29 May 2025 14:09:14 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280770 Per anni ci hanno detto che lavare l’auto senza acqua era un’eresia, un controsenso, una di quelle stranezze da fanatici dell’ecologia. E invece eccoci qui, nel 2025, a raccontarvi che l’auto si può lavare anche senza un goccio d’acqua. Non solo è possibile: è consigliabile, pratico, veloce e – cosa che in tempi di siccità e bollette alle stelle non guasta – pure conveniente.

Il lavaggio senz’acqua, che in gergo tecnico si chiama “waterless wash”, è ormai una realtà consolidata, amata non solo da chi abita in condominio e non ha il giardino per scatenare la canna dell’acqua, ma anche dai professionisti del detailing, quelli che la macchina  la trattano meglio di un salotto. In fondo, l’auto è il nostro biglietto da visita: e allora perché lasciarla sporca, quando basta un kit essenziale per farla tornare a brillare? Vediamo dunque cosa serve per lavare l’auto senz’acqua e ottenere un risultato degno di una carrozzeria appena uscita da un autolavaggio professionale.

Il prodotto waterless: il fulcro del sistema

Partiamo dall’indispensabile: il prodotto specifico per il lavaggio a secco. Si tratta di una soluzione a base di polimeri e tensioattivi che sciolgono lo sporco, lo incapsulano e permettono di rimuoverlo senza graffiare la vernice. Non è acqua, ma fa miracoli.

I marchi si sprecano, ma la scelta dipende dal budget e dal livello di brillantezza desiderato. La logica è sempre la stessa: spruzzate, lasciate agire qualche secondo, passate con un panno in microfibra, e il gioco è fatto. Il consiglio è di non lesinare sulla qualità del prodotto: risparmiare pochi euro qui vuol dire rischiare di rigare la carrozzeria o lasciare aloni.

I panni in microfibra: guai a sottovalutarli

Chi pensa che basti un vecchio straccio per tirare a lucido la macchina si sbaglia di grosso. Il lavaggio senz’acqua richiede panni in microfibra di alta qualità, e più ne avete, meglio è. Almeno quattro: due per rimuovere lo sporco, due per rifinire e lucidare.

La microfibra trattiene le particelle senza graffiare, e se usata bene può fare davvero la differenza. Lavate spesso i panni (senza ammorbidente, mi raccomando) e conservateli lontano dalla polvere. Il nemico, qui, è invisibile: un granello di sabbia basta a rovinare la vernice. E non dimenticate che il panno in microfibra è molto utile anche per la pulizia degli interni dell’auto.

Clay bar e quick detailer

Non è obbligatorio, ma se volete fare un lavoro da veri maniaci del dettaglio, una clay bar con quick detailer può completare l’opera. Dopo il lavaggio a secco, la clay bar – un composto morbido – rimuove le impurità più ostinate: resina, catrame, residui di insetti. È come passare un rasoio su un viso già rasato: esce fuori una superficie liscia come uno specchio. Il quick detailer, invece, è una finitura spray che regala lucentezza e protegge la carrozzeria. Due passate e l’auto sembra pronta per un servizio fotografico.

Anche gli interni si possono pulire senz’acqua. Con un pulitore multiuso a secco (tipo il classico “Super Cleaner” di Ma-Fra) potete ravvivare plastiche, cruscotto, portiere. Per i vetri, serve un glass cleaner specifico che non lasci aloni. Anche qui, panno in microfibra e movimenti circolari.

Quando ci sono fango e sabbia, allora ci vuole l’acqua

Ora, un po’ di sano realismo. Il lavaggio senz’acqua non è adatto se l’auto è completamente infangata o coperta di sabbia. In quei casi, meglio un prelavaggio ad acqua per non rischiare danni. Ma per la normale polvere di città, la pioggerella, il classico smog da traffico: funziona alla grande. Dunque, lavare l’auto senz’acqua è più che una moda: è una soluzione intelligente, ecologica e – perché no – elegante. Bastano i prodotti giusti, un po’ di attenzione e quella sana dose di cura per ciò che ci accompagna ogni giorno. Del resto, l’auto è una seconda casa. Trattatela come merita.

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280770 Lavaggio auto senza acqua
Quanto costa oggi la patente da privatista o in autoscuola https://www.virgilio.it/motori/info-utili/patente/quanto-costa-privatista-autoscuola/280479/ Wed, 28 May 2025 05:40:20 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=280479 In teoria è semplice: vuoi guidare? Ti serve la patente. In pratica, però, entra in gioco una delle domande più fastidiose che ti puoi fare prima ancora di toccare un volante: quanto mi costa? Spoiler: una cifra unica non esiste, né tantomeno una risposta chiara. Perché tra autoscuole che definiscono politiche differenti, moduli da pagare con bollettini vecchio stampo, guide da acquistare a parte, e visite mediche, tirare le somme rischia di diventare un rebus semi-irrisolvibile.

In autoscuola o da privatista

Puoi provarci da privatista, incasinarti con la burocrazia, studiarti i testi da solo e prenotarti esami e guide. Oppure vai in autoscuola e ti affidi a loro: fanno tutto, ma paghi. E non poco. Inoltre, ci sono le variabili che nessuno ti dice subito: se sbagli l’esame? Ripaghi. Se ti servono più guide? Aggiungi. Alla fine dei conti, la patente non è una passeggiata. Tra moduli, attese che sembrano infinite, ansia da quiz e guide da infilare tra mille impegni, è un percorso a ostacoli. E se ci arrivi impreparato, ti svena. O la fai bene, o ti si ritorce contro.

Se vuoi cavartela da privatista, oggi ti bastano uno smartphone e un po’ di pazienza. Ci sono app fatte bene che ti piazzano davanti i quiz esattamente come li troverai all’esame. Alcune sono gratis, altre costano 5, 10, al massimo 20 euro. Preferisci ancora il manuale cartaceo, da sfogliare e sottolineare? In quel caso te la cavi con 10-15 euro.

Il Codice della Strada? Online lo trovi ovunque, anche gratis. Ma da qui a definirlo piacevole ce ne passa: la tua pazienza verrà messa a dura prova. E comunque occhio: l’esame si fa al computer, quindi anche se ami carta e penna, conviene allenarsi con quiz digitali. L’obiettivo non è tanto imparare a memoria, quanto entrare nel ritmo, capire il formato e riconoscere al volo quei trabocchetti messi per fregarti.

A un certo punto smetti di contare i test. Li guardi e li riconosci, come facce viste troppe volte: quello con le precedenze strane, quello sul triangolo riflettente che sembra scritto per confonderti. E lo accetti: bisogna entrarci dentro. Prenderli in mano, rigirarli, sentire dove ti sfuggono. Vuoi davvero spendere meno? Devi prenderti tutto sulle spalle. Significa niente autoscuola, niente aiuti: sei tu a gestire documenti, scadenze, prenotazioni, pagamenti, visite. Se ti perdi un passaggio, tocca ricominciare da capo.

L’iter da seguire

Il primo ostacolo è la burocrazia. Trovati il modulo giusto (il T2212), scaricalo dal Portale dell’Automobilista, compilalo senza sbagliare. Dopodiché, prenota la visita medica — di solito dai 30 ai 50 euro — e saldi un paio di bollettini PagoPA: uno da 16 euro per il certificato medico, gli altri per l’esame, 26,40 più altri 16. Fai i conti e ci stai dentro con 80-110 euro, ma solo per questa prima parte. Non hai ancora guidato, non hai ancora sbagliato quiz, non ti sei ancora fatto salire il sangue agli occhi per la marca da bollo mancante.

Superata la teoria, arriva il foglio rosa. E non si scherza più. Ti autorizza a circolare, sì, ma dentro una gabbia di regole. Serve un accompagnatore con almeno 10 anni di patente, le autostrade sono vietate, così come le sessioni notturne. Insomma: puoi uscire, ma entro certi parametri. Se pensavi “ora mi diverto”, aspetta ancora un po’.

Con il foglio rosa in tasca puoi esercitarti al volante. Ma solo se:

  • Sei accompagnato da una persona con patente B da almeno 10 anni
  • L’accompagnatore ha meno di 65 anni
  • L’auto su cui guidi ha assicurazione compatibile (no polizze con “guida esclusiva”)

Molti si esercitano con genitori, fratelli, amici. Ed è un buon modo per abbattere i costi. Ma c’è un punto obbligatorio che non puoi aggirare: devi sostenere 6 ore di guida con un istruttore certificato. Il prezzo? Dipende dalla zona, ma siamo intorno a 45 euro l’ora. Quindi il pacchetto base ti costa circa 270 euro. Aggiungi altri 16 euro per la marca da bollo da pagare via PagoPA per l’esame pratico, e il conto minimo è intorno a 286 euro. Ovviamente, se non ti senti pronto, puoi esercitarti più ore. Ma ogni lezione extra costa.

Alla fine, quasi tutti si buttano sull’autoscuola: vince la comodità. Ti iscrivi e ti dicono loro cosa fare, quando, e come prepararti. Ti risparmi bollettini da cercare, niente incastri con gli appuntamenti, niente corse tra portali online. Paghi, ti affidi, e segui il percorso. Il problema? È comodo, ma pesa sul portafoglio. Esclusivamente per il corso teorico ti partono circa 200 euro, a volte di più.

L’esame di guida

Poi ci sono le guide obbligatorie: sei ore minime, e già sfiori i 300. In mezzo ci stanno iscrizione, esami, visite, bolli: il pacchetto intero. E anche se sulla carta alcune cose sono “comprese”, alla fine il conto arriva: difficile uscirne sotto gli 800 euro, spesso si va oltre i mille. E non è finita. Se il tuo istruttore decide che non sei pronto per l’esame, ti fa fare altre guide. Ogni ora in più? Una quarantina di euro che volano via, senza tante discussioni. Magari bastava prendere un altro po’ più di confidenza, ma sei nelle loro mani. E se dici no, rischi di vanificare gli sforzi.

Arriva un momento in cui il prezzo smette di essere il centro del mondo. Apri il portafoglio, sì, ma intanto succedono altre cose. Tra guardare le date, raccogliere i fogli, stare dietro alle scadenze senza che qualcuno ti avvisi, il ritmo si fa frenetico. La parte difficile non è nemmeno il quiz in sé, è il prima. Il modo in cui ti ci avvicini. Ti siedi, leggi la prima domanda e ti sembra di averla vista innumerevoli volte, ma qualcosa stona. Magari è solo una parola cambiata, o un dettaglio infilato apposta per farti cadere. Capita. Anche a chi ha fatto tutti i quiz del mondo.

L’anticamera dell’ultimo tratto: l’esame pratico. Quel giorno non conta se hai sostenuto dieci guide o trenta. Importa come ti svegli, quanto ti trema la gamba sulla frizione, e se ti ricordi dove stanno i fendinebbia. È un colpo secco, una prova concentrata in dieci, quindici minuti. E ti accorgi che il percorso per arrivarci era giusto un riscaldamento. E quando finalmente ci arrivi, se tiri una riga e fai i conti, spesso hai speso tra i 700 e gli 800 euro. Anche senza lussi, anche senza sbagli. Solo per arrivare lì, davanti a quel volante.

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280479 Il costo della patente
Segnali di obbligo: cosa bisogna fare https://www.virgilio.it/motori/info-utili/patente/segnali-obbligo-quiz/279877/ Mon, 26 May 2025 02:18:29 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=279877 I segnali di obbligo sono una categoria di segnali stradali che indicano ai conducenti e ai pedoni un comportamento che è obbligatorio seguire per legge in una determinata situazione. Si distinguono dai segnali di divieto (che vietano certe azioni) e da quelli di pericolo (che segnalano situazioni rischiose), perché impongono direttamente un’azione da compiere.

Il nostro quiz patente

Fai il nostro quiz della patente sui segnali di divieto, mettiti alla prova!

Come riconoscere i segnali di obbligo

Allora, diciamolo subito: i segnali di obbligo li riconoscete a colpo d’occhio, perché hanno uno stile tutto loro.

Ecco le dritte per non sbagliarsi:

  • sono tondi: quindi, appena vedete un segnale circolare, drizzate le antenne: potrebbe essere un obbligo;
  • sono blu: il colore non mente. Se lo sfondo è blu, è quasi sempre un segnale che vi dice cosa dovete fare, non cosa è vietato;
  • dentro ci trovate un simbolo bianco: una freccia, una bici, un pedone, un casco? Quel simbolo bianco vi dice esattamente cosa dovete fare. Non c’è da interpretare: è un ordine, punto.

Facciamo degli esempi concreti: se vedete una freccia bianca su sfondo blu, allora dovete andare in quella direzione, non si discute. C’è un simbolo di bicicletta bianco su sfondo blu? I ciclisti devono passare di lì, niente scorciatoie. Un omino che cammina, tutto bianco, sul fondo blu? Solo pedoni, e se siete in auto, state lontani.

Come comportarsi in presenza di questi cartelli

Li vedete ogni giorno, sulle strade delle vostre città, in montagna, nei pressi dei cantieri o lungo le piste ciclabili. Sono tondi, blu, con simboli bianchi ben visibili. Parliamo dei segnali di obbligo, una categoria di segnaletica che non lascia spazio a interpretazioni: quello che indicano, lo dovete fare. Senza se e senza ma.

Davanti a un segnale di obbligo, la regola è una sola: ubbidire immediatamente. Questi cartelli non vi danno un consiglio, ma vi impongono un comportamento preciso, previsto dal Codice della Strada. Se vedete, per esempio, una freccia bianca su sfondo blu che punta a destra, dovete obbligatoriamente svoltare in quella direzione. Nessuna scorciatoia, nessuna deroga. È un ordine. Stesso discorso per la pista ciclabile obbligatoria: se siete in sella a una bicicletta e trovate quel segnale, non potete proseguire sulla carreggiata, dovete spostarvi sulla pista indicata.

Questi segnali servono a mantenere l’ordine e la sicurezza sulle strade. Seguendoli, contribuite a evitare incidenti, a ridurre i rischi e a garantire una circolazione fluida. Ignorarli, oltre che pericoloso, è anche costoso: le sanzioni per il mancato rispetto dei segnali di obbligo possono essere salate e, in certi casi, accompagnate da punti tolti dalla patente.

Dove si possono incontrare

Questi sono gli scenari più plausibili dove incontrare dei segnali d’obbligo:

  • vicino ai cantieri stradali: per deviare il traffico in sicurezza;
  • agli incroci e nei sensi unici: per indicare la direzione obbligatoria;
  • su strade di montagna o innevate: per l’obbligo di catene o pneumatici invernali;
  • lungo piste ciclabili: per obbligare i ciclisti a seguire il percorso previsto;
  • in aree pedonali: per separare il traffico dai pedoni;
  • in presenza di ostacoli o spartitraffico: per obbligare a passare da un lato specifico;
  • in zone a traffico limitato o regolamentato: per controllare flussi di veicoli o utenti.
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279877 Segnali di obbligo: quali sono
Qual è la distanza laterale di sicurezza minima da un ciclista in fase di sorpasso https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/distanza-sicurezza-auto-ciclista-sorpasso/279906/ Sun, 25 May 2025 05:00:02 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=279906 Con l’aumento dell’uso della bicicletta, tanto per esigenze quotidiane quanto per scopi sportivi o turistici, è irrinunciabile regolare i comportamenti al volante in funzione della vulnerabilità di chi pedala. L’infrastruttura urbana non sempre è pronta ad accogliere la coabitazione tra mezzi motorizzati e biciclette e di conseguenza l’adozione di comportamenti consapevoli non è un dettaglio. Tra le disposizioni aggiornate c’è anche la definizione della distanza laterale di sicurezza da mantenere durante il sorpasso di un ciclista. La norma da considerazioni tecniche e da un nuovo approccio culturale che pone la vita umana al centro delle scelte legislative.

La legge italiana

Il legislatore ha modificato l’articolo 148 del Codice della Strada con l’introduzione dell’obbligo per i conducenti di veicoli a motore di mantenere una distanza non inferiore a 1,5 metri nel momento in cui si effettua il sorpasso di una bicicletta. Questo margine minimo, che fino a poco tempo fa era solo raccomandato, è ora un vincolo normativo pensato per ridurre gli incidenti tra veicoli e utenti a due ruote e per tutelare in chi si sposta senza protezioni passive.

La norma si applica in tutte le circostanze in cui un veicolo sorpassa una bicicletta, indipendentemente dalla tipologia della strada o dalla velocità del traffico.

Le ragioni della distanza minima obbligatoria

Il ciclista, a differenza dell’automobilista, è esposto ai rischi fisici e, in caso di impatto, anche lieve, può riportare lesioni gravi. La stabilità della bicicletta può essere compromessa da vari fattori esterni, tra cui il passaggio ravvicinato di un’autovettura o di un mezzo pesante, che può generare una scia d’aria pericolosa o creare panico nel ciclista stesso.

Il margine di 1,5 metri non è quindi arbitrario, ma nasce da studi tecnici che dimostrano come una distanza inferiore aumenti il rischio di sbandata, perdita dell’equilibrio o collisione. A cui si aggiunge il fattore psicologico: il passaggio troppo vicino di un’auto può generare paura e disorientamento in chi pedala, così da compromettere la reattività e la concentrazione.

Il sorpasso in curva o in salita

Sorpassare un ciclista in curva o in salita è una delle manovre più rischiose. In questi casi, la visibilità è ridotta e i tempi di reazione sono inferiori. Il Codice della Strada consente il sorpasso solo quando vi sia piena visibilità e spazio sufficiente. In assenza di queste condizioni, il sorpasso diventa vietato e pericoloso.

Responsabilità nei mezzi pesanti

I conducenti di autobus e camion hanno una responsabilità ancora maggiore nei confronti dei ciclisti. A causa della scarsa visibilità laterale e del raggio di sterzata, questi veicoli devono osservare una prudenza estrema. Alcune aziende di trasporto stanno già dotando i mezzi di sensori laterali per prevenire collisioni durante i sorpassi o le svolte.

Applicabilità della norma in ogni contesto

La distanza minima dalle biciclette in fase di sorpasso non è valida solo in ambito extraurbano. Anche nei contesti cittadini, più affollati e complessi, il rispetto del margine di sicurezza è obbligatorio, sempre che vi sia spazio sufficiente per eseguire la manovra in sicurezza. Se la carreggiata non consente un sorpasso nel rispetto della distanza imposta, l’automobilista ha l’obbligo di rinunciare alla manovra e attendere una condizione più favorevole.

Questo principio si fonda sulla regola generale secondo cui la sicurezza ha sempre priorità sulla fluidità del traffico. In particolare nei centri storici, nelle zone 30 o lungo percorsi scolastici la guida difensiva consente di anticipare i comportamenti di tutti gli utenti, ciclisti compresi.

Le sanzioni per il mancato rispetto

Chi non rispetta il limite minimo previsto va incontro a sanzioni pecuniarie che variano in funzione della gravità della condotta. Le multe vanno da 167 euro a oltre 600 euro, soprattutto in caso di manovre pericolose o che mettano a rischio l’incolumità del ciclista. Se il mancato rispetto della distanza causa un sinistro, il conducente può essere perseguito penalmente per lesioni personali colpose o persino per omicidio stradale. In questi casi l’autorità giudiziaria valuta non solo l’evento in sé, ma anche il comportamento preventivo del conducente.

Quando la prudenza supera la norma

Il legislatore ha tenuto conto anche delle condizioni ambientali che possono influenzare la sicurezza del sorpasso. In presenza di vento forte, pioggia, manto stradale sdrucciolevole o visibilità ridotta, il margine laterale dovrebbe essere aumentato.

In questi casi, il buon senso e la prudenza diventano strumenti indispensabili, ben oltre l’applicazione letterale della norma. Ogni conducente ha infatti il dovere giuridico e morale di valutare la situazione in tempo reale e di adattare la propria condotta alle condizioni effettive della strada. In pratica rispettare la lettera della legge non basta: serve interpretarne lo spirito.

Un confronto europeo che rafforza il principio

L’Italia si è allineata a quanto già previsto in molti altri Paesi europei. In Francia è obbligatorio mantenere 1,5 metri di distanza fuori dai centri abitati e almeno 1 metro all’interno delle aree urbane. In Spagna, la norma impone agli automobilisti di cambiare corsia, se possibile, quando si supera un ciclista. In Germania, il margine di sicurezza varia da 1,5 a 2 metri.

L’orientamento internazionale è chiaro: dare più spazio ai ciclisti è una priorità condivisa. Questo raffronto evidenzia come il sorpasso sicuro sia un principio condiviso che unisce i Paesi europei nella tutela dell’utenza debole.

Anche i ciclisti hanno dei doveri

Il sorpasso dei ciclisti è quindi una manovra che richiede consapevolezza, attenzione e pazienza. L’automobilista è chiamato a valutare attentamente la situazione, rallentare se necessario e attendere che ci siano le condizioni ideali per effettuare la manovra in piena sicurezza.

Il ciclista, dal canto suo, deve mantenere una condotta prevedibile, senza movimenti bruschi o improvvisi. Questa interazione tra due utenti della strada, apparentemente semplice, è in realtà uno dei momenti più delicati della guida.

Il rispetto del Codice della Strada è vincolante anche per i ciclisti che devono segnalare le svolte, rispettare la segnaletica, non occupare la carreggiata in modo improprio e, quando previsto, procedere in fila indiana. In ogni caso, i nuovi veicoli stanno integrando tecnologie sempre più sofisticate per la rilevazione di oggetti o persone vicino al veicolo. I sistemi di monitoraggio dell’angolo cieco e gli allarmi di sorpasso assistito evitano incidenti.

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279906 Sorpassare un ciclista senza rischi, i metri della sicurezza
È obbligatorio per tutti indossare il casco sul monopattino elettrico? La legge https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/obbligo-casco-monopattino-elettrico/279914/ Sun, 25 May 2025 04:00:42 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=279914 Se l’adozione dei monopattini elettrici è stata una svolta nel modo di concepire gli spostamenti brevi, il loro impiego ha sollevato molte questioni legate alla sicurezza stradale. Il legislatore è intervenuto con una riforma organica del Codice della Strada e tra i provvedimenti c’è l’obbligo generalizzato di indossare il casco per tutti gli utilizzatori, indipendentemente dall’età. Questa misura ha come finalità la riduzione del numero di lesioni craniche, percentuale per nulla trascurabile delle conseguenze più gravi associate agli incidenti con monopattini.

Perché la norma è diventata necessaria

La decisione di estendere questo obbligo anche agli adulti e non solo ai minorenni, come previsto dalla normativa prima dell’aggiornamento. nasce dall’analisi dei dati sull’incidentalità urbana. L’Istituto Superiore di Sanità e le compagnie assicurative italiane hanno evidenziato un aumento consistente di sinistri legati ai monopattini provocati da cadute autonome o collisioni con veicoli. In troppi casi l’assenza del casco ha comportato conseguenze gravi o addirittura letali.

L’obbligo universale si è rivelato una scelta inevitabile per uniformare la normativa e per rafforzare il messaggio di attenzione verso la sicurezza. Dopodiché la diffusione di servizi di sharing ha reso urgente un quadro normativo valido per tutta la popolazione, in grado di rispondere con efficacia a una nuova realtà urbana.

Requisiti tecnici del casco e sanzioni previste

Secondo la riforma, il casco deve essere conforme agli standard europei UNI EN 1078 o UNI EN 1080. Non sono ammessi dispositivi generici o non omologati. Le forze dell’ordine possono verificare la presenza e la conformità del casco e in caso di inosservanza sono previste multe tra 50 e 250 euro, con aggravanti se la violazione è reiterata o provoca danni a persone.

Il legislatore ha quindi previsto l’obbligo per i noleggiatori di monopattini di informare l’utente sull’obbligatorietà del casco e, nei casi in cui il servizio lo consenta, di fornire dispositivi di protezione a richiesta. In prospettiva, si ipotizza l’inserimento di meccanismi di blocco del monopattino in assenza di conferma dell’uso del casco.

Un quadro normativo più ampio

L’obbligo del casco è solo una delle misure previste dalla riforma. Sono ora richiesti anche targa identificativa, indicatori luminosi direzionali, segnalatori di frenata attivi e una copertura assicurativa obbligatoria. L’obiettivo è ridurre il vuoto normativo che ha caratterizzato gli anni precedenti con l’equiparazione graduale dei monopattini a mezzi più tradizionali, come ciclomotori e scooter.

Il nuovo quadro normativo bilancia libertà di movimento e doveri civici in un contesto in cui la mobilità leggera si configura come una risorsa per decongestionare le città e ridurre l’impatto ambientale.

L’opinione pubblica non ha uniformità di giudizio sull’obbligo del casco. Alcuni lo vivono come una limitazione alla libertà personale. Altri lo ritengono un provvedimento utile e necessario, soprattutto in considerazione del numero crescente di utenti inesperti o distratti. In ogni caso il messaggio è chiaro: la strada è un ambiente complesso, e la sicurezza è un bene comune. L’obbligo diventa così un’occasione per diffondere una cultura della prevenzione e della responsabilità, spesso trascurata nella gestione dei mezzi alternativi.

Le reazioni dei produttori

I costruttori di monopattini elettrici hanno accolto positivamente l’introduzione dell’obbligo, perché apre la strada a una maggiore strutturazione del mercato. Alcune aziende stanno progettando veicoli che comunicano direttamente con i caschi smart, in grado di rilevare urti, registrare la posizione GPS e persino attivare sistemi di allerta in caso di caduta.

Il settore del monopattino sharing ha dovuto adattarsi rapidamente alle nuove disposizioni. Molte piattaforme stanno introducendo sistemi di prenotazione vincolati alla dichiarazione dell’uso del casco, oppure punti di raccolta dove è possibile ritirare dispositivi di protezione prima di iniziare il tragitto. Alcune città stanno sperimentando armadietti intelligenti con caschi igienizzati nei pressi dei parcheggi condivisi così da non scoraggiare l’utilizzo ma garantire maggiore sicurezza.

Un cambio rispetto al passato

Prima della riforma, solo i minorenni erano obbligati a indossare il casco. Oggi la regola vale per tutti, senza eccezioni, nemmeno per chi utilizza il monopattino su brevi tratti o in zone pedonali. Questa uniformità normativa rende più semplice l’applicazione e più efficace il controllo. La novità è stata accompagnata da campagne di sensibilizzazione istituzionali, realizzate in collaborazione con enti locali e associazioni di promozione della mobilità sostenibile.

Molti Paesi dell’Unione hanno già adottato regole simili, anche se non sempre uniformi. In Francia il casco è obbligatorio per i minori, ma raccomandato per tutti. In Spagna e Germania, la normativa varia da città a città e il sistema è a macchia di leopardo. L’Italia ha optato per un approccio più rigido e omogeneo, puntando alla chiarezza normativa e alla tutela preventiva.

Sicurezza e stile, il casco come accessorio urbano

La percezione del casco sta comunque cambiando. Oggi esistono modelli leggeri, pieghevoli, ben disegnati, pensati per chi si muove in città. I produttori stanno rispondendo alle nuove esigenze trasformando un obbligo in un elemento di design e praticità, in linea con lo stile urbano contemporaneo. L’estetica, la funzionalità e il comfort diventano fattori sempre più decisivi nella scelta di un casco e contribuiscono alla sua accettazione sociale. In questo contesto anche l’uso del casco può diventare un segno di attenzione e consapevolezza e non solo un’imposizione normativa.

Un passo verso una mobilità più matura

La misura si inserisce nel progetto di rendere la micromobilità più sicura e strutturata. Le nuove regole servono a normare e a educare a un uso più consapevole dei mezzi elettrici leggeri. Oltre all’aspetto sanzionatorio, la legge punta molto sull’educazione di tutti gli utenti della strada. I corsi per il conseguimento della patente e le campagne scolastiche di educazione civica stanno cominciando a prevedere moduli dedicati alla micromobilità, con simulazioni sull’uso del casco. L’obiettivo è evitare che l’errore avvenga. La cultura della prevenzione parte dall’informazione.

In aggiunta l’introduzione dell’obbligo del casco per i conducenti di monopattini elettrici ha avuto ricadute anche sul settore assicurativo con alcune compagnie che stanno cominciando a offrire prodotti pensati per i conducenti di monopattini con tariffe più vantaggiose per chi dichiara l’uso costante del casco. Alcuni pacchetti assicurativi prevendono coperture aggiuntive per infortuni alla testa così da rafforzare il messaggio che il rispetto della norma può avere anche benefici economici per l’utente.

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279914 Guida in monopattino elettrico, il casco è sempre obbligatorio?
Autovelox non omologati, multe illegittime: cosa dicono Cassazione e Ministero https://www.virgilio.it/motori/info-utili/autovelox-non-omologati-multe-illegittime/279537/ Sat, 24 May 2025 04:30:48 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=279537 La questione della legittimità degli autovelox non omologati è ancora oggi uno dei nodi più controversi del diritto amministrativo degli ultimi anni. La disputa ruota attorno a due termini tecnici che, per anni, sono stati ritenuti sinonimi da Ministeri, enti locali e produttori di apparecchiature per la rilevazione della velocità: approvazione e omologazione.

Tre posizioni della Corte di Cassazione, di cui l’ultima del 6 maggio 2025 (la 12924 del 2025), hanno però smentito questa equiparazione e aperto una frattura interpretativa profonda con il Ministero dell’Interno. Il Viminale, al contrario, continua infatti a sostenere la piena equivalenza tra le due procedure.

La Cassazione: approvazione e omologazione non sono la stessa cosa

La nuova pronuncia della Cassazione ha riaffermato un principio già espresso nel 2024. Ha chiarito che l’approvazione tecnica di un autovelox da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti non può essere considerata giuridicamente equivalente all’omologazione, come invece sostenuto nelle circolari ministeriali emanate negli ultimi mesi.

La Suprema Corte, nel motivare la propria decisione, ha evidenziato come l’articolo 142, comma 6, del Codice della Strada richieda espressamente la preventiva omologazione degli strumenti destinati ad accertare le infrazioni ai limiti di velocità. Questo passaggio normativo, secondo i togati, non può essere aggirato attraverso interpretazioni ministeriali che non trovano fondamento in alcuna fonte primaria del diritto.

Di conseguenza, ogni accertamento effettuato con apparecchiature solo approvate e non omologate è da considerarsi giuridicamente nullo. In termini pratici, le sanzioni amministrative sono annullabili.

Una delle argomentazioni sollevate dalle amministrazioni locali, quando chiamate a rispondere della legittimità degli autovelox, è la cosiddetta buona fede amministrativa. Secondo questa tesi, i Comuni si sarebbero affidati a pareri tecnici e interpretazioni ministeriali considerate autorevoli. La decisione della Cassazione chiarisce che non è sufficiente per garantire la legittimità dell’atto amministrativo. La responsabilità giuridica non viene annullata dalla fiducia nelle circolari: quando l’omologazione è assente, la sanzione è invalida, indipendentemente dall’intento o dalla diligenza soggettiva dell’amministrazione.

La distinzione tecnica tra approvazione e omologazione

La differenza tra approvazione e omologazione, al centro della disputa, non è una questione terminologica. L’approvazione consiste nella valutazione tecnica di un modello di dispositivo, che, una volta approvato, può essere prodotto in serie e commercializzato. Questo processo non comporta alcun collaudo funzionale dei singoli esemplari installati sul territorio.

L’omologazione è invece un procedimento più articolato che prevede il collaudo ministeriale dell’apparecchio con verifiche sul suo funzionamento, sulla sua precisione e sulla sua idoneità a rilevare infrazioni che possono portare a multe, decurtazioni di punti e alla sospensione della patente.

In altri termini, mentre l’approvazione certifica che un dispositivo è adatto allo scopo secondo standard generici, l’omologazione garantisce che il dispositivo sia legalmente autorizzato a fare da strumento di prova nella procedura sanzionatoria.

La nuova ordinanza della Suprema Corte

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 12924 del 6 maggio 2025, è tornata a esprimersi sulla legittimità delle sanzioni emesse tramite autovelox che non siano stati oggetto di formale omologazione ministeriale. Il caso prende avvio da un ricorso proposto da un cittadino che aveva ricevuto una multa per eccesso di velocità rilevato da un dispositivo privo della omologazione. Dopo il rigetto del ricorso in primo e secondo grado, la Cassazione ha accolto il reclamo del ricorrente e ribaltato la decisione del Giudice di pace.

La Suprema Corte ha affermato che l’approvazione tecnica di un apparecchio non equivale giuridicamente alla sua omologazione. Secondo la normativa in vigore – in particolare il comma 6 dell’articolo 142 del Codice della Strada – gli strumenti utilizzati per l’accertamento delle violazioni ai limiti di velocità devono essere debitamente omologati. La distinzione, osservano i giudici, non è solo semantica: l’approvazione riguarda la conformità del modello, mentre l’omologazione certifica l’idoneità all’uso giuridico attraverso controlli funzionali e prestazionali. Questa distinzione è risolutiva perché – in assenza di omologazione – viene meno la validità probatoria dell’accertamento.

Si legge testualmente che “è illegittimo l’accertamento eseguito con apparecchio autovelox approvato ma non debitamente omologato, atteso che la preventiva approvazione dello strumento di rilevazione elettronica della velocità non può ritenersi equipollente, sul piano giuridico, all’omologazione ministeriale prescritta dall’art. 142, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992”.

I giudici hanno sottolineato che le circolari ministeriali che tentano di assimilare i due concetti sulla base di pareri dell’Avvocatura dello Stato, non possono modificare l’interpretazione autentica di una norma primaria. Questi atti amministrativi non hanno forza normativa e non possono derogare alle disposizioni di legge né vincolare il giudice nella valutazione della legittimità delle sanzioni.

La risposta del Ministero, la circolare che smentisce la giurisprudenza

Nonostante la posizione della Suprema Corte, il Ministero dell’Interno ha diffuso la circolare 995 del 2025, basata su un parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, che ribadisce la tesi secondo cui approvazione e omologazione siano in sostanza equiparabili.

Secondo questa interpretazione amministrativa, la mancanza di una formale omologazione non invaliderebbe la validità degli accertamenti purché l’apparecchio risulti approvato secondo i criteri ministeriali. Questa presa di posizione è stata però contestata dalla Cassazione che ha ribadito l’irrilevanza giuridica di una circolare ministeriale rispetto a una norma di legge e ha ricordato che i giudici non sono tenuti a conformarsi a interpretazioni amministrative prive di rango normativo.

Cosa cambia per automobilisti, Comuni e giudici di pace

Questa contrapposizione ha generato un clima di incertezza giuridica con conseguenze tanto per gli automobilisti quanto per i Comuni e le forze dell’ordine. Da un lato, migliaia di cittadini multati dispongono ora di un fondamento per ricorrere contro sanzioni emesse da autovelox non omologati. Dall’altro lato, molte amministrazioni comunali continuano a installare e utilizzare dispositivi solo approvati, ma privi del timbro di omologazione, esponendosi così al rischio di dover restituire ingenti somme in caso di contenziosi giudiziari sfavorevoli.

Il tavolo tecnico interministeriale

La discrepanza tra giurisprudenza e amministrazione centrale ha reso necessario l’avvio di un tavolo tecnico interministeriale, coordinato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con la partecipazione dell’Anci, del Ministero dell’Interno e del Ministero delle Imprese. Si punta ad armonizzare le normative tecniche e definire la procedura per l’autorizzazione all’uso dei dispositivi di rilevazione automatica della velocità. Fino a quando non verrà emanata una norma di rango primario che chiarisca la questione, i giudici continueranno a fare riferimento alla giurisprudenza prevalente, che oggi pende dalla parte dell’illegittimità delle multe emesse da autovelox privi di omologazione.

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279537 Autovelox senza omologazione, multe illegittime per la Cassazione
Come fare la pulizia del FAP fai da te e quali additivi usare https://www.virgilio.it/motori/info-utili/pulizia-fap-fai-da-te-additivi/279691/ Sat, 24 May 2025 04:25:58 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=279691 Trattare l’intasamento del FAP (Filtro Anti Particolato) o DPF (Diesel Particulate Filter) con soluzioni fai da te e additivi specifici, è un’opzione pratica per gli automobilisti alla ricerca di un’alternativa all’officina. Questi prodotti offrono risultati rapidi ed economici, ma è fondamentale capire se questi metodi sono efficaci e come utilizzarli correttamente per evitare danni e sprechi economici.

Cos’è il FAP e perché si intasa

Il Filtro Anti Particolato (conosciuto anche come DPF) è un componente fondamentale nei veicoli diesel moderni. La sua funzione è catturare le particelle inquinanti dai gas di scarico. Questo dispositivo, sviluppato per ridurre le emissioni, può però intasarsi compromettendo le prestazioni del motore. L’intasamento si verifica principalmente a causa dell’eccessivo accumulo di fuliggine che non viene bruciata correttamente tramite la rigenerazione, oppure per l’accumulo di ceneri, i motivi principali sono:

  • tragitti brevi e guida urbana: non si raggiungono le temperature ottimali per la rigenerazione automatica;
  • interruzione delle rigenerazioni: spegnere il motore durante un ciclo di rigenerazione ne impedisce il completamento, lasciando residui;
  • problemi al motore: malfunzionamenti di iniettori, valvola EGR o turbina possono aumentare la produzione di fuliggine;
  • olio motore non conforme: l’utilizzo di oli con un elevato contenuto di ceneri (non Low-SAPS) accelera l’accumulo di residui incombusti nel FAP.

L’accumulo eccessivo di fuliggine non bruciata e, nel lungo termine, delle ceneri, riduce la capacità di filtrazione e aumenta la contropressione sullo scarico, compromettendo le prestazioni del motore e potendo causare danni a cascata.

Pulizia fai da te con additivi

La domanda che molti automobilisti si pongono è se utilizzare additivi possa realmente risolvere l’intasamento del FAP. È importante essere chiari, in quanto la pulizia fatta in autonomia con questi prodotti ha un’efficacia, ma può essere limitata rispetto a quella di un intervento professionale. Il risultato dipende molto dal tipo e dal livello di intasamento del filtro. Ecco cosa aspettarsi quando si utilizzano questi additivi e quali sono i loro limiti:

  • agiscono principalmente sulla fuliggine: questi prodotti sono formulati per facilitare la combustione della fuliggine, il particolato carbonioso che si accumula nel filtro;
  • abbassano la temperatura di rigenerazione: aiutano il FAP ad auto-pulirsi anche a temperature dei gas di scarico inferiori rispetto a quelle normalmente richieste, un vantaggio soprattutto per chi guida spesso in città o su brevi tragitti;
  • sono utili per la prevenzione: l’uso regolare contribuisce a mantenere il filtro più pulito nel tempo e a prevenire l’accumulo eccessivo di particolato;
  • aiutano in caso di intasamenti lievi: se la spia del DPF si è accesa da poco e i sintomi sono minimi, un trattamento con questi detergenti seguiti da una guida adeguata aiuta la rigenerazione.

L’efficacia degli additivi diminuisce drasticamente in presenza di ceneri, residui incombusti che non bruciano alle normali temperature di rigenerazione. Un FAP gravemente intasato, soprattutto con un elevato accumulo di ceneri, non potrà essere pulito solo con additivi, in questi casi, l’intervento professionale è l’unica via per ripristinarne la piena efficienza.

Tipologie di prodotti

Per la pulizia in autonomia, il mercato offre diverse soluzioni chimiche. Le principali opzioni si distinguono per la modalità di applicazione – in quanto alcune richiedono manualità e attrezzature specifiche – e per il tipo di azione più o meno invasiva.

Additivi per il serbatoio

Questa è la soluzione più accessibile per la pulizia fai da te, non servono attrezzature particolari ma vengono versati direttamente nel serbatoio del carburante e servono principalmente come prevenzione o per trattare forme lievi di intasamento. I benefici sono comunque moltissimi:

  • agiscono principalmente sulla fuliggine, facilitandone la combustione nel filtro;
  • abbassano la temperatura di rigenerazione, aiutando il DPF ad auto-pulirsi anche a basse temperature;
  • sono utili per la prevenzione, mantenendo il filtro più pulito nel tempo;
  • aiutano in caso di intasamenti lievi, specialmente se la spia del DPF si è accesa da poco.

L’esperto consiglia questi prodotti, facilmente reperibili su Amazon e di semplice utilizzo:

Kit spray con sonda specifica

I detergenti in bombolette spray, spesso con una sonda flessibile, permettono un’applicazione mirata direttamente all’interno del filtro antiparticolato e risultati migliori:

  • consentono un’applicazione diretta nel FAP, tramite la rimozione di un sensore, per raggiungere il filtro;
  • agiscono sciogliendo i depositi di fuliggine e, in parte, le ceneri, facilitandone la rimozione;
  • sono indicati per intasamenti più ostinati rispetto agli additivi da serbatoio, offrendo un’azione più concentrata;
  • richiedono una rigenerazione successiva per bruciare ed espellere i residui disciolti, fondamentale per il risultato.

Il meccanico consiglia:

Detergente con applicatore specifico

Questa categoria include liquidi più concentrati per un trattamento ancora più professionale e “aggressivo”, meno indicati per una persona con poca manualità in quanto richiedono l’uso di un applicatore esterno, come una pistola o una pompa. Vengono iniettati direttamente all’interno del filtro offrendo:

  • applicazione mirata: il prodotto viene introdotto con precisione tramite l’applicatore, dopo la rimozione del sensore temperatura gas di scarico o del sensore di pressione differenziale;
  • azione chimica profonda: la loro formulazione è progettata per sciogliere e disgregare depositi carboniosi e ceneri accumulate;
  • necessità di post-trattamento: è fondamentale eseguire una rigenerazione (anche diagnostica) per eliminare i residui disciolti;
  • soluzione per depositi specifici: sono indicati per accumuli significativi che altri metodi non riescono a intaccare.

Procedura pulizia fai da te

Prima di procedere con la pulizia è fondamentale capire quando intervenire e come farlo al meglio, con i prodotti giusti, per ottenere risultati efficaci. Ogni metodo di pulizia richiede una sequenza specifica da seguire con attenzione per massimizzare i benefici. Possiamo semplificarla con questi 4 passaggi:

  1. selezione del prodotto: scegliere l’additivo o il kit più adatto al proprio caso, basandosi soprattutto sul livello di intasamento e dal tempo di accensione della spia del DPF;
  2. applicazione corretta: seguire scrupolosamente le istruzioni del produttore per l’immissione del prodotto sia nel serbatoio che direttamente nel FAP, attraverso la rimozione del sensore temperatura gas di scarico o EGT;
  3. attivazione della pulizia: effettuare un ciclo di guida adeguato (su strada extraurbana o autostrada mantenendo un range tra i 2500 e i 3000 giri) o, in alcuni casi, una rigenerazione forzata tramite diagnosi, per attivare l’azione del prodotto e bruciare i depositi;
  4. monitoraggio: controllare l’efficacia del trattamento attraverso il comportamento dell’auto (se entrata in modalità di recovery) e l’eventuale spegnimento delle spie di avaria.

Alcune volte, se l’intasamento è eccessivo, sarà necessario eseguire il trattamento una seconda volta o – in alternativa combinato – con più detergenti (prodotto per serbatoio e spray con sonda). Ma vediamo come massimizzare la loro efficienza:

  • additivo per il serbatoio: per un uso preventivo versa l’additivo nel serbatoio prima di effettuare il pieno, mentre per la pulizia è consigliabile inserire il prodotto quando il serbatoio è meno di metà, così da renderlo più efficace. Successivamente effettuare un ciclo di guida a motore caldo di almeno 15-20 minuti su strada extraurbana o in autostrada a velocità costante così da attivare il processo di rigenerazione;
  • kit spray con sonda dedicata: per facilitare l’inserimento del prodotto è consigliabile inserirlo dalla tubazione del sensore di pressione che può essere individuata seguendo il tubicino di ferro che esce dal DPF e arriva al sensore di pressione differenziale. Rimuovere la fascetta e iniettare dalla tubazione a intermittenza così da permettere al prodotto di defluire. In alternativa smontare il sensore di temperatura posizionato a monte del Filtro Particolato, servendosi di una chiave da 17mm;
  • detergente FAP con applicatore specifico: per ottenere il massimo da questo prodotto è consigliabile effettuare il trattamento dopo aver rimosso il sensore di temperatura o di pressione a motore freddo. Iniettare il liquido a intermittenza così da lasciarlo defluire nel filtro, questo permetterà di aumentare la sua efficacia. Verificare sempre prima sull’etichetta se è possibile utilizzarlo con motore a regime minimo o spento, in quanto alcuni prodotti esprimono la sua maggiore efficienza in condizioni dìverse.

Prodotti consigliati

La scelta del prodotto giusto è fondamentale per il successo della pulizia e per evitare potenziali danni al filtro antiparticolato o al motore. Ci sono numerose soluzioni, ma è fondamentale orientarsi verso articoli di qualità, preferendo marchi riconosciuti nel settore automotive. Quando si sceglie un prodotto, è bene considerare questi aspetti per ottenere il miglior risultato:

  • marca affidabile: optare per prodotti di aziende con una consolidata reputazione nel settore degli additivi e della manutenzione auto. Le marche leader spesso investono in ricerca e sviluppo per formulazioni efficaci e sicure;
  • specificità del prodotto: verifica che l’additivo sia chiaramente indicato per FAP/DPF e per il tipo di motore diesel. Anche se molti prodotti sono universali, alcuni possono avere indicazioni più precise;
  • recensioni degli utenti: consultare le recensioni online (su siti e-commerce o forum specializzati) per avere un’idea dell’esperienza di altri automobilisti con quel prodotto specifico;
  • chiarezza delle istruzioni: un buon prodotto è sempre accompagnato da istruzioni d’uso chiare, precise e dettagliate per un’applicazione corretta e sicura.

Consigli per prevenire l’intasamento

Ci sono alcune strategie da adottare per prevenire problemi e riparazioni costose con semplici abitudini di guida. Vediamo come fare per evitare l’intasamento del DPF:

  • privilegiare percorsi extraurbani: quando possibile, alternare la guida urbana con tragitti di almeno 15-20 minuti con motore caldo e velocità costante (superiore a 60-70 km/h). Questo favorisce il raggiungimento delle temperature ideali per la rigenerazione automatica;
  • non interrompere i cicli di rigenerazione: se ci si accorge che l’auto sta effettuando una rigenerazione (segnali come aumento del minimo, ventola accesa, odore o fumosità dallo scarico), cercare di non spegnere il motore prematuramente e continua a guidare per qualche minuto fino al termine del ciclo;
  • utilizzare carburante di qualità: scegliere gasolio di buona qualità può contribuire a una combustione più pulita e a una minore produzione di particolato;
  • olio motore corretto: utilizzare solo l’olio motore raccomandato dal costruttore del veicolo, verificando che rispetti le specifiche richieste, in particolare per i motori con FAP/DPF che richiedono oli a basso contenuto di ceneri (specifiche Low-SAPS o C1, C2, C3, C4 a seconda del veicolo). Questo riduce l’accumulo di ceneri nel filtro;
  • effettua la manutenzione regolare: seguire scrupolosamente il piano di manutenzione programmata dell’auto. Un motore efficiente produce meno emissioni e mette meno sotto stress il FAP;
  • spie: se la spia del FAP si accende, non sottovalutare il segnale, effettuare un ciclo di rigenerazione su strada e se necessario un trattamento con additivi specifici;
  • additivo serbatoio: utilizzare regolarmente additivi di pulizia DPF per il serbatoio, ogni 3000-5000 km circa e con il pieno aiuta a mantenere il filtro più pulito e duraturo.
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279691 FAP intasato: il fumo dallo scarico è un segnale
Dash cam per auto, perché è importante avere la visione notturna https://www.virgilio.it/motori/info-utili/dash-cam-auto-visione-notturna/279761/ Thu, 22 May 2025 13:42:08 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=279761 Chi guida ogni giorno lo sa: l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Ecco perché negli ultimi anni le dash cam — le telecamere da cruscotto — stanno conquistando sempre più automobilisti. Un piccolo dispositivo, discreto e apparentemente innocuo, che però può fare la differenza nel momento del bisogno. La dash cam è una di quelle tecnologie che si installano e poi si dimenticano. Ma non fatevi ingannare: è proprio nel silenzio del suo operato che si nasconde il suo più grande valore. Perché, quando succede l’irreparabile — un tamponamento, una mancata precedenza, un colpo di freno improvviso — avere una registrazione dettagliata può trasformarsi in un’assicurazione extra. Non sulla carta, ma nella pratica.

Cos’è una dash cam e come funziona

Tecnicamente è semplice: una videocamera montata sul parabrezza, alimentata via presa accendisigari o cablata direttamente all’impianto elettrico dell’auto. Registra in loop, ovvero sovrascrive i file più vecchi non appena la memoria — solitamente una microSD — è piena. Ma la vera chicca è l’accelerometro integrato: in caso d’impatto, il sistema riconosce la brusca variazione di movimento e salva in automatico la sequenza prima, durante e dopo l’evento, proteggendola dalla cancellazione. Alcuni modelli lo fanno anche a motore spento, utile per chi parcheggia spesso in strada.

Perché è utile la visione notturna

La visione notturna, soprattutto se supportata da sensori ad alta sensibilità (come Sony Starvis) o infrarossi, consente alla dash cam di riprendere chiaramente anche quando è buio. Parcheggi sotterranei, strade non illuminate, gallerie o periferie diventano finalmente leggibili anche sulla registrazione.

Targhe, colori, sagome dei veicoli, persino i movimenti dei pedoni: vedere bene al buio può essere cruciale per ricostruire dinamiche e responsabilità in caso di incidente. Una dash cam senza visione notturna potrebbe offrire immagini troppo scure o sgranate per essere utilizzabili. Molte dash cam moderne, abbinate a una funzione di sorveglianza parcheggio, registrano automaticamente quando rilevano urti anche ad auto ferma. Ma senza una buona visione notturna, quelle registrazioni rischiano di non mostrare nulla di utile se l’incidente avviene di sera o di notte.

Cosa dice la legge italiana

E qui entriamo nel campo minato della normativa. In Italia non esiste una legge specifica che regoli l’uso delle dash cam, ma il loro impiego ricade sotto le norme generali della privacy. Tradotto: sì alla registrazione per uso personale, no alla pubblicazione sui social o alla diffusione non autorizzata. I video possono essere utilizzati come prova in caso d’incidente, ma a una condizione: che siano chiari, pertinenti e ottenuti lecitamente.

Attenzione poi al posizionamento. Se la dash cam limita la visuale del conducente, si rischia una multa — e, cosa ben più grave, l’assicurazione potrebbe rivalersi, sostenendo che la visuale ostruita ha contribuito al sinistro. Il consiglio è semplice: posizionatela dietro lo specchietto retrovisore, dove non disturba e riprende tutto.

Quale dash cam scegliere? I consigli pratici

Qui si apre un mondo. Ce ne sono per tutte le tasche, da meno di 50 euro fino a oltre 300. Ma non fatevi prendere solo dal prezzo: meglio investire qualche euro in più che ritrovarsi con riprese inutilizzabili. Il minimo sindacale? Risoluzione Full HD (1080p), obiettivo grandangolare (almeno 120 gradi), buona visione notturna e stabilizzazione dell’immagine. Meglio ancora se c’è un piccolo display integrato, per regolare l’inquadratura al momento dell’installazione.

Tra le funzioni extra da tenere d’occhio:

  • registrazione d’emergenza automatica, attivabile anche a vettura ferma;
  • modulo GPS per geolocalizzare i video;
  • Wi-Fi o Bluetooth per scaricare le clip direttamente sullo smartphone;
  • e per i più esigenti, le dual cam, che filmano anche l’interno dell’abitacolo.

I prezzi: si parte da poco, ma attenzione alle sorprese

Il mercato è vastissimo. I modelli base partono da circa 40-50 euro e offrono già funzionalità più che sufficienti per un uso quotidiano. Intorno ai 100 euro si trovano dispositivi completi, affidabili e con un buon compromesso tra qualità video e opzioni extra. Oltre i 150-200 euro entrate nel regno delle dash cam premium, con video in 2K o 4K, GPS avanzato e funzioni cloud.

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279761 Dash cam a bordo utilità
Il turbocompressore: cos’è, come funziona e che tipologie esistono https://www.virgilio.it/motori/info-utili/turbocompressore-auto/279046/ Sun, 18 May 2025 04:40:39 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=279046 Nei veicoli moderni, il turbocompressore è diventato un dispositivo fondamentale che permette di ottenere più potenza ed efficienza sfruttando l’energia dei gas di scarico. Ma quali funzioni svolge realmente e perché ne esistono diverse tipologie? Approfondiamo l’argomento, per comprendere meglio questo componente sempre più utilizzato nei motori a combustione interna.

Cos’è il turbocompressore

Si tratta di un dispositivo meccanico che rientra nella categoria dei sistemi di sovralimentazione. Il suo scopo principale è “spingere” più aria all’interno dei cilindri del motore di quanta ne potrebbe entrare naturalmente per effetto della sola pressione atmosferica (come accade nei motori aspirati). Aumentando la quantità di aria disponibile, è possibile avere molti benefici come:

  • maggiore iniezione di carburante: iniettare e bruciare più combustibile permette di ottenere una maggiore energia da ogni ciclo di combustione;
  • maggiori prestazioni: avendo una maggiore energia in camera di combustione porta a un aumento significativo della potenza e della coppia erogate dal motore, senza dover necessariamente aumentare la cilindrata.

È un componente fondamentale nell’era attuale, dove si cerca di ottenere prestazioni elevate da motori sempre più ridotti per migliorare l’efficienza dei consumi e ridurre le emissioni.

Come funziona

Il principio alla base del turbocompressore è intelligente, in quanto recupera l’energia dei gas di scarico che altrimenti andrebbe semplicemente dispersa. Questi gas, molto caldi e in pressione, escono dal motore con una notevole spinta. Questa spinta non viene sprecata, ma mette in moto una serie di componenti che lavorano in sinergia per “spingere” più aria nel motore. Ecco i componenti principali:

  • girante di scarico: questa piccola girante viene colpita con forza dai gas caldi e veloci che escono dal motore. L’energia cinetica di questi gas la fa ruotare ad altissima velocità, arrivando a superare anche i 200.000 giri al minuto;
  • alberino centrale: questo sottile e robusto asse collega la girante di scarico con una seconda girante denominata girante di aspirazione. Il suo compito è semplicemente quello di trasmettere la rapidissima rotazione dal lato scarico a quello di aspirazione;
  • compressore: componente che racchiude la girante di aspirazione. Il suo compito è quello di aspirare l’aria fresca dall’esterno e comprimerla con forza, aumentando la pressione e la densità;
  • aria compressa: quest’aria densa e ricca di ossigeno, viene convogliata verso i cilindri del motore tramite apposite tubazioni. Avere più ossigeno disponibile permette di bruciare una maggiore quantità di carburante, generando una combustione più potente e, di conseguenza, ottenendo più energia e coppia.

È così che il turbocompressore sfrutta l’energia di scarto per aumentare le prestazioni del motore.

A cosa serve

Questo particolare componente è nato con l’utilità principale di migliorare le prestazioni e l’efficienza dei motori a combustione interna, portando una serie di benefici, tra cui:

  • aumento di potenza e coppia: permette a motori di cilindrata relativamente piccola di erogare la potenza di propulsori aspirati molto più grandi. Questo è evidente nella maggior parte delle auto moderne, dove motori da 1000 di cilindrata, grazie al turbo, raggiungono potenze equiparate a un motore aspirato di 2000 di cilindrata;
  • riduzione dei pesi: motori di cilindrate inferiori portano a un minor peso dei motori, senza sacrificare le prestazioni. Oltre al peso si hanno minori attriti interni rispetto a un motore aspirato più grande con potenza equivalente;
  • maggiore efficienza: sebbene non sempre garantito in tutte le condizioni di guida, un motore turbo di cilindrata ridotta può consumare meno carburante rispetto a un aspirato più grande a parità di prestazioni, soprattutto a carichi parziali. La capacità di bruciare più carburante in modo efficiente quando richiesto, e meno quando non serve la massima potenza, contribuisce a questo;
  • densità dell’aria: ad alta quota, l’aria è meno densa, un propulsore aspirato “respira” aria meno ricca di ossigeno e perde potenza. Il turbocompressore, comprimendo l’aria, compensa questa minore densità, permettendo al motore di mantenere prestazioni più costanti anche ad alta quota.

Oltre a questi benefici diretti, l’adozione diffusa del turbocompressore è stata spinta anche dalle normative antinquinamento sempre più stringenti, poiché permette di ottenere un miglior controllo sulla combustione e una potenziale riduzione di alcune emissioni nocive, se integrato correttamente nel sistema di gestione motore.

Tipologie di turbocompressore

Esistono diverse configurazioni e tecnologiedi turbocompressore, sviluppate per ottimizzare le prestazioni in base a specifiche esigenze del motore e del veicolo. Le differenze principali riguardano la gestione del flusso dei gas di scarico verso la turbina:

  • geometria fissa: questa tipologia è la più semplice e tradizionale. La chiocciola della turbina ha un passaggio per i gas di scarico di dimensione fissa. Questa versione è robusta ed economica, ma presenta alcuni svantaggi. Ai bassi regimi, il flusso dei gas di scarico potrebbe non essere sufficiente a far girare la turbina abbastanza velocemente, causando il fenomeno del turbo lag, ovvero un ritardo nella risposta del motore durante l’accelerazione. Ad alti giri invece potrebbe generare una pressione eccessiva se non gestita dalla valvola wastegate;
  • geometria variabile (VGT o VNT): questa versione, più complessa e costosa, utilizza palette mobili all’interno della chiocciola della turbina. Le palette possono cambiare angolazione modificando la velocità e la direzione del flusso dei gas di scarico che colpiscono la turbina, possono essere gestite sia elettricamente che pneumaticamente. Ai bassi regimi, si chiudono parzialmente per aumentare la velocità dei gas, riducendo il turbo lag e migliorando la risposta. Agli alti regimi, si aprono per evitare l’eccessiva contropressione e regolare la velocità della turbina. Questo permette al turbo VGT di funzionare in modo più efficiente su un range di giri motore molto più ampio, offrendo migliori prestazioni e guidabilità;
  • twin-scroll: differisce per il condotto di ingresso dei gas di scarico alla turbina, che è diviso in due canali separati. Questa divisione riduce le interferenze tra gli impulsi di scarico dei diversi cilindri, permettendo alla turbina di entrare in pressione più rapidamente ai bassi regimi e migliorando la coppia disponibile fin da subito;
  • twin-turbo: versione particolare in quanto utilizza due turbocompressori invece di uno solo. Possono lavorare in due modalità, in parallelo (due turbo identici, ciascuno per un gruppo di cilindri) o in sequenziale (un turbo più piccolo che lavora ai bassi regimi per una risposta pronta, affiancato da uno più grande che interviene agli alti regimi per la massima potenza). L’obiettivo è ottenere una curva di potenza più ampia e uniforme.

Queste sono le principali tipologie che si incontrano frequentemente per uso stradale, ognuna sviluppata per scopi specifici per le varie motorizzazioni, ma con lo stesso obiettivo: aumentare la coppia dei motori massimizzandone l’efficienza.

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279046 Turbocompressore auto
Si può parlare al cellulare mentre si guida o è vietato https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/cellulare-mentre-si-guida/279000/ Sun, 18 May 2025 04:30:38 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=279000 La domanda è semplice quanto diffusa: è vietato parlare al cellulare mentre si guida oppure ci sono delle eccezioni consentite dalla legge? La risposta, per quanto possa sembrare ovvia, merita un approfondimento, soprattutto alla luce delle più recenti modifiche al Codice della Strada. Le trasformazioni culturali, tecnologiche e legislative che stanno investendo la mobilità impongono una riflessione su ciò che è permesso e su ciò che non lo è, nonché sulle motivazioni alla base delle scelte normative.

Il divieto di utilizzo del cellulare al volante

Con l’introduzione dell’articolo 173 del Codice della Strada, il legislatore ha disciplinato in maniera netta l’utilizzo di dispositivi elettronici mobili durante la marcia del veicolo. Secondo la normativa in vigore è vietato utilizzare lo smartphone tenendolo in mano mentre si guida. Questo divieto riguarda non solo l’atto di telefonare, ma anche l’invio di messaggi, l’accesso ai social network, la navigazione sul web o l’utilizzo di qualsiasi applicazione che comporti la rimozione delle mani dal volante, anche solo per pochi secondi.

L’intento è ridurre al minimo ogni forma di distrazione, una delle principali cause di sinistri stradali. L’uso del cellulare, anche se apparentemente innocuo, comporta l’abbassamento della soglia di attenzione e compromette i tempi di reazione e l’efficacia del controllo del veicolo, tanto da poter essere equiparato, in certi contesti, alla guida in stato di ebbrezza.

Quando è consentito parlare al cellulare

La norma non si limita a vietare tout court ogni forma di interazione con il cellulare. C’è infatti una deroga che consente l’uso del telefono attraverso dispositivi a vivavoce o auricolari, purché non richiedano l’impiego delle mani. In altre parole, è lecito conversare telefonicamente mentre si guida solo se il dispositivo è collegato al sistema Bluetooth dell’auto, o se si utilizzano auricolari che lasciano libero almeno un orecchio, così da non compromettere la capacità uditiva del conducente. Anche in questo caso è importante che l’attenzione alla strada resti prioritaria e ininterrotta.

La tolleranza è solo apparente: un utilizzo distratto o invadente di questi dispositivi può comunque essere considerato comportamento imprudente, soprattutto se alla guida si manifesta incertezza o si viene coinvolti in situazioni di pericolo.

Quali sanzioni per chi infrange la norma

Il legislatore ha rafforzato il messaggio rendendo le sanzioni molto più severe rispetto al passato. Chi viene colto alla guida con il cellulare in mano va incontro a una multa da 250 a 1.000 euro, accompagnata dalla decurtazione di 5 punti dalla patente.

In caso di recidiva entro un biennio, la sanzione pecuniaria sale fino a 1.400 euro, i punti decurtati raddoppiano e si aggiunge anche la sospensione della patente di guida per un periodo che può variare da uno a tre mesi.

Sospensione breve, il rischio per chi ha meno di 20 punti

Con l’entrata in vigore della sospensione breve della patente, prevista per chi ha un punteggio inferiore a 20, il quadro sanzionatorio si fa più stringente. In questi casi la sospensione può scattare direttamente al momento della contestazione, con durate di 7 o 15 giorni, a seconda del punteggio residuo sulla patente, e può arrivare a 30 giorni se l’infrazione ha causato un incidente stradale.

È un meccanismo che rende l’intervento normativo ancora più incisivo, in quanto punta sulla tempestività e sull’effetto deterrente immediato. Si tratta di una misura educativa che cerca di correggere comportamenti pericolosi, agendo laddove il sistema dei punti ha già registrato una condotta alla guida non conforme alle regole. Chi ha meno punti è, per definizione, più a rischio, e la legge reagisce con fermezza per evitare recidive gravi.

Un altro aspetto spesso trascurato riguarda l’impatto dell’utilizzo improprio del cellulare sulla classe di merito. Le compagnie possono riconsiderare i parametri di rischio dell’assicurato con penalizzazioni o rincari del premio, soprattutto in caso di recidiva o incidente con responsabilità accertata

Gli effetti sui neopatentati

Per i neopatentati, la legge è ancora più severa. Già soggetti a limiti di potenza dei veicoli e a regole più rigide sul consumo di alcol, i conducenti alle prime armi vengono penalizzati in caso di uso scorretto del cellulare. La decurtazione dei punti incide sul loro saldo iniziale e portando rapidamente alla revisione della patente. Il principio rafforza l’idea che la prudenza e l’educazione al volante siano imprescindibili fin dal primo giorno di guida.

Il rischio reale della distrazione tecnologica

A rendere questo tema delicato è l’apparente normalità con cui molti automobilisti continuano a utilizzare il cellulare mentre sono al volante. In un’epoca in cui la connettività digitale è parte integrante della quotidianità, la tentazione di rispondere a una chiamata, leggere una notifica o controllare una mappa è altissima. Ed è bene ricordare che anche pochi secondi di distrazione possono essere fatali.

Una quota degli incidenti stradali in Italia è riconducibile a comportamenti distratti e l’uso del cellulare figura tra le prime tre cause. La disattenzione legata agli smartphone ha effetti comparabili all’alterazione da alcol o droghe leggere perché altera la percezione del rischio e la capacità di reazione.

Tecnologia a supporto della sicurezza

L’utilizzo corretto della tecnologia in auto è dunque un punto centrale nella strategia di prevenzione degli incidenti. In questo senso, il mercato offre soluzioni tecnologiche che permettono di restare connessi senza compromettere la sicurezza: dai comandi vocali integrati ai sistemi di infotainment che consentono di rispondere a una chiamata o consultare una mappa con un semplice comando vocale.

In realtà anche la tecnologia più avanzata non può sostituire il buon senso: se una telefonata non è urgente, meglio attendere un momento più sicuro per rispondere. Se si deve controllare qualcosa sullo schermo, la cosa più prudente da fare è accostare e fermarsi. I sistemi di guida autonoma, ancora in fase embrionale, non giustificano l’abbassamento della soglia di attenzione da parte del conducente, che resta il principale responsabile della sicurezza a bordo.

Il ruolo della tecnologia predittiva nei veicoli

Le case automobilistiche stanno investendo in sistemi di intelligenza artificiale e guida assistita capaci di rilevare i comportamenti scorretti del conducente. Sensori oculari, telecamere interne e software predittivi sono in grado di riconoscere quando l’automobilista distoglie lo sguardo dalla strada o interagisce con dispositivi elettronici. Questi strumenti sono pensati per s aumentare la sua consapevolezza con l’attivazione di segnali acustici o rallentando automaticamente il veicolo in caso di pericolo.

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279000 Cellulare alla guida: cosa dice la legge italiana
Quando scatta la sospensione breve della patente se si hanno dai 20 punti in su https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/20-punti-sospensione-breve-patente/278981/ Sat, 17 May 2025 05:00:08 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278981 Il cuore della questione sospensione breve della patente riguarda la possibilità di applicare una sanzione accessoria che non preveda lunghi mesi di interdizione alla guida, ma temporanea e immediata. In pratica viene comminata dalle forze dell’ordine nel momento in cui viene accertata l’infrazione. Questa misura, introdotta con l’articolo 218-ter del Codice, è pensata come strumento intermedio tra una semplice multa e la più severa sospensione amministrativa ordinaria.

La normativa non si applica a tutti: c’è una soglia di punti sulla patente che determina l’applicabilità o meno di questo provvedimento. Chi possiede 20 punti o più non è soggetto a questa sanzione accessoria ed è proprio da qui che nasce l’esigenza di fare chiarezza.

Misura immediata e correttiva

Diversamente dalla sospensione ordinaria, che può durare mesi ed è disposta da un’autorità amministrativa seguente alla violazione, la sospensione breve della patente è immediata e limitata nel tempo. Ha una funzione anche pedagogica: serve a responsabilizzare il conducente e a interrompere una condotta di guida pericolosa.

La sua durata è contenuta, ma l’effetto simbolico e dissuasivo è indicativo. Non si tratta di un provvedimento punitivo fine a sé stesso, ma di un intervento mirato per ridurre il rischio stradale agendo nell’immediato e ridurre la latenza tra infrazione e sanzione. Si è scelto dunque di colpire la condotta scorretta senza ricorrere a strumenti sproporzionati.

Chi rischia la sospensione breve

Perché venga applicata devono verificarsi due condizioni. Innanzitutto il punteggio residuo del conducente, al momento dell’infrazione, deve essere inferiore a 20 punti. Significa che il guidatore deve aver già subito almeno una decurtazione, o non aver recuperato punti nel corso degli anni tramite corsi o comportamento virtuoso.

In secondo luogo, l’infrazione deve rientrare tra quelle ritenute di particolare gravità ovvero quelle che mettono in pericolo l’incolumità propria e altrui, come ad esempio il mancato rispetto della precedenza o l’attraversamento con semaforo rosso. La sospensione breve diventa così uno strumento di selezione: non tocca chi ha un profilo di guida regolare, ma interviene su chi ha già dimostrato segnali di rischio.

Nessuna sospensione per chi ha 20 punti o più

Pur commettendo una violazione grave, chi mantiene il proprio saldo punti a quota 20 o superiore non è colpito dalla sospensione breve. A questi conducenti la legge continua ad applicare le classiche sanzioni: la multa pecuniaria, la decurtazione dei punti e nei casi più estremi l’attivazione di un procedimento per sospensione ordinaria. Si vuole dunque incentivare il mantenimento del massimo punteggio come elemento di merito.

Chi ha saputo rispettare le regole fino a quel momento, anche se cade in errore una tantum, riceve una sanzione più moderata. In questa logica la sospensione breve è pensata per colpire i comportamenti ripetuti o già segnati da precedenti trasgressioni. Una distinzione che introduce un principio di proporzionalità e premialità nella gestione delle infrazioni.

Tipologie di infrazioni che la prevedono

Tra le infrazioni che possono comportare la sospensione breve – se si hanno meno di 20 punti – rientrano i comportamenti che vanno oltre la semplice distrazione. Si tratta di azioni potenzialmente pericolose, come

  • la circolazione contromano;
  • il mancato rispetto di un semaforo rosso;
  • la precedenza non data ai pedoni;
  • l’attraversamento dei passaggi a livello in violazione del Codice della Strada;
  • la guida in stato di ebbrezza per i neopatentati o per chi guida per professione.

Tutti esempi in cui il mancato rispetto delle regole può generare situazioni di pericolo. Ma anche in presenza di una di queste condotte, la sospensione breve non si applica se il conducente ha 20 punti o più. Questa soglia diventa quindi una barriera protettiva, costruita nel tempo grazie a una guida rispettosa.

Durata della sospensione e aggravanti

La durata della sospensione breve è modulata in base al punteggio residuo: sette giorni per chi ha tra 10 e 19 punti, quindici giorni per chi ha meno di 10 punti. In presenza di incidenti causati dall’infrazione, la durata può raddoppiare, arrivando rispettivamente a 14 e 30 giorni. Questa proporzionalità sanziona più severamente chi ha una situazione già compromessa.

Il periodo di sospensione, per quanto breve, implica la reale impossibilità di guidare, con le conseguenze pratiche che ne derivano: impossibilità di lavorare per chi utilizza il veicolo per ragioni professionali, costi per spostamenti alternativi, disagi familiari.

Un sistema di premialità implicito

La ratio di questa scelta risiede in una visione premiale della sicurezza stradale. Il sistema a punti introdotto in Italia nel 2003 serve a valutare nel tempo il comportamento del conducente. Chi conserva tutti i 20 punti iniziali dimostra un approccio virtuoso alla guida e, per questo motivo, viene escluso da sanzioni più invasive, almeno in prima istanza. È come se lo Stato dicesse: “Hai sempre rispettato le regole? Allora ti concedo una seconda possibilità prima di ricorrere a misure drastiche.” Questo meccanismo introduce un principio di giustizia distributiva, in cui la storia del comportamento di guida ha un peso nella valutazione delle sanzioni.

Eccezioni in caso di reati gravi

Va ricordato che il mantenimento del punteggio massimo non garantisce l’immunità totale. In caso di reati stradali, come l’omicidio stradale o le lesioni personali gravi, la sospensione della patente scatta comunque, indipendentemente dal punteggio residuo. In questi casi, si entra nell’ambito penale, dove le logiche premiali vengono superate dalla necessità di tutela sociale e di applicazione rigorosa della legge.

La sospensione breve è invece uno strumento pensato per situazioni meno estreme ma comunque preoccupanti, e riservato ai conducenti che hanno già mostrato segnali di guida distratta o pericolosa. È un avvertimento, non una condanna definitiva, ma che può essere un bivio nel percorso del patentato.

Applicazione immediata e necessità di identificazione

Un aspetto interessante riguarda il ruolo degli agenti accertatori. La sospensione breve può essere comminata solo se l’infrazione viene contestata immediatamente ovvero se il conducente viene fermato sul posto e identificato. Non è possibile applicare questa misura sulla base di rilievi fotografici, come avviene per gli autovelox o i sistemi automatici. Colpisce il comportamento diretto e osservato, e non quello presunto o indiretto. La presenza fisica dell’agente, la contestazione immediata, la verbalizzazione in tempo reale: tutti elementi che garantiscono il rispetto dei diritti dell’automobilista, ma anche l’efficacia dissuasiva della sanzione.

Da un punto di vista operativo, è utile che i cittadini si mantengano informati sul proprio saldo punti, un dato che può essere consultato tramite il portale dell’automobilista o l’applicazione iPatente.

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278981 Quando scatta la sospensione breve e cosa cambia se hai 20 punti
Auto nuove, perché i cerchi in lega sono sempre più grandi https://www.virgilio.it/motori/info-utili/auto-nuove-cerchi-in-lega-sempre-piu-grandi/278521/ Sat, 17 May 2025 04:32:08 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278521 Negli ultimi anni, osservando le auto di nuova generazione, dalle compatte cittadine ai SUV di alta gamma, salta subito all’occhio un dettaglio estetico e tecnico: i cerchi in lega sono sempre più grandi. Un tempo riservati alle versioni sportive o di lusso, oggi i cerchi dal diametro generoso sono diventati quasi uno standard, anche su modelli di fascia media. Ma perché le Case automobilistiche insistono tanto su questa scelta?

Dietro la tendenza dei “cerchi oversize” non c’è solo una questione di moda o apparenza: si intrecciano esigenze ingegneristiche, strategie di marketing, aspettative dei consumatori e considerazioni legate alla dinamica di guida. In questo approfondimento esploreremo le ragioni, estetiche, funzionali e commerciali, che spiegano questo fenomeno sempre più crescente.

Estetica e design: un fattore dominato dai cerchi in lega

I cerchi di grandi dimensioni catturano immediatamente l’attenzione e alterano la percezione dell’auto, rendendola spesso più imponente, lussuosa o sportiva. Contribuiscono in modo significativo a definire il linguaggio stilistico del modello e del marchio. In particolare, le proporzioni e lo stile di un’auto possono essere notevolmente influenzati dai cerchi grandi, che spesso la fanno sembrare più bassa, larga e stabile.

Questo aspetto è particolarmente rilevante nel design moderno, caratterizzato da linee sempre più complesse e scolpite. Ad esempio, alcuni costruttori di lusso tendono a preferire design eleganti e sofisticati, mentre quelli sportivi optano per stili più aggressivi e dinamici. I cerchi grandi contribuiscono a creare un look sportivo e moderno, soprattutto se abbinati a pneumatici a basso profilo, che accentuano il dinamismo del design.

Questi creano un senso di movimento anche quando l’auto è ferma e sono spesso un elemento distintivo delle versioni sportive o ad alte prestazioni. La spalla ridotta della gomma mette in risalto il design del cerchio e conferisce all’auto un aspetto più “piantato” sulla strada. Inoltre, i cerchi più grandi sono spesso utilizzati per distinguere le versioni speciali, come le edizioni limitate o le varianti ad alte prestazioni, e sono una scelta popolare per le personalizzazioni aftermarket, consentendo ai proprietari di esprimere il proprio stile individuale.

Nella progettazione dei concept car, ad esempio, i designer spesso esagerano le dimensioni delle ruote per enfatizzare l’aspetto futuristico e innovativo del veicolo. Considerano attentamente il rapporto tra le dimensioni dei cerchi e il resto della carrozzeria, poiché cerchi troppo piccoli possono far sembrare un’auto sgraziata, mentre, se ben proporzionati, possono migliorarne significativamente l’aspetto.

Cerchi più grandi: prestazioni e maneggevolezza

Cerchi più grandi sono spesso abbinati – come abbiamo detto – a pneumatici a spalla ribassata, il che può migliorare la stabilità laterale e ridurre il rollio della carrozzeria in curva. Questo si traduce in una maggiore precisione di sterzata e una risposta più rapida ai comandi del conducente. Tuttavia, è importante notare che questo effetto è più pronunciato nelle auto sportive e ad alte prestazioni, dove la maneggevolezza è una priorità.

L’altezza della spalla della gomma gioca un ruolo cruciale nel determinare la risposta dello sterzo. Una spalla più bassa significa meno flessione dello pneumatico, il che si traduce in una risposta più diretta e immediata. Tuttavia, una spalla più alta offre un maggiore assorbimento degli urti e un comfort di guida migliore. Pertanto, la scelta delle dimensioni dei cerchi e dell’altezza della spalla rappresentano un compromesso tra maneggevolezza e comfort.

È importante, però, distinguere tra i benefici prestazionali reali e la percezione che essi migliorino significativamente le prestazioni. In molti casi, l’impatto estetico dei cerchi grandi è più evidente del miglioramento effettivo delle prestazioni. I produttori spesso enfatizzano l’aspetto sportivo dei cerchi grandi nelle loro campagne di marketing, il che può portare i consumatori a sopravvalutare i loro benefici prestazionali.

Impatto ambientale ed efficienza

I cerchi di grandi dimensioni possono avere un impatto significativo sull’efficienza del carburante e sull’impronta ambientale di un veicolo. Infatti, aumentano il peso complessivo del veicolo, il che richiede più energia per accelerare e mantenere la velocità. Questo incremento di peso può portare a un maggiore consumo di carburante nei veicoli a combustione interna e a una riduzione dell’autonomia in quelli elettrici.

Inoltre, i cerchi più larghi sono spesso abbinati a pneumatici più larghi, che hanno una maggiore resistenza al rotolamento. Quest’ultima è la forza che si oppone al movimento dello pneumatico sulla superficie stradale. Per tale motivo, un aumento di questa resistenza significa che il motore deve lavorare di più per spingere il veicolo in avanti, con conseguente aumento delle emissioni.

In sintesi, quindi, non è tutto oro quello che luccica. È importante considerare, inoltre, che cerchi più grandi sono anche più delicati durante le manovre di parcheggio in città, a causa della presenza dei marciapiedi a bordo strada che possono graffiarli.

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278521 Auto nuove cerchi in lega più grandi
Segnali di divieto, li conosci bene? Fai il quiz patente https://www.virgilio.it/motori/info-utili/patente/segnali-divieto/278953/ Fri, 16 May 2025 14:46:50 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278953 I segnali di divieto sono segnali stradali che impongono un comportamento vietato agli utenti della strada. Fanno parte della segnaletica verticale di prescrizione e servono a garantire la sicurezza e a regolare il traffico. Sono facilmente riconoscibili perché hanno forma circolare, bordo rosso e simboli neri su sfondo bianco (tranne eccezioni come il “senso vietato”).

Il nostro quiz patente

Fai il nostro quiz della patente sui segnali di divieto, mettiti alla prova!

Come riconoscere i segnali di divieto

I segnali di divieto si distinguono facilmente: sono di forma circolare, con bordo rosso e simboli neri su sfondo bianco. Fanno parte della segnaletica verticale di prescrizione, e il loro scopo è semplice: vietare specifici comportamenti o l’accesso a determinati utenti della strada.

Ecco alcuni tra i più comuni:

  • divieto di transito: vietato a tutti i veicoli, in entrambe le direzioni. È spesso presente in zone pedonali o strade chiuse al traffico;
  • senso vietato: impedisce l’accesso a una strada a senso unico dalla direzione opposta;
  • divieto di sorpasso: obbliga i conducenti a mantenere la posizione senza superare altri veicoli;
  • divieto di segnalazioni acustiche: vietato suonare il clacson, salvo situazioni di pericolo imminente;
  • divieto per categorie specifiche: vietato l’accesso a moto, biciclette, camion, pedoni o animali da tiro, a seconda del simbolo riportato;
  • limite massimo di velocità: impone una velocità massima che non può essere superata, ad esempio 50 km/h nei centri abitati.

Un comportamento corretto non è facoltativo

Alla vista di un segnale di divieto, il conducente deve adeguare immediatamente la propria condotta: rallentare, evitare manovre vietate o cambiare percorso. In caso di trasgressione, le sanzioni possono includere multe salate, decurtazione di punti dalla patente e, nei casi più gravi, ritiro del documento di guida.

Attenzione anche ai pannelli integrativi, spesso posti sotto il segnale principale: indicano eventuali eccezioni (come “eccetto residenti” o “eccetto autorizzati”) o condizioni specifiche (come limiti validi solo in alcune fasce orarie). Conoscere i segnali di divieto non è solo un obbligo per chi si prepara a sostenere l’esame di guida. È un atto di responsabilità civica, un gesto di rispetto verso gli altri utenti della strada. Rispettarli significa prevenire pericoli, migliorare la convivenza stradale e contribuire a una mobilità più sicura e sostenibile. In strada, la distrazione non è mai giustificata. E un segnale ignorato può fare la differenza tra un viaggio tranquillo e un grave incidente.

Alcuni consigli utili

Quando vedete un segnale di divieto, chiedetevi sempre perché si trovi lì. Un divieto di sorpasso, ad esempio, spesso indica un tratto di strada pericoloso, con visibilità limitata. Capire il motivo del segnale vi aiuterà a guidare con maggiore prudenza anche dopo il termine del divieto. Inoltre, non riconoscete subito il significato di un cartello? Non tirate dritto con leggerezza. Rallentate, osservate, e valutate bene: anche pochi secondi possono fare la differenza tra una guida sicura e una violazione del Codice.

I segnali gialli o mobili, spesso usati nei cantieri, hanno valore superiore rispetto a quelli permanenti. Se ne incontrate uno con un limite di velocità più basso, dovete adeguarvi subito. La priorità è sempre la sicurezza. Non fatevi distrarre solo dai cartelli: la segnaletica orizzontale è altrettanto importante. Una striscia continua sull’asfalto, per esempio, equivale a un divieto di sorpasso. Ignorarla può comportare sanzioni. Infine, anche quando non ci sono divieti specifici, dovete sempre valutare le condizioni della strada. Pioggia, nebbia, traffico intenso: in questi casi, meglio rallentare e aumentare la distanza di sicurezza. Guidate come se un divieto ci fosse, anche quando non lo vedete.

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278953 Segnali di divieto: come riconoscerli
Rifiuto all’alcoltest: cosa si rischia davvero anche a distanza di anni https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/rifiuto-alcoltest-rischi/278759/ Thu, 15 May 2025 08:17:59 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278759 La notizia che ha visto protagonista un automobilista arrestato a oltre 12 anni di distanza dal giorno in cui si era rifiutato di sottoporsi all’alcoltest, ha riacceso l’interesse e le domande intorno a uno dei reati stradali più insidiosi: quello legato al rifiuto dell’accertamento alcolemico.

Dietro all’apparente semplicità di un no a una richiesta delle forze dell’ordine, si cela infatti una fattispecie penale precisa che genera conseguenze gravi e durature nel tempo. E che in alcuni casi, come realmente accaduto, possono manifestarsi molto dopo l’evento originario.

Il rifiuto dell’alcoltest come reato autonomo nel Codice della Strada

L’ordinamento italiano, attraverso l’articolo 186 del Codice della Strada, punisce chi viene sorpreso alla guida in stato di ebbrezza, ma prevede anche una sanzione autonoma per chi oppone un rifiuto alla verifica del tasso alcolemico. La legge equipara il rifiuto ad avere un valore di alcolemia superiore a 1,5 grammi per litro di sangue ossia il massimo previsto dalla classificazione del reato. Non è dunque una violazione formale o marginale: è come se il guidatore dichiarasse di essere gravemente alterato, pur senza accettare di dimostrarlo attraverso l’etilometro.

Questa impostazione normativa si fonda su un principio della sicurezza stradale: nessuno può sottrarsi a un controllo senza incorrere in responsabilità. Le autorità stradali non chiedono l’alcoltest come opzione discrezionale, ma in quanto titolari di un potere pubblico finalizzato alla tutela dell’incolumità collettiva. Rifiutarsi significa ostacolare quel potere e porre potenzialmente a rischio la vita altrui.

Tecnologie al servizio della prevenzione: l’alcolock

Una delle misure preventive più innovative che ha preso piede anche in Italia è l’alcolock, un dispositivo che impedisce l’avviamento del veicolo se il conducente ha un tasso alcolemico superiore a zero. In alcuni Paesi, l’installazione dell’alcolock è obbligatoria per i conducenti recidivi o per determinate categorie professionali.

L’inserimento dell’alcolock nella legislazione italiana si ispira anche a una finalità rieducativa ovvero guidare il conducente verso una consapevolezza delle proprie responsabilità al volante. Alla base di questa scelta normativa c’è la volontà di avviare un percorso graduale di recupero del senso civico e del rispetto delle regole.

Sanzioni, effetti duraturi e procedimenti lunghi

L’automobilista che si rifiuta all’accertamento, anche se non ha causato incidenti, può andare incontro a condanne penali che prevedono l’arresto, anche se spesso convertite in pene alternative. L’ammenda può superare i 6.000 euro mentre la sospensione della patente è quasi sempre inevitabile e può estendersi fino a due anni. Nei casi più gravi, soprattutto in presenza di recidiva o di danni a terzi, si può arrivare alla revoca definitiva della patente di guida.

A differenza delle multe amministrative, le sanzioni penali non cadono in prescrizione in pochi mesi. La giustizia, pur con i suoi ritmi spesso rallentati, procede e conclude il suo corso anche molti anni dopo. È proprio questo l’aspetto più rilevante emerso di recente: l’arresto avvenuto nel 2025 di un uomo che si era opposto all’alcoltest nel 2013 è un esempio di quanto possa essere lunga la memoria della giustizia penale, soprattutto quando si tratta di reati stradali.

Ad aggravare la posizione del conducente, anche a distanza di tempo, è la non occasionalità del comportamento. Un giudice può ritenere che quel rifiuto non sia stato un gesto di nervosismo momentaneo, ma una condotta ostile e consapevole verso l’autorità, aggravata dal contesto e dalla condotta dell’automobilista al momento del fermo.

Il ruolo della Cassazione nelle interpretazioni giurisprudenziali

La Corte di Cassazione ha avuto un ruolo centrale nell’interpretazione delle norme relative al rifiuto dell’alcoltest. In diverse sentenze, ha chiarito che il rifiuto può essere configurato anche in presenza di comportamenti elusivi o non collaborativi da parte del conducente, come ad esempio l’aspirare anziché soffiare nell’etilometro.

I rischi sottovalutati del rifiuto all’alcoltest

Molti automobilisti, soprattutto giovani o inesperti, non comprendono fino in fondo le conseguenze del loro rifiuto. In un momento di confusione o panico, possono pensare che dire di no all’alcoltest serva a guadagnare tempo o a evitare una segnalazione immediata. In realtà, dal punto di vista giuridico, quel rifiuto è già di per sé una dichiarazione di colpevolezza. E anche nel caso in cui il tasso alcolemico fosse stato inferiore al limite, il mancato accertamento impedisce ogni verifica e fa scattare la sanzione automatica più severa.

Sul piano personale, oltre alla sospensione della patente resta la macchia del reato con ripercussioni su eventuali fedine penali, domande di lavoro, viaggi all’estero e richieste di affidabilità creditizia. E se a distanza di anni la giustizia decide di eseguire l’arresto, come accaduto di recente, il danno si moltiplica: si tratta di una interruzione violenta delle abitudini propria vita quotidiana.

Infine, non va dimenticato il riflesso assicurativo. Le compagnie possono revocare la copertura assicurativa o rifiutare il rinnovo della polizza Rc auto in caso di condanna definitiva. In alcuni casi, soprattutto per i conducenti professionali, si rischia anche di perdere la copertura per la tutela legale.

Le conseguenze per i conducenti professionali

Per i conducenti professionali, come autisti di autobus o camion, le conseguenze del rifiuto dell’alcoltest possono essere più gravi. Oltre alle sanzioni penali e amministrative, possono subire ripercussioni lavorative, come la sospensione o la perdita del posto di lavoro, soprattutto se la patente è un requisito per l’esercizio della professione.

La revoca della patente può comportare l’impossibilità di svolgere attività lavorative nel settore dei trasporti per un periodo prolungato.

In caso di contestazione per il rifiuto dell’alcoltest, è allora importante rivolgersi a un avvocato specializzato in diritto penale e circolazione stradale. Una consulenza legale può aiutare a comprendere le implicazioni del reato, valutare le strategie difensive e, se del caso, negoziare pene alternative o riduzioni delle sanzioni. Una difesa efficace può fare la differenza tra una condanna con gravi conseguenze e una soluzione più favorevole.

In alcuni casi, la legge consente infatti di sostituire la pena detentiva con lavori di pubblica utilità. Questa misura alternativa può comportare la estinzione del reato, la revoca della confisca del veicolo e la riduzione della durata della sospensione della patente. L’ammissione a questa misura è comunque discrezionale e dipende dalla valutazione del giudice, che considererà la gravità del reato e la condotta dell’imputato.

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278759 Dire no all’alcoltest può costare caro
Tutti i segreti per lucidare le cromature di auto e moto in modo impeccabile https://www.virgilio.it/motori/info-utili/manutenzione/lucidare-cromature-auto/277209/ Thu, 15 May 2025 04:30:39 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277209 Le cromature su auto e moto rappresentano da sempre un dettaglio di stile e pregio, capace di esaltare le linee e aggiungere un tocco di lucentezza unico. Tuttavia, agenti atmosferici, sporco stradale, sale e invecchiamento possono intaccare la loro brillantezza, portando a ossidazione, macchie o persino ruggine. Mantenere le cromature in perfetto stato non è solo una questione estetica, ma una vera e propria manutenzione che preserva il valore e l’aspetto del veicolo. Vediamo i metodi e i prodotti da utilizzare per pulire, lucidare e proteggere le cromature, restituendo loro l’originale splendore.

Come lucidare le cromature dell’auto

Lucidare le cromature di un’automobile richiede precisione e l’uso dei giusti prodotti e tecniche per evitare di danneggiare la superficie. Lo strato di cromo è estremamente sottile e un approccio scorretto può facilmente graffiare o consumare la finitura. Seguire una procedura corretta è fondamentale per ottenere risultati ottimali e duraturi su profili, maniglie, cornici o altre parti cromate. Per eseguire una lucidatura efficace e sicura delle cromature sulla tua auto, segui attentamente questi passaggi tecnici:

  1. prepara l’area e ispeziona la superficie: assicurati di avere parcheggiato il veicolo all’ombra con le cromature fredde. Esamina attentamente le condizioni della cromatura per identificare il tipo di problema (sporco, macchie d’acqua, ossidazione, ruggine, pitting) e rimuovi lo sporco grossolano con un getto d’acqua;
  2. esegui la pulizia di base: lava le aree cromate con uno shampoo per auto a pH neutro e un panno/guanto in microfibra di alta qualità. Pulisci delicatamente e risciacqua abbondantemente, preferibilmente con acqua demineralizzata, per rimuovere sporco e residui di sapone;
  3. tratta macchie d’acqua e ossidazione lieve: per rimuovere macchie persistenti o leggera opacizzazione, utilizza un polish di qualità per metalli non abrasivo o un detergente specifico per cromature. In alternativa, puoi usare una soluzione fatta in casa miscelando aceto bianco (1:1 con acqua) oppure fatta con bicarbonato (3:1 con acqua). Applica e strofina delicatamente l’area con un panno morbido, poi risciacqua;
  4. ruggine superficiale e ossidazione avanzata: per la ruggine superficiale, utilizza prodotti specifici per la rimozione della ruggine dalle cromature, seguendo le istruzioni del produttore. Per ruggine ostinata su metallo cromato (mai plastica), esiste la tecnica del foglio di alluminio inumidito ma presenta i molti rischi, per questo motivo consigliamo di testarla solo da professionisti del settore;
  5. applica il polish per la brillantezza finale: utilizza un polish specifico per cromature o comunque a bassa abrasività. Applica una piccola quantità su un panno in microfibra o schiuma. Lavora il polish sulla superficie con movimenti uniformi e circolari fino a formare una leggera patina;
  6. rimuovi i residui di polish e finalizza: una volta lasciato asciugare leggermente, con un panno in microfibra pulito oppure ovatta, rimuovi completamente i residui di polish dalla superficie con movimenti circolari contrari al vero di applicazione. Ispeziona la cromatura sotto una buona luce per assicurarti che non ci siano aloni o residui e che la brillantezza sia uniforme. Ripeti la lucidatura se necessario solo sulle aree che lo richiedono.

Come lucidare le cromature della moto

Le cromature sulle moto sono spesso più esposte agli elementi e si trovano in posizioni che possono rendere la pulizia e la lucidatura più complesse (vicino al motore, scarichi, ruote). Sebbene i principi base per lucidare le cromature moto siano simili a quelli per le auto, ci sono alcune specificità da considerare per un risultato ottimale e per preservare le componenti circostanti.
Ecco alcuni accorgimenti da seguire quando si lucidano le cromature di una moto:

  1. valuta la necessità di smontaggio: per accedere a cromature in punti difficili (es. cerchi a raggi, parti del motore, collettori di scarico), potrebbe essere utile o necessario smontare alcune componenti. Questo facilita il lavoro di lucidatura e riduce il rischio di danneggiare parti vicine, ma potrebbe essere necessaria la sostituzione di alcuni componenti come le guarnizioni;
  2. lavora solo a freddo: le cromature, specialmente sui sistemi di scarico, raggiungono temperature elevate. Oltre il rischio di ustione, non trattare mai le cromature calde, in quanto i prodotti potrebbero evaporare troppo rapidamente, macchiare o addirittura bruciare la finitura. Aspetta sempre che le parti siano completamente fredde;
  3. proteggi le aree circostanti: prima di applicare prodotti specifici, se il pezzo da trattare non si rimuove dalla moto copri o maschera le parti vicine che potrebbero essere sensibili (vernice opaca, plastica delicata, guarnizioni, cablaggi elettrici) per evitare contatti accidentali con detergenti o polish;
  4. scegli prodotti adatti: considera l’uso di prodotti specifici per moto. Alcuni polish per metalli per auto vanno benissimo, ma verifica sempre la compatibilità con le superfici tipiche di una moto;
  5. presta attenzione alle zone critiche: i cerchi sono soggetti a sporco ostinato (polvere dei freni, catrame), gli scarichi (specialmente i collettori) possono mostrare scolorimento dovuto al calore e accumuli carboniosi. Potrebbero richiedere prodotti più specifici o un lavoro più mirato (sempre dopo il raffreddamento);
  6. utilizza strumenti di dimensioni adeguate: per le cromature piccole o in punti stretti, avrai bisogno di applicatori e panni in microfibra più piccoli e lavorare il prodotto in modo efficace e sicuro;
  7. risciacqua e asciuga meticolosamente: dopo la pulizia e la lucidatura, risciacqua ogni traccia di prodotto, prestando particolare attenzione alle fessure, ai dadi e ai raggi dei cerchi. Asciuga completamente per prevenire macchie, soprattutto su scarichi e parafanghi.

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Come scegliere i prodotti e gli strumenti giusti per le cromature

L’efficacia e la sicurezza del processo di lucidatura delle cromature dipendono in gran parte dalla scelta accurata dei prodotti chimici e degli strumenti meccanici o manuali. Esiste una vasta gamma di opzioni, e saper distinguere tra esse è fondamentale, specialmente considerando le differenze tra cromature in metallo e in plastica. Ecco alcuni consigli per orientarti nella selezione:

  • prodotti per la pulizia pre-lucidatura: detergenti neutri per il lavaggio base, sgrassatori delicati per sporco ostinato (da usare con cautela), “water spot remover” per macchie calcaree. In alcuni casi, per sporco leggero, rimedi casalinghi come aceto diluito o bicarbonato, ma i prodotti specifici offrono prestazioni sicuramente superiori;
  • polish specifici per cromature e metalli: sono il cuore del processo di lucidatura, si utilizzano di due tipologie, polish chimici contenenti agenti che dissolvono l’ossidazione e le macchie senza componeti abrasivi, ideali per cromature ben tenute o leggermente opacizzate. Mentre per per rimuovere difetti come ossidazione avanzata, piccoli graffi o ruggine superficiale si utilizzano dei polish abrasivi che contengono microparticelle che levigano la superficie. Vanno scelti con un grado di abrasività minimo in modo da non assottigliare o graffiare la cromatura. Prodotti dedicati come per esempio (“chrome polish”) sono formulati apposta per bilanciare efficacia e delicatezza;
  • prodotti per la rimozione della ruggine: formulazioni specifiche contenenti agenti che aggrediscono l’ossido di ferro. Sono spesso più aggressivi dei semplici polish e richiedono risciacqui accurati. Usare solo dove strettamente necessario;
  • prodotti protettivi post-lucidatura: fondamentali per mantenere la brillantezza nel tempo. Sono delle cere naturali o sintetiche e offrono una buona brillantezza e un certo livello di protezione idrorepellente e anti-sporco;
  • sigillanti sintetici (sealant): formano uno strato protettivo più durevole rispetto alle cere, con ottime proprietà idrorepellenti e resistenza agli agenti chimici e si applicano su superfici gia lucidate o nuove in modo da mantenere la cromatura nel tempo;
  • coating ceramici: la sua protezione è più duratura, di qualità superiore rispetto a quelli sintetici, crea una barriera resistente a graffi leggeri, agenti chimici e raggi UV. Esistono coating specifici anche per superfici metalliche o cromate.

Ora che sappiamo i prodotti consigliati per la lucidatura vediamo gli atttrezzi più idonei da utilizzare. Possiamo usare sia strumenti manuali utilizzati maggiormente per il fai da te, ma si trovano anche strumenti automatici e sono utilizzati principalmente in ambito professionale:

  • panni in microfibra: di diverse qualità (grammatura/densità) e tipi di fibra. Sono indispensabili per applicare e rimuovere i prodotti, è necessario utilizzare panni puliti e morbidi. Avere panni dedicati per la pulizia, l’applicazione del polish e la rimozione è l’ideale;
  • applicatori: in alternativa ai panni si possono usare pad in schiuma o microfibra per stendere polish e protettivi, riducendo il contatto diretto con le mani;
  • spazzolini a setole morbide: utili per pulire fessure e aree difficili da raggiungere prima o dopo la lucidatura;
  • lucidatrici orbitali: possono accelerare il processo su superfici ampie e piatte (es. cerchi e parti di grandi dimensione), queste attrezzature vengono usate in ambito professionale in quanto richiedono esperienza e cautela. Il rischio maggiore è quello di surriscaldare o consumare lo strato sottile di cromo, specialmente quando si usano con polish abrasivi.

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Manutenzione e prevenzione

Ci sono delle differenza tra cromature su metallo e cromature su plastica, vediamole insieme:

  • cromo su plastica: estremamente delicato, si sconsiglia l’utilizzo di polish abrasivi, solventi aggressivi, lana d’acciaio o tecniche come quella del foglio di alluminio. Utilizzare solo prodotti specifici con caratteristiche “chrome plastic safe” o prodotti estremamente delicati. La sua applicazione deve avvenire con una pressione minima. Un polish troppo aggressivo sulla plastica rimuoverà rapidamente lo strato cromato, esponendo la plastica sottostante;
  • cromo su metallo: generalmente più resistente e durevole rispetto alla cromatura su plastica. Può sopportare polish leggermente più abrasivi (sempre con cautela!) ed è qui che tecniche specifiche per la rimozione della ruggine (come accennato quella del foglio di alluminio) possono essere applicate, anche se si consiglia la sua applicazione da personale esperto.

Ogni 6 mesi, una volta che le cromature sono state pulite e lucidate per riportarle al loro splendore originale, per mantenerle in quello stato è fondamentale effettuare una manutenzione regolare. Lava e applica il prodotto finale in modo da creare uno strato protettivo, evitando che agenti atmosferici o contaminanti si depositino e intacchino la lucidatura e l’integrità della cromatura.

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277209 Come lucidare cromature auto o moto
Bollo auto, cambia tutto: versamento annuale e senza rate per ogni veicolo https://www.virgilio.it/motori/info-utili/bollo-auto-versamento-annuale-novita-2026/278392/ Tue, 13 May 2025 04:30:02 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278392 Siamo ancora nella fase preliminare della riforma del bollo auto, ma i primi passi dell’iter sono già stati compiuti. Il Consiglio dei ministri, nel quadro della ampia riforma fiscale, ha infatti approvato in via preliminare il diciassettesimo decreto attuativo che, tra i cambiamenti ipotizzati nella gestione di tributi locali, mette in discussione il bollo auto così come lo conosciamo.

Questo intervento normativo, che rientra nel pacchetto di riforme sul federalismo fiscale regionale, punta a garantire maggiore autonomia finanziaria alle Regioni e consentire di gestire le risorse raccolte attraverso i tributi di competenza. Le modifiche riguarderanno milioni di cittadini e coinvolgeranno sia i privati sia le aziende proprietarie di flotte. Il percorso legislativo non è però ancora concluso: prima che le disposizioni diventino operative, il decreto dovrà passare il vaglio della Conferenza unificata Stato-Regioni e ricevere il via libera definitivo dalle commissioni parlamentari competenti.

Pagamento annuale in un’unica soluzione per tutti i veicoli

La più rilevante tra le novità annunciate riguarda l’eliminazione dei pagamenti frazionati del bollo auto. Fino a oggi, i cittadini potevano scegliere di versare il bollo con diverse modalità, in base alle scadenze stabilite dalle singole Regioni. Alcune consentivano pagamenti quadrimestrali o semestrali, altre prevedevano un’unica scadenza annuale. Dal primo gennaio 2026 questa flessibilità scomparirà del tutto: chi possiede un veicolo dovrà versare la tassa del bollo auto in un’unica soluzione, riferita al mese di immatricolazione.

Questa scelta è giustificata dal Governo come misura per semplificare la vita degli automobilisti, ma anche per razionalizzare la gestione amministrativa da parte delle Regioni che faticano a tenere sotto controllo i pagamenti frazionati. Il nuovo sistema permetterà di allineare ogni veicolo a un’unica data di scadenza e a ridurre, almeno nelle intenzioni, il rischio di dimenticanze o inadempienze da parte dei contribuenti.

Conseguenze sulle flotte aziendali e sul noleggio a lungo termine

La riforma del bollo auto ha un impatto diretto anche sulle aziende che gestiscono flotte di veicoli e sulle società di noleggio a lungo termine. L’obbligo di versamento in un’unica soluzione annuale richiederà l’adeguamento dei budget e sistemi di gestione amministrativa. Le società di noleggio sono quindi chiamate ad aggiornare i contratti e i sistemi di fatturazione per riflettere le nuove scadenze e modalità di pagamento.

Il principio di territorialità e la gestione regionale del gettito

Un altro pilastro del decreto è la riaffermazione del principio di territorialità. Questo significa che il bollo auto dovrà essere versato solo alla Regione di residenza del proprietario, che in genere coincide con quella in cui il veicolo circola con maggiore frequenza. Questa scelta non è solo amministrativa, ma anche politica e ambientale: permette alle Regioni di trattenere le risorse economiche generate dalla mobilità sul proprio territorio, investendole in progetti di sostenibilità, come la riduzione delle emissioni, il miglioramento della viabilità o l’incentivazione del trasporto pubblico locale.

Si tratta di una visione che guarda anche all’economia circolare, perché punta a trasformare una tassa percepita come onerosa in una leva per la transizione ecologica dei territori. Non sarà più possibile intestare un veicolo in una Regione solo per approfittare di eventuali aliquote più basse, pratica che in passato ha creato disomogeneità e concorrenza sleale tra enti locali.

Scadenze, modalità di pagamento e sanzioni oggi

La scadenza del bollo auto varia in base alla data di immatricolazione del veicolo e alla Regione di residenza. In genere il pagamento deve essere effettuato entro l’ultimo giorno del mese successivo alla scadenza annuale. Ad esempio, se un veicolo è stato immatricolato a settembre, il bollo dovrà essere rinnovato entro ottobre di ogni anno.

Il pagamento può essere effettuato attraverso diversi canali: online tramite il sito dell’ACI o delle Regioni, presso gli sportelli ACI, le agenzie di pratiche automobilistiche, le tabaccherie convenzionate e gli uffici postali. Il tutto senza dimenticare che ci sono diverse categorie di veicoli e proprietari che possono beneficiare di esenzioni o riduzioni del bollo auto:

  • veicoli elettrici: in molte Regioni, sono esenti dal pagamento per i primi 5 anni dall’immatricolazione, con eventuali riduzioni negli anni successivi;
  • veicoli ibridi: alcune Regioni offrono esenzioni o riduzioni temporanee, in genere per i primi 3-5 anni, a seconda delle normative locali;
  • veicoli storici: i veicoli con più di 30 anni possono essere esenti dal bollo, mentre quelli tra 20 e 29 anni possono beneficiare di una riduzione del 50%, purché iscritti in registri storici riconosciuti;
  • veicoli per persone con disabilità: sono previste esenzioni per veicoli utilizzati da o per il trasporto di persone con disabilità, secondo quanto stabilito dalla legge 104 del 1992.

Il mancato pagamento del bollo auto entro i termini previsti comporta l’applicazione di sanzioni e interessi. La sanzione standard è pari al 30% dell’importo dovuto, oltre agli interessi. In caso di inadempienza protratta per oltre tre anni, è prevista la radiazione d’ufficio del veicolo dal Pubblico Registro Automobilistico con conseguente impossibilità di circolazione.

Nuove regole per il soggetto passivo e i veicoli sottoposti a fermo

Di particolare rilievo è anche la modifica che riguarda la definizione del soggetto obbligato al pagamento. Oggi chi risulta proprietario il giorno stesso della scadenza è chiamato a versare la tassa. Dal 2026 il nuovo sistema identificherà il contribuente tenuto al pagamento al primo giorno del periodo di riferimento, evitando così che i passaggi di proprietà generino dubbi o contestazioni.

Obiettivo di questa misura è garantire maggiore trasparenza e certezza giuridica, soprattutto nei casi di vendite effettuate nei giorni immediatamente precedenti la scadenza. Viene inoltre introdotta una stretta sulle esenzioni per fermo amministrativo: anche se il veicolo non può essere utilizzato su strada perché sottoposto a provvedimento amministrativo, il proprietario sarà comunque obbligato a pagare il bollo regolarmente. Le cronache raccontano infatti che molti debitori usano il fermo come strumento di elusione fiscale, mantenendo la responsabilità economica a carico dell’intestatario del mezzo.

L’iter legislativo e le prossime tappe verso l’entrata in vigore

Nonostante l’approvazione preliminare da parte del Governo, il decreto deve ancora affrontare più passaggi istituzionali prima di diventare legge. La Conferenza unificata sarà chiamata ad esprimere un parere vincolante, che potrebbe portare a modifiche o integrazioni delle misure proposte. Quindi il testo dovrà essere esaminato dalle commissioni parlamentari, che avranno il compito di valutarne la coerenza con l’intero impianto della riforma fiscale e con gli interessi delle autonomie locali. Solo al termine di questo percorso si potrà parlare di piena operatività, con l’entrata in vigore fissata per il primo gennaio 2026.

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278392 Bollo auto, pagamento intero e annuale per ogni mezzo
Silenzio del Prefetto, quando la mancata risposta annulla multe e fa vincere il ricorso https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/silenzio-prefetto-multa-annullata-ricorso/278168/ Mon, 12 May 2025 04:30:02 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278168 Ogni automobilista che riceve una multa per violazioni al Codice della Strada ha il diritto di presentare un ricorso al Prefetto, un’opzione spesso preferita da chi non vuole affrontare le spese di un procedimento davanti al Giudice di Pace. La legge italiana stabilisce che il Prefetto, una volta ricevuta la richiesta di annullamento della multa, deve pronunciarsi entro i termini di legge. Se questo non avviene, il silenzio della pubblica amministrazione diventa di fatto un’accettazione del ricorso, portando così all’annullamento della sanzione.

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278168 Ricorso vinto senza fare nulla: il potere del silenzio amministrativo sulle multe
Noleggio supercar, c’è un limite d’età? Cosa prevede la legge italiana https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/noleggio-supercar-eta/278158/ Sun, 11 May 2025 04:35:25 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=278158 Il desiderio di mettersi al volante di una supercar è diffuso tra i giovani appassionati di motori. Prima di trasformare il desiderio in realtà occorre avere consapevolezza che in Italia l’accesso a questi veicoli attraverso il noleggio è regolamentato da una serie di normative e policy aziendali che puntano a garantire la sicurezza stradale e a gestire i rischi associati alla guida di auto ad alte prestazioni.

Normative per i neopatentati sulle supercar

Secondo l’articolo 117 del Codice della Strada, i neopatentati – ovvero coloro che hanno conseguito la patente da meno di tre anni – sono soggetti a restrizioni. Per i primi tre anni, non possono guidare veicoli con una potenza specifica superiore a 75 kW/t (circa 102 CV per tonnellata). Per le autovetture di categoria M1, la potenza massima consentita è di 105 kW (circa 143 CV).

Le restrizioni si applicano anche ai veicoli elettrici o ibridi plug-in, per i quali il limite di potenza specifica è di 65 kW/t, compreso il peso della batteria. Le limitazioni non si applicano se il neopatentato è accompagnato da una persona con almeno dieci anni di esperienza di guida e di età non superiore a 65 anni.

Non solo, ma per i primi tre anni dal conseguimento della patente, i neopatentati devono rispettare limiti di velocità ridotti: 100 km/h in autostrada e 90 km/h sulle strade extraurbane principali. La violazione di queste disposizioni comporta sanzioni amministrative e la sospensione della patente da due a otto mesi.

Le policy delle società di noleggio

Oltre alle restrizioni legali, le società di noleggio impongono requisiti per l’affitto di supercar. Molte aziende stabiliscono un’età minima di 25 anni per il noleggio di veicoli di lusso, mentre per le supercar più potenti, il limite può salire a 30 anni. Ed è spesso necessario aver conseguito la patente da almeno tre anni e fornire garanzie finanziarie significative, come una o due carte di credito con un plafond elevato e un deposito cauzionale consistente.

Supplementi per giovani conducenti

Alcune compagnie di noleggio applicano un supplemento per giovani conducenti ovvero coloro che hanno meno di 25 anni. Questo sovrapprezzo varia a seconda della compagnia e della durata del noleggio. La ragione va ricondotta al maggiore rischio percepito associato alla guida da parte di conducenti giovani.

Le regole da conoscere prima di noleggiare una supercar

Accedere al noleggio di una vettura, anche di fascia alta, non richiede l’adempimento di procedure complesse. Al contrario, le pratiche burocratiche sono snelle per chi dispone dei requisiti minimi richiesti. Le agenzie di noleggio impongono quasi sempre una restrizione l’esclusione automatica per chi ha conseguito la patente da meno di dodici mesi. Una barriera che serve a garantire un minimo di esperienza alla guida, prima di mettere a disposizione mezzi dalle prestazioni elevate. Una volta superata questa soglia temporale, il ventaglio delle vetture accessibili si apre in maniera pressoché totale.

Non ci sono limitazioni sul tipo di auto che si può selezionare, a condizione, almeno sulla carta, che il conducente rispetti i limiti di velocità per i neopatentati, come già indicato nelle normative vigenti. Le cronache raccontano che questi vincoli non sempre vengono rispettati, soprattutto quando al volante ci si trova su modelli capaci di accelerazioni brucianti e velocità da pista.

Capitolo tutele assicurative, le società possono richiedere l’attivazione di una polizza aggiuntiva nel caso in cui il conducente rientri nella fascia di età considerata più rischiosa. A cui può essere affiancata una cauzione di sicurezza, trattenuta dalla carta di credito dell’intestatario del contratto. Si tratta di una somma di garanzia che viene restituita alla conclusione del noleggio, a condizione che il veicolo venga riconsegnato nelle stesse condizioni, privo di danni o coinvolgimenti in incidenti.

Nel caso in cui il cliente sia un giovane conducente e intenda noleggiare una supercar, alcune agenzie richiedono anche la firma di una dichiarazione di assunzione di responsabilità da parte di un genitore o tutore legale. Una prassi non obbligatoria per legge, ma utilizzata per coprire il noleggiatore da eventuali controversie.

Sul fronte dei costi, le differenze dipendono in dalla fascia del veicolo scelto. Noleggiare una vettura compatta o una berlina di media cilindrata è, oggi, ancora alla portata di molti. Uno scenario che cambia quando si entra nel mondo delle sportive di lusso.

In questo segmento, il prezzo da pagare può diventare importante: per mettersi alla guida di una supercar si può arrivare a spendere fino a 1.500 euro al giorno. E la cifra può addirittura raddoppiare per ogni giornata supplementare rispetto alla durata pattuita nel contratto. A questi importi si aggiungono anche le cauzioni, che crescono in misura proporzionale alla potenza e al valore del mezzo selezionato, arrivando a superare anche i 10.000 euro di deposito in alcuni casi.

Il noleggio come scorciatoia al sogno delle alte prestazioni

In un’epoca segnata da incerte prospettive di acquisto per la generazione più giovane, anche chi dispone di una buona capacità finanziaria si ritrova spesso a rinunciare all’acquisto di un’auto sportiva o di una supercar. I costi di gestione, tra bollo, assicurazioni elevate e interventi di manutenzione straordinaria, rendono questa scelta un lusso insostenibile per molti. Ecco perché il noleggio a lungo termine si pone come una soluzione alternativa per realizzare il sogno senza dover affrontare le complessità di una proprietà vera e propria.

Quella che a molti appare come una semplice scappatoia legale ha già fatto discutere in più occasioni, sollevando interrogativi etici e giuridici. Eppure, i numeri raccontano una realtà in continua crescita, in particolare tra i giovani automobilisti che vogliono mettersi al volante di modelli esclusivi.

I vantaggi del noleggio a lungo termine, d’altra parte, appaiono evidenti agli occhi di chi valuta questa soluzione. A differenza dell’acquisto di un’auto di proprietà, il cliente viene sollevato da gran parte delle spese accessorie che gravano sull’intestatario del mezzo. Le agenzie di noleggio, nella maggior parte dei casi, propongono contratti con una durata che non supera i 36 mesi, durante i quali sono comprese le voci di costo che rendono la gestione dell’auto più leggera. Oltre alla manutenzione ordinaria e alla sostituzione degli pneumatici, il canone mensile copre anche la polizza assicurativa obbligatoria. In molti casi, la società di noleggio si fa carico persino del bollo auto, lasciando al cliente solo la responsabilità di sostenere le spese di carburante.

Così, quella che sembra una soluzione temporanea o di comodo, si trasforma in una tendenza generazionale in grado di cambiare le regole dell’accesso alle auto di lusso, senza ricorrere a un investimento economico che può risultare ancora fuori portata.

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278158 Il business delle supercar ai giovani: cosa è concesso e cosa vietato dalla legge
Sistema di controllo della trazione: cos’è e come funziona https://www.virgilio.it/motori/info-utili/controllo-trazione/277911/ Sun, 11 May 2025 04:30:05 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277911 Guidare in condizioni di scarsa aderenza, come su strade bagnate, innevate o ghiacciate, può compromettere seriamente la sicurezza. Per fortuna, le tecnologie di sicurezza attiva come il controllo della trazione, conosciuto come ASR o TCS, intervengono per prevenire la perdita di aderenza delle ruote motrici. Approfondiamo come funziona, le sue componenti e la sua interazione con altri sistemi di sicurezza.

Cos’è e a cosa serve il controllo trazione

Il controllo della trazione, noto con le sigle ASR o TCS, è un sistema elettronico di sicurezza essenziale presente nella maggior parte delle auto moderne. Il suo compito principale è gestire la forza trasmessa alle ruote motrici per impedire slittamenti eccessivi, garantendo una migliore aderenza e stabilità del veicolo. Questo sistema è fondamentale perché assiste il guidatore in diverse situazioni di guida dove l’aderenza tra pneumatico e fondo stradale può venire meno inaspettatamente, aumentando drasticamente la sicurezza attiva del veicolo. Intervenendo prontamente, il controllo trazione offre diversi vantaggi pratici:

  • aumenta la sicurezza attiva: riducendo il rischio di perdere il controllo del veicolo in condizioni di bassa aderenza;
  • migliora la stabilità e la direzionalità: aiutando l’auto a mantenere la traiettoria impostata dal guidatore, anche su superfici scivolose;
  • ottimizza le partenze e le accelerazioni: permette di sfruttare al meglio l’aderenza disponibile per muovere il veicolo in modo controllato, evitando pattinamenti inutili.

È indispensabile in scenari come le partenze su fondi scivolosi (neve, ghiaccio, pioggia o fango), le accelerazioni intense (dove troppa potenza può causare pattinamento anche su asciutto) e nell’attraversamento di tratti con differenti terreni (come passare su pozzanghere o ghiaino).

Sigle ASR E TCS cosa significano e come funzionano

Quando si parla di controllo della trazione, si utilizzano comunemente le sigle ASR (Anti-Slip Regulation) e TCS (Traction Control System). Sebbene siano due acronimi diversi, nella maggior parte dei casi si riferiscono alla stessa funzione, un sistema che impedisce il pattinamento delle ruote motrici, agendo per limitare la forza che causa lo slittamento, principalmente durante l’accelerazione. La scelta di utilizzare ASR o TCS dipende semplicemente dalla terminologia adottata dal costruttore del veicolo. Indipendentemente dalla sigla, il principio base di funzionamento del sistema di controllo trazione si basa su un ciclo continuo:

  • monitoraggio della velocità ruota: il sistema rileva costantemente la velocità di rotazione di ciascuna ruota tramite appositi sensori;
  • rilevamento dello slittamento: la centralina identifica uno slittamento quando una o più ruote motrici girano significativamente più velocemente rispetto alle altre, indicando una perdita di aderenza;
  • intervento automatico: una volta rilevato lo slittamento, il sistema agisce immediatamente per correggerlo.

Questo intervento automatico per limitare lo slittamento avviene principalmente in due modi:

  • riducendo la potenza erogata dal motore (diminuendo la coppia motrice);
  • applicando una leggera e mirata forza frenante sulla ruota che sta slittando.

Spesso, queste due azioni vengono combinate per ottimizzare l’intervento in base all’intensità dello slittamento.

Controllo automatico trazione cos’è e come funziona

Il controllo automatico della trazione, identificato con ASR o TCS, è un sistema che gestisce l’aderenza del veicolo in modo autonomo, senza richiedere l’intervento diretto del guidatore. La sua efficacia si basa sulla collaborazione istantanea tra diversi componenti elettronici e meccanici. Al centro del sistema c’è la centralina elettronica, il “cervello” che elabora i dati provenienti dai vari sensori. Quando la centralina rileva una differenza anomala nella velocità delle ruote, chiaro segnale di slittamento, attiva gli attuatori per correggere la situazione. Il processo di intervento dettagliato si sviluppa così:

  • la centralina elabora i dati dei sensori: analizza le informazioni sulle velocità ruota ricevute in tempo reale e determina l’entità e la posizione dello slittamento;
  • richiesta di riduzione potenza motore: la centralina comunica con il sistema di gestione motore per limitare la coppia trasmessa alle ruote. Questo si realizza agendo su parametri come l’iniezione di carburante, l’accensione o l’apertura della farfalla elettronica;
  • applicazione mirata dei freni: tramite il guppo idraulico (ABS), la centralina può frenare leggermente la ruota che sta slittando. Questa azione aiuta a rallentarla per farle riprendere aderenza e, nei veicoli con differenziale aperto, trasferisce coppia alla ruota con maggiore presa;
  • combinazione di interventi: il sistema modula continuamente la riduzione di potenza e l’azione frenante sulle singole ruote per stabilizzare il veicolo e ottimizzare la trazione nel minor tempo possibile.

Questo processo avviene in una frazione di secondo, garantendo che l’intervento sia quasi istantaneo e molto più rapido della reazione umana, permettendo di mantenere la stabilità.

Spia controllo trazione

Il veicolo avvisa se il sistema di controllo trazione è attivo o se riscontra un problema tramite una spia dedicata sul quadro strumenti. Comprendere il significato di questa spia è fondamentale per la sicurezza. Questa spia presentarsi in due modalità principali:

  • spia lampeggiante: questo segnale indica che il sistema sta funzionando e sta intervenendo in quel preciso momento per gestire una situazione di slittamento o aiutare a mantenere la stabilità. La vedrai lampeggiare durante accelerate decise su fondi scivolosi o in condizioni di guida al limite dell’aderenza ed è un comportamento normale;
  • spia accesa fissa: se la spia rimane illuminata costantemente senza lampeggiare, indica che il sistema di controllo trazione e/o l’ESP non è operativo o presenta un malfunzionamento. In questo caso, in situazioni di perdita di aderenza, il sistema non potrà intervenire.

Quando la spia rimane accesa fissa, ciò suggerisce un problema che richiede attenzione. Le cause comuni includono guasti ai sensori velocità ruota, malfunzionamenti della centralina di controllo (spesso la centralina ABS/ESP.

), problemi all’impianto idraulico o agli attuatori, o difetti nel cablaggio o nell’alimentazione elettrica del sistema. In presenza di questa segnalazione fissa, si consiglia di rivolgersi quanto prima a un’officina qualificata per una diagnosi e riparazione.

Controllo della trazione spento cosa fare

Generalmente, il sistema di controllo della trazione è sempre attivo all’avvio del veicolo per garantire la massima sicurezza. La maggior parte delle auto moderne offre comunque la possibilità al guidatore di disattivarlo temporaneamente, solitamente tramite un pulsante dedicato sulla plancia o un’opzione nel computer di bordo. Questa funzionalità è pensata per situazioni molto specifiche e limitate, e non per la guida normale su strada. Ci sono dei contesti in cui disattivare l’ASR/TCS può essere utile, ad esempio:

  • uscire da situazioni difficili come neve alta, fango o sabbia profonda: in questi casi, un minimo slittamento può essere necessario per “scavare” e trovare una superficie su cui fare presa, e il sistema potrebbe altrimenti impedire il movimento;
  • affrontare pendenze molto ripide e ghiacciate con catene montate: in condizioni estreme, un limitato slittamento con le catene può aiutare l’avanzamento e l’intervento del sistema potrebbe essere controproducente.

È importante comprendere che disattivare il controllo della trazione (e l’ESP) durante la guida normale su strada non è affatto consigliabile. Questi sistemi sono sistemi di sicurezza attivi che reagiscono in modo molto più rapido e preciso del guidatore in caso di perdita di aderenza o sbandamento, aumentando enormemente la sicurezza. Disattivandoli, ci si affida unicamente alle proprie capacità di reazione e gestione del veicolo, incrementando significativamente il rischio di incidenti.

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277911 Spia controllo trazione ASR TCS accesa
Auto in panne, come trainarla: cosa fare in 5 semplici step https://www.virgilio.it/motori/info-utili/auto-in-panne/277004/ Sat, 10 May 2025 04:30:41 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277004 Ritrovarsi con l’auto in panne è un’esperienza che, prima o poi, capita alla maggior parte degli automobilisti, purtroppo. Che si tratti di una batteria scarica, un guasto al motore o un’avaria improvvisa durante il viaggio, sapere come comportarsi in questi frangenti è fondamentale per garantire la propria sicurezza e quella degli altri utenti della strada. Spesso, l’ansia o la mancanza di esperienza possono portare a scelte sbagliate, aumentando il rischio di danni o situazioni pericolose.

In questi casi, una delle soluzioni più immediate, soprattutto se ci si trova lontani da un’officina o non si ha la possibilità di attendere un carroattrezzi, è il traino del veicolo. Ma attenzione: trainare un’auto non è un’operazione banale. Richiede prudenza, conoscenza delle regole del Codice della Strada, e una buona dose di coordinazione tra i conducenti dei due veicoli coinvolti.

In questo approfondimento saranno spiegati 5 semplici e chiari passaggi per trainare un’auto in panne in modo efficace e sicuro. Vedremo cosa serve, come prepararsi correttamente e quali errori evitare per non mettere a rischio la propria sicurezza o quella altrui. Perché anche nelle situazioni d’emergenza, agire con lucidità e consapevolezza può fare davvero la differenza.

Cosa fare con l’auto in panne

Nel caso ci si dovesse ritrovare con l’auto impossibilitata al movimento, a causa della batteria scarica o altre motivazioni, è possibile seguire i consigli dell’esperto, li trovate di seguito.

Mettere in sicurezza il veicolo e segnalare la presenza

La prima cosa da fare è garantire la propria sicurezza e degli altri utenti della strada. Accostare il veicolo il più possibile a destra, in una zona sicura e lontana dal flusso del traffico. Attivare immediatamente le luci di emergenza (le quattro frecce) per segnalare che qualcosa non va. Se si ha a disposizione il triangolo di emergenza, posizionarlo a una distanza adeguata (almeno 50 metri) dietro il veicolo. Indossare il giubbotto catarifrangente prima di scendere dall’auto per essere ben visibile.

Procurarsi l’attrezzatura necessaria per il traino

Verificare di avere a bordo l’attrezzatura per il traino. Solitamente è composta da una fune o una barra di traino omologata. Assicurarsi che siano in buone condizioni e che abbiano una portata sufficiente per il peso del veicolo. Individuare i punti di traino sia sulla propria auto (solitamente indicati nel manuale del veicolo con un gancio a vite o un occhiello) che sull’auto che si occuperà del traino.

Collegare correttamente la fune o la barra di traino

Seguendo le istruzioni del manuale del veicolo, avvitare o agganciare saldamente il gancio o l’occhiello di traino al punto designato. Fare lo stesso sull’auto che traina. Se si utilizza una fune, assicurarsi che sia ben tesa ma non eccessivamente tirata prima di iniziare il traino. Se si usa una barra rigida, il collegamento sarà più stabile. Verificare che i sistemi di aggancio siano sicuri e ben fissati.

Comunicare con il conducente dell’auto trainante

Prima di iniziare il traino, è consigliato mettersi d’accordo con il conducente dell’altro veicolo sulla destinazione e sul percorso da seguire. Stabilire dei segnali per comunicare durante il traino, ad esempio per indicare di rallentare, fermarsi o svoltare. È importante ricordare che il veicolo trainato deve mantenere il motore spento (a meno che il manuale non indichi diversamente per lo sblocco dello sterzo o del cambio) e il quadro acceso per poter azionare le luci e i freni.

Procedere con cautela e rispettare le norme

Iniziare il traino lentamente e con dolcezza per evitare strappi. Mantenere una velocità moderata e costante, evitando accelerazioni e frenate brusche. Aumentare la distanza di sicurezza rispetto agli altri veicoli. Prestare particolare attenzione nelle curve e nelle frenate, tenendo conto che il veicolo trainato ha una dinamica diversa. Ricordare che il traino di un veicolo in panne è consentito solo per brevi distanze e per raggiungere l’officina più vicina o un luogo sicuro. Rispettare sempre le norme del Codice della Strada relative al traino è fondamentale.

Chi chiamare se l’auto è in panne

Se l’auto dovesse fermarsi improvvisamente, la prima cosa da fare è verificare se la polizza assicurativa include il servizio di soccorso stradale. In tal caso, consultare i documenti dell’assicurazione per individuare il numero di telefono dedicato all’assistenza, solitamente attivo 24 ore su 24 su tutto il territorio italiano. Qualora siano previsti servizi di assistenza stradale con organizzazioni come ACI o Europ Assistance, è possibile contattare i loro numeri specifici validi a livello nazionale. Per l’ACI, il numero verde da chiamare dall’Italia è l’803.116, mentre dall’estero si può comporre il +39 02 66165116.

È disponibile anche un numero via SMS per persone non udenti, il 339 9943116, e l’app ACI Space. Per quanto riguarda Europ Assistance, i dettagli di contatto sono reperibili sul loro sito web o tramite la propria compagnia assicurativa. Se non si dispone di una copertura di soccorso stradale o si preferisce un intervento diretto, c’è la possibilità di rivolgersi a servizi di carroattrezzi privati che operano in zona. Molte di queste aziende offrono servizi 24 ore su 24.

In situazioni in cui l’auto in panne rappresenta un pericolo o un intralcio significativo per la circolazione stradale, è fondamentale contattare la Polizia Stradale, fornendo la posizione nel modo più preciso possibile, indicando la via, il numero civico (se presente), il senso di marcia e qualsiasi punto di riferimento utile.

Auto in panne in autostrada, cosa fare

Se un automobilista si trova con la propria auto in panne mentre sta percorrendo l’autostrada, la prima azione da intraprendere è mantenere la calma e cercare di condurre il veicolo in un’area sicura. Immediatamente dopo l’arresto, è fondamentale che attivi le luci di emergenza per segnalare la presenza del veicolo in avaria agli altri utenti della strada.
Prima di scendere dall’abitacolo, indossare il giubbotto catarifrangente, in modo da essere ben visibile agli altri conducenti. Successivamente, provvedere a posizionare il triangolo di emergenza ad una distanza di almeno 100 metri dal veicolo fermo, in modo che sia chiaramente percepibile dagli automobilisti in arrivo.
Lungo l’autostrada sono dislocate colonnine SOS che permettono di entrare in contatto diretto con il centro operativo di assistenza. Se la polizza assicurativa prevede la copertura per il soccorso stradale, è opportuno seguire le istruzioni fornite dalla propria compagnia. Durante la chiamata di soccorso, l’automobilista dovrà fornire la sua posizione esatta, indicando il chilometro e la direzione di marcia, oltre a descrivere il tipo di guasto occorso e il modello del veicolo.
È importante ricordare che in autostrada non è consentito farsi trainare da un altro veicolo privato. Solo i mezzi di soccorso autorizzati possono effettuare questa manovra. Mentre attende l’arrivo dei soccorsi, è fondamentale posizionarsi in un luogo sicuro, preferibilmente dietro il guardrail e lontano dalla carreggiata.

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277004 Auto in panne, trainarla in 5 step
Droga alla guida: cosa dice davvero la legge italiana https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/droga-alla-guida-legge/277918/ Thu, 08 May 2025 21:22:55 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277918 Il tema della guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti è tornato al centro dell’attenzione in seguito alle modifiche introdotte dal nuovo Codice della Strada e dalle successive circolari interpretative. Il dibattito ruota attorno a un punto: è punibile la sola presenza di droga nell’organismo, anche in assenza di uno stato di alterazione psicofisica evidente? A fornire una risposta ci hanno adesso pensato i Ministeri dell’Interno e della Salute, con una circolare inviata a prefetti e questori che chiarisce i contorni applicativi della nuova disciplina.

La norma attuale e il superamento del concetto di alterazione

Il cuore del problema va cercato nella definizione giuridica di ciò che costituisce guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Il punto di riferimento è la versione aggiornata dell’articolo 187 del Codice della Strada.

Oggi non è più necessario dimostrare uno stato di alterazione psicofisica per configurare l’illecito. Basta che l’automobilista abbia assunto una sostanza illecita in un lasso di tempo compatibile con la guida, a condizione che sia ancora attiva nell’organismo al momento del controllo. In altre parole, la nuova norma presuppone una correlazione temporale tra l’assunzione della droga e la conduzione del veicolo, ma non richiede la prova di un’effettiva compromissione delle capacità cognitive o motorie.

L’evoluzione dell’articolo 187 del Codice della Strada

L’articolo 187 del Codice della Strada ha conosciuto nel tempo diverse modifiche. Da un’impostazione centrata sulla dimostrazione dell’alterazione psicofisica si è passati a un modello fondato sull’accertamento tossicologico oggettivo. In passato, la legge si limitava a sanzionare chi guidava in stato di alterazione, ma la prova si rivelava difficile da ottenere e fonte di contenziosi.

Con l’ultima riforma normativa il legislatore ha invertito l’onere della prova, chiedendo non tanto di dimostrare il comportamento alterato, quanto la presenza attiva della sostanza nel corpo del conducente.

L’effetto attivo della sostanza come criterio di giudizio

Lo spostamento dell’asse giuridico dal concetto soggettivo di alterazione alla presunzione oggettiva di effetto attivo della sostanza ha provocato reazioni contrastanti. La circolare, che va in scia del nuovo Codice della Strada, specifica che per ritenere integrata la fattispecie penale, bisogna dimostrare che la droga sia stata assunta in un arco temporale ravvicinato alla guida, tale da far supporre che stesse ancora producendo effetti farmacologici durante la conduzione del veicolo. In assenza di questa prova, il comportamento del conducente non è considerato penalmente rilevante.

L’incidenza delle diverse sostanze sui tempi di eliminazione

Uno degli aspetti più controversi riguarda la variabilità dei tempi di smaltimento delle sostanze stupefacenti a seconda della tipologia assunta. THC, cocaina, oppiacei, benzodiazepine e amfetamine seguono curve metaboliche diverse. Mentre alcune sostanze vengono eliminate nell’arco di poche ore, altre, come il principio attivo della cannabis, possono rimanere tracciabili per diversi giorni, soprattutto nei consumatori abituali.

I test di accertamento: saliva e sangue, non urine

Un altro elemento sul tavolo del confronto riguarda i metodi di accertamento dell’uso di droghe. I test più comuni, come l’esame delle urine, sono stati messi in discussione proprio perché in grado di rilevare tracce residue della sostanza anche molti giorni dopo l’assunzione, quando non è più attiva nel sistema nervoso.

Di conseguenza, il documento ministeriale ribadisce che solo i prelievi di sangue o di fluido salivare possono essere considerati affidabili per stabilire la presenza effettiva della sostanza in forma farmacologicamente attiva. La differenza tra presenza e effetto diventa dunque il cardine della valutazione.

La questione costituzionale e il principio di offensività

Sul fronte giurisprudenziale, la questione è tutt’altro che chiusa. Il Tribunale di Pordenone ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, ritenendo che la nuova norma possa violare il principio di offensività, secondo il quale una condotta è punibile solo se produce un concreto pericolo per un bene giuridico tutelato, in questo caso la sicurezza della circolazione stradale.

Nel caso concreto, la persona risultata positiva agli oppiacei aveva dichiarato di aver assunto un farmaco contenente codeina nelle 24-72 ore precedenti, ma senza mostrare alcun sintomo di alterazione al momento dell’incidente.

Il nodo giuridico attorno alla legittimità costituzionale della nuova norma sarà allora sciolto dalla Corte Costituzionale, che dovrà pronunciarsi sulla compatibilità dell’articolo 187 riformulato con i principi della Carta. Il focus sarà su temi come la ragionevolezza della presunzione di colpevolezza, il rispetto della dignità personale e il diritto alla difesa tecnica e scientifica

Gli effetti sul mondo del lavoro e sulla patente professionale

Quando la sanzione colpisce un soggetto titolare di patente professionale – come conducenti di autobus, mezzi pesanti o taxi – le conseguenze possono essere impattanti sul piano lavorativo. La sospensione della patente può tradursi nella perdita del posto di lavoro, nell’impossibilità di rinnovare contratti o nella revoca dell’idoneità professionale. In questi casi, l’elemento oggettivo della positività tossicologica, anche in assenza di alterazione, può produrre effetti sproporzionati e mettere in discussione il principio di equilibrio tra sicurezza pubblica e diritto al lavoro.

La differenza tra farmaci e droghe

Il caso ha evidenziato un altro nodo delicato: la distinzione tra uso illecito di droghe e assunzione di farmaci regolarmente prescritti, alcuni dei quali – come gli ansiolitici o i medicinali a base di cannabinoidi o oppiacei – contengono principi attivi rilevabili nei test tossicologici.

In questo contesto, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha precisato che la legge non intende penalizzare i pazienti in terapia farmacologica, purché non si verifichi un’effettiva alterazione delle funzioni cognitive e motorie. La norma punta a colpire l’assunzione consapevole di sostanze vietate, non la cura medica regolarmente documentata e monitorata.

Il nuovo quadro normativo, pur essendo più severo nei confronti di chi fa uso di droghe prima di mettersi alla guida, non cancella la necessità di un accertamento tecnico accurato, capace di distinguere tra assunzione recente e remota, tra effetto attivo e semplice residuo metabolico, tra consumo illecito e terapia autorizzata.

Guidare con presenza di sostanze stupefacenti attive nel sangue, anche in assenza di sintomi evidenti, può comportare la perdita della copertura assicurativa in caso di incidente. Molte polizze auto prevedono clausole che escludono l’indennizzo qualora venga accertato che il conducente si trovasse sotto l’effetto di droghe.

In pratica l’assicurato può essere chiamato a risarcire personalmente i danni provocati a cose o persone.

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277918 Guida e uso pregresso di stupefacenti, zona grigia normativa
9 cose da tenere sempre in auto, oggetti e accessori indispensabili https://www.virgilio.it/motori/info-utili/oggetti-da-tenere-in-auto/272558/ Thu, 08 May 2025 04:30:31 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=272558 L’auto rappresenta spesso un prolungamento della propria abitazione e, per alcuni, uno dei luoghi in cui si trascorre gran parte della giornata. Per questo motivo si tende a personalizzare l’abitacolo con accessori e oggetti utili, sia per migliorare il comfort sia per incrementare la sicurezza.

In Italia, il Codice della Strada impone all’automobilista di avere a bordo alcuni strumenti essenziali per le emergenze, come il triangolo di segnalazione, il giubbotto catarifrangente e i documenti del veicolo. Tuttavia, le necessità sulle strade sono cambiate nel tempo, rendendo indispensabili alcuni accessori aggiuntivi per evitare imprevisti e viaggiare in totale tranquillità.

Documenti auto e personali

La legge obbliga a portare sempre con sé i documenti personali e quelli della vettura, tra cui patente, DUC (o carta di circolazione) e certificato assicurativo. C’è da dire però che con il tempo il Codice della Strada e la tecnologia si sono aggiornati, il che permette al cittadino di poter conservare i propri documenti anche in modo digitale, sfruttando l’App IO per patente e codice fiscale. Il certificato assicurativo, invece, può essere conservato direttamente sul proprio telefono e mostrato all’occorrenza.

Resta consigliato tenere nell’abitacolo una copia cartacea del CID, il modulo da utilizzare in caso di incidente, che deve essere compilato in formato cartaceo e quindi necessita di rimanere sempre in macchina. Per il resto, carta di circolazione e telefono potrebbero bastare per la maggior parte delle esigenze burocratiche.

Cavo di ricarica per smartphone

Lo smartphone ormai svolge una funzione indispensabile sia dentro che fuori dall’auto: è in grado di dare indicazioni, presentare i nostri documenti alle autorità di vigilanza, fornire intrattenimento musicale, essere sempre in contatto e può essere usato anche come luce di emergenza (funzione torcia). Per queste e altre ragioni, assicurarsi di avere un cavo di ricarica in auto è essenziale, così da non trovarsi mai con la batteria scarica nei momenti di necessità. Meglio ancora se si dispone di un cavo multiporta con uscite USB-C, Lightning e micro-USB, così da poter caricare diversi dispositivi.

Cavi di avviamento per auto

Per quanto la batteria delle automobili sia generosa, alle volte tende a scaricarsi e, in caso di lunghi periodi di inutilizzo o semplicemente per colpa di disattenzioni (come lasciare le luci accese tutta la notte), la vettura potrebbe non ripartire. Non può mancare quindi all’interno di questa lista un set di cavi di avviamento per poter ricaricare la batteria con l’ausilio di un’altra auto. Avviare la macchina con i cavi è un procedimento semplice che si effettua in 5 passaggi.

Kit di gonfiaggio pneumatici

Rimanendo in ambito strumenti essenziali per le emergenze in auto, è essenziale un kit di riparazione pneumatici. Sempre più spesso, le auto moderne non dispongono della ruota di scorta e sono dotate di un kit di riparazione con schiumogeno sigillante e compressore. Questo permette di raggiungere il gommista più vicino in sicurezza.

Se invece si dispone di una ruota di scorta, è necessario avere un cric e una chiave per i bulloni. Non bisogna dimenticare inoltre di controllare di tanto in tanto la pressione della ruota di scorta, per evitare brutte sorprese in caso di emergenza.

Triangolo e giubbotto catarifrangente

Il Codice della Strada impone a ogni automobilista di avere a bordo un triangolo di segnalazione e un giubbotto catarifrangente, strumenti essenziali per garantire la sicurezza in caso di incidente o guasto. Il triangolo deve essere posizionato ad almeno 50 metri per essere visibile a 100 metri di distanza per segnalare la presenza del veicolo fermo, mentre il giubbotto rende il conducente visibile anche in condizioni di scarsa illuminazione, evitando pericoli su strada.

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Kit di emergenza auto

Non richiesto in Italia, ma obbligatorio in molti Paesi europei, il kit di emergenza auto contiene tutto il necessario per il primo soccorso. Può essere acquistato già confezionato, con data di scadenza, o assemblato personalmente.

Gli elementi essenziali da includere sono:

  • bende e cerotti;
  • ghiaccio istantaneo;
  • forbici;
  • salviette disinfettanti.

Un cambio di vestiti

Può capitare di sporcarsi durante un pranzo fuori, di uscire con un abbigliamento inadeguato rispetto alle condizioni meteo o di rimanere bagnati sotto la pioggia. Avere in auto un cambio di vestiti, come una maglietta, una felpa e un ombrello, potrebbe sembrale banale, ma può rivelarsi molto utile in diverse situazioni.

Fazzoletti

Un accessorio semplice ma indispensabile. I fazzoletti possono tornare utili per soffiarsi il naso in caso di raffreddore o allergia, per asciugare le mani dopo aver fatto rifornimento o per pulire velocemente superfici sporche, come il volante o il cruscotto. Inoltre, possono essere usati per piccoli versamenti di cibo o bevande, evitando di macchiare i sedili. Un pacchetto di fazzoletti, meglio se biodegradabili, è sempre una risorsa utile da avere a portata di mano.

Organizzatore per bagagliaio

Per evitare che gli oggetti si spostino all’interno del bagagliaio durante la guida, è consigliabile utilizzare un organizer. Si tratta di una scatola o un divisore, spesso dotato di velcro per aderire al rivestimento del bagagliaio, che permette di mantenere in ordine gli accessori o di bloccare gli oggetti che trasportiamo in modo sicuro.

Accessori auto fondamentali per l’inverno

Ogni stagione ha le sue necessità e, proprio per questo, dopo aver messo a rassegna gli accessori indispensabili durante tutto l’anno, veniamo a quelli selezionati durante la stagione più rigida: l’inverno.

Secondo il Codice della Strada, durante il periodo invernale in molte strade vige l’obbligo di pneumatici invernali o catene a bordo. La legge non parla invece del raschietto per il ghiaccio o dello spray sbrinante, due piccoli e banali accessori che possono semplificare la vita quando il clima è rigido e la visibilità in macchina è una priorità.

In inverno capita spesso che a inficiare la visibilità sia l’appannamento dei vetri, per colpa dello sbalzo termico che si crea tra l’interno e l’esterno dell’abitacolo, per quanto sia un problema facilmente risolvibile azionando l’aria condizionata, può essere utile dotarsi di uno spray anti appannante, specifico per limitare questa problematica.

Accessori auto fondamentali per l’estate

Quando l’estate bussa alle porte, mantenere la propria vettura fresca è una necessità sia di comfort che di salute. In queste situazioni è importante avere a disposizione sempre dell’acqua, per le necessità più disparate.

Un altro accessorio utile ma troppo spesso sottovalutato è il parasole per parabrezza: il suo utilizzo garantisce infatti di preservare la temperatura all’interno dell’abitacolo in modo più efficace, grazie alla riduzione dell’irraggiamento diretto.

Assicurarsi di avere tutto il necessario a bordo è un piccolo gesto che può fare una grande differenza quando meno ce lo aspettiamo.

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272558 Accessori fondamentali da avere in auto
Fa ricorso contro le multe, ma non ottiene risposte: sanzioni annullate https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/ricorso-multe-sanzioni-annullate/277623/ Tue, 06 May 2025 10:09:32 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277623 Quando vi ritrovate con una multa tra le mani non siete costretti subito a correre negli uffici preposti al pagamento. Lo sconto sulla cifra porta moltissimi cittadini a levarsi il pensiero senza una opportuna, in molti casi, contestazione. Possono essere svariati i motivi che portano un automobilista a richiedere giustizia. Può esserci un errore materiale sulla multa, una segnaletica non visibile o assente, o tante altre ragioni per impugnare un verbale. Aguzzando la vista potreste trovare un errore sull’indicazione della targa della vostra auto o una data non corrispondente. Si può chiedere l’annullamento anche se la multa è stata emessa per una violazione della segnaletica stradale e questa non era visibile o non conforme. Inoltre, la multa deve essere notificata entro 90 giorni dall’infrazione. Se questo termine non viene rispettato, si può procedere con la richiesta di annullamento.

Un uomo, a Bologna, aveva presentato dei ricorsi al Prefetto contro le sanzioni subite, ritenendole infondate. Non ha avuto alcun tipo di risposta entro i termini previsti dal Codice della Strada. Il cittadino aveva presentato domanda di annullamento in autotutela, sebbene il Comune pretendesse il pagamento dei verbali per alcune migliaia di euro. È così iniziata una battaglia legale. L’uomo, assistito dal suo avvocato, ha deciso di opporsi a tutte le ingiunzioni, risalenti al 2021 e al 2023.

L’annullamento del Giudice di Pace

Le sanzioni sono state annullate da due diversi Giudici di Pace, per il principio del silenzio assenso. Per evitare l’accoglimento della richiesta, il Prefetto avrebbe dovuto rispondere al ricorso contro le multe entro i termini di legge (210 giorni). In entrambi i casi è stata portata la prova documentale del ricorso, notificato via Pec al Prefetto non pervenuto. È bastata la mancata risposta per vincere il contenzioso.

Accolgo con soddisfazione queste due sentenze che confermano la fondatezza delle nostre ragioni e, mi permetto di dire, la qualità del lavoro svolto. Il Giudice di Pace – ha affermato ad ANSA l’avvocato difensore – ha correttamente riconosciuto l’efficacia del silenzio-assenso a seguito dell’inerzia del Prefetto, annullando due ingiunzioni che non avrebbero dovuto essere mai emesse. Resta però l’amarezza per un sistema che costringe i cittadini a rivolgersi al Giudice per ottenere ciò che l’Amministrazione avrebbe potuto e dovuto riconoscere in via di autotutela. È una distorsione che appesantisce inutilmente la macchina della giustizia e mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni“.

Dove presentare il ricorso

Quando avete preso in seria considerazione la possibilità di presentare un ricorso dovrete rivolgervi al Prefetto o al Giudice di Pace. La prima soluzione è quella più veloce ed è gratuita. Dovrete semplicemente spedire una raccomandata con ricevuta di ritorno alla Prefettura competente o presentarvi direttamente presso gli uffici. In alternativa, si può rimettere il ricorso presso l’ufficio della Polizia Municipale o Locale che ha assegnato il verbale. Il Prefetto emetterà Ordinanza entro il termine massimo di 210 giorni dalla data di presentazione del ricorso, oltre i tempi previsti per la notifica. Può essere presentato entro 30 giorni dalla data di notifica dell’atto impugnato.

Il ricorso formale al Giudice di Pace necessita di un contributo unificato, il cui importo varia in base alla sanzione contestata. Vi consigliamo questa strada in caso di situazioni complicate. Il Giudice esaminerà il caso in udienza e potrà decidere di annullare, ridurre o confermare la sanzione.

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277623 Ricorsi per multe senza risposta
Adesso i monopattini elettrici devono avere una targa o no https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/adesso-i-monopattini-elettrici-devono-avere-una-targa-o-no/277326/ Mon, 05 May 2025 04:30:08 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277326 Introdotti come mezzi alternativi per brevi spostamenti, i monopattini elettrici si sono diffusi tra le abitudini quotidiane di studenti, lavoratori e turisti. La loro agilità nel traffico, il costo contenuto e l’impatto ambientale nullo li hanno resi popolari tra chi cerca soluzioni agili e sostenibili.

Questa esplosione di popolarità ha portato anche a una serie di criticità, soprattutto in termini di sicurezza, regolamentazione e convivenza con gli altri utenti della strada. Il legislatore ha iniziato a introdurre nuove norme per disciplinare l’uso dei monopattini e renderlo più responsabile e sicuro per tutti.

La domanda chiave: serve la targa per i monopattini elettrici?

Tra i dubbi più ricorrenti in seguito alle modifiche legislative c’è quello relativo alla necessità di dotare i monopattini elettrici di una targa identificativa. A oggi la risposta è negativa: non esiste ancora un obbligo effettivo di targa, ma la situazione è in evoluzione.

Il legislatore ha già previsto una forma di identificazione obbligatoria che però non corrisponde alla classica targa metallica a cui siamo abituati per auto e moto. Il percorso normativo è tracciato, ma ancora incompleto. Di conseguenza è utile fare chiarezza su cosa è già in vigore e cosa deve ancora entrare effettivamente in funzione.

Il nuovo contrassegno previsto dalla legge

Con l’aggiornamento del Codice della Strada è stato introdotto l’obbligo per tutti i monopattini elettrici di essere dotati di un contrassegno identificativo adesivo. Questo adesivo sarà plastificato, resistente, non rimovibile e dovrà essere applicato in modo visibile sul corpo del veicolo. Il contrassegno conterrà un codice alfanumerico univoco, legato al mezzo e registrato in una banca dati gestita da un ente designato.

Lo scopo è di permettere alle forze dell’ordine di identificare immediatamente ogni monopattino in caso di controlli, infrazioni o incidenti. A differenza della targa tradizionale, questo sistema non richiede un processo di immatricolazione complesso e non comporta l’intervento diretto della Motorizzazione civile. La scelta dell’adesivo riflette la volontà di adottare un approccio leggero ma efficace, in grado di adattarsi alla natura flessibile del mezzo.

Entrano quindi in gioco l’adozione di strumenti digitali, la formazione degli operatori e l’integrazione delle banche dati nazionali.

L’attesa dei decreti attuativi

Nonostante la norma sia formalmente in vigore, l’obbligo del contrassegno non è ancora operativo, poiché il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti deve emanare i decreti attuativi che ne definiscano contenuti, tempi e modalità applicative. Si tratta di un passaggio senza il quale non è possibile rendere concreta la disposizione.

I decreti dovranno ad esempio chiarire come ottenere il contrassegno, attraverso quali canali (online o presso sportelli autorizzati), quali dati saranno necessari per la registrazione del veicolo e quale sarà il costo per i cittadini. Fino alla pubblicazione di questi testi regolamentari, nessun utente è obbligato a dotare il proprio monopattino di identificativo.

Con l’entrata in vigore del nuovo obbligo, emergerà il problema dei monopattini non conformi già in circolazione. Si porrà il dilemma di cosa fare con i veicoli che non possono essere adattati alle nuove regole per motivi tecnici o di sicurezza. Alcune proposte ipotizzano la concessione di un periodo di transizione o la possibilità di rottamazione incentivata, utile per rinnovare il parco mezzi e migliorare gli standard complessivi.

Le nuove regole sui monopattini vanno lette come parte di una strategia per rendere le città più sicure e inclusive. L’incremento della micromobilità sarà verosimilmente accompagnato da investimenti in piste ciclabili, segnaletica, illuminazione e zone 30.

Assicurazione obbligatoria, vincolo legato alla targa

Accanto al tema dell’identificativo, la riforma ha previsto anche l’introduzione di un obbligo assicurativo per i monopattini elettrici, simile a quello già vigente per gli altri veicoli a motore. La copertura riguarderà la responsabilità civile verso terzi in caso di danni o lesioni provocate a persone o cose.

Anche questo obbligo normativa già definito è sospeso fino alla piena attivazione del sistema di identificazione. La polizza sarà associata al veicolo, non al conducente. In pratica ogni monopattino dovrà essere assicurato singolarmente, a prescindere da chi lo utilizzi.

Oggi uno dei problemi principali è l’anonimato dei monopattini: in caso di infrazione o incidente, è spesso impossibile risalire al responsabile. Con il nuovo sistema, ogni mezzo avrà un’identità precisa, visibile e registrata e consentirà interventi più rapidi da parte delle autorità.

Si apre un mercato nuovo per le polizze, che richiederà formule flessibili, prezzi accessibili e modalità digitali di sottoscrizione. Le compagnie assicurativa saranno chiamate ad affrontare il tema del rischio, valutando correttamente i parametri di sicurezza legati all’uso urbano del mezzo.

Cosa cambia per i monopattini in sharing

Anche i veicoli gestiti dalle aziende di mobilità condivisa saranno coinvolti dalle nuove disposizioni. Le flotte di monopattini in sharing, già soggette a regolamentazioni comunali, dovranno adattarsi al nuovo sistema di identificazione e assicurazione. Ogni mezzo dovrà essere dotato di contrassegno, e la copertura assicurativa dovrà essere attiva e documentabile. Le società dovranno aggiornare i propri sistemi di gestione per integrare i nuovi obblighi e garantire ai propri utenti un servizio conforme alle leggi.

L’introduzione del contrassegno è anche un’opportunità per integrare i monopattini nei sistemi di smart mobility, tramite tecnologie come QR code, chip NFC e app dedicate. I produttori dovranno adeguare i propri modelli per permettere l’applicazione del codice identificativo e facilitare la registrazione dei mezzi.

Norme oggi in vigore per tutti gli utenti

In attesa dell’entrata in vigore delle nuove misure, restano in ogni caso validi gli obblighi già previsti per i monopattini elettrici. Ogni veicolo deve essere dotato di freni funzionanti su entrambe le ruote, luci anteriori e posteriori visibili nelle ore serali, catadiottri laterali, indicatori di direzione e frenata.

È vietato circolare sui marciapiedi, così come in contromano, e i limiti di velocità massima sono fissati a 20 km/h sulle strade urbane e a 6 km/h nelle aree pedonali. Il rispetto di queste regole è fondamentale per garantire la sicurezza e per evitare sanzioni, che possono variare da 100 a 400 euro a seconda dell’infrazione.

A livello europeo, diversi Paesi si stanno muovendo nella stessa direzione per una armonizzazione normativa. In Francia il contrassegno è già obbligatorio per i mezzi in sharing, mentre in Germania si richiede una targa assicurativa.

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277326 Micromobilità sotto controllo: i monopattini avranno una targa?
Dove devono circolare le biciclette in presenza di una pista ciclabile https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/biciclette-pista-ciclabile/277201/ Sun, 04 May 2025 04:30:30 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277201 L’aumento della sensibilità ambientale, la necessità di ridurre il traffico e l’interesse per stili di vita più sani hanno contribuito a rendere la bicicletta un’alternativa reale e strutturale ai mezzi di trasporto tradizionali. Le città italiane, andando in scia un trend già avviato in molte metropoli europee, hanno investito nella realizzazione di piste ciclabili, zone 30 e aree pedonali allargate per incentivare l’uso della bici per spostamenti quotidiani, anche casa-lavoro o casa-scuola.

La crescente presenza delle biciclette in strada solleva anche nuove domande sul piano giuridico e comportamentale. Una delle più frequenti riguarda la coesistenza tra le bici e le piste ciclabili: quando queste ultime sono presenti, il ciclista è obbligato a utilizzarle oppure può decidere autonomamente se farlo?

Il riferimento normativo, l’articolo 182 del Codice della Strada

Per rispondere a questo interrogativo occorre fare riferimento al Codice della Strada, in particolare al comma 9 dell’articolo 182. Prevede che i velocipedi, ovvero le biciclette, devono circolare sulle piste a loro riservate, laddove siano presenti.

La norma non lascia spazio a interpretazioni: l’obbligo è pieno se la pista ciclabile è segnalata e adatta alla circolazione. L’uso della pista non è opzionale, ma è un comportamento previsto dalla legge, il cui mancato rispetto può comportare conseguenze sanzionatorie. Gli obiettivi sono evitare promiscuità di traffico tra mezzi a motore e biciclette, ridurre il rischio di incidenti e promuovere una circolazione più sicura per tutti.

La presenza di bambini, anziani e persone con disabilità nelle aree urbane comporta la necessità di regolamentare il comportamento dei ciclisti, specie nei tratti promiscui. In questi casi, il diritto di precedenza cambia e il ciclista deve essere pronto a rallentare o fermarsi. Anche la pista ciclabile, in alcune configurazioni, può diventare un ambiente da condividere.

Perché la legge impone l’utilizzo delle piste ciclabili

L’obbligatorietà dell’uso delle piste ciclabili si inserisce in una logica di tutela del ciclista e di organizzazione dello spazio urbano. Separare i flussi di traffico consente di ridurre l’interazione diretta tra utenti deboli e veicoli a motore.

Le piste ciclabili offrono un tracciato protetto, in cui il ciclista può muoversi senza l’assillo della convivenza forzata con automobili e motociclette. L’obbligo è finalizzato a garantire condizioni migliori di sicurezza, fluidità e prevedibilità dei comportamenti su strada.

Le differenze tra piste ciclabili urbane ed extraurbane

Non tutte le piste ciclabili sono uguali. Quelle urbane sono pensate per il traffico quotidiano e si snodano tra marciapiedi, rotonde e attraversamenti pedonali. Le piste extraurbane collegano paesi e periferie, talvolta seguendo vecchi tracciati ferroviari o argini fluviali.

Il rispetto dell’obbligo varia anche in base alla pericolosità della strada adiacente: in contesto extraurbano, l’utilizzo della pista ciclabile è quasi sempre la scelta più sicura.

Quando l’obbligo decade, le eccezioni previste

Ci sono eccezioni che modulano l’applicazione del principio. L’obbligo decade in presenza di piste ciclabili promiscue ovvero condivise con i pedoni. In queste situazioni il ciclista può valutare se procedere su carreggiata, soprattutto se l’affollamento dei pedoni rende pericoloso o impraticabile l’utilizzo della pista.

Un altro caso riguarda le condizioni strutturali della pista: se è dissestata, invasa da ostacoli, scarsamente illuminata o non adeguatamente mantenuta, il ciclista ha facoltà di optare per la carreggiata. Anche l’assenza di segnaletica chiara rappresenta una possibile eccezione.

Il ruolo della segnaletica verticale

Affinché l’obbligo possa dirsi vigente, la pista ciclabile deve essere segnalata. La presenza del classico segnale circolare blu con simbolo di bicicletta indica l’obbligatorietà della pista mentre un segnale rettangolare è una semplice indicazione, senza obbligo.

Anche la presenza della pista fisica non è sufficiente se non accompagnata dalla segnaletica verticale. Il ciclista deve quindi prestare attenzione sia alla conformazione della strada sia alla cartellonistica che regola i comportamenti ammessi. La chiarezza della segnaletica è una responsabilità in capo agli enti locali, chiamati a garantire un’informazione visiva coerente e ben mantenuta.

In questo contesto la tecnologia sta contribuendo a migliorare la visibilità delle piste ciclabili attraverso luci Led integrate, pittogrammi intelligenti e sistemi di illuminazione crepuscolare. Questi strumenti aumentano la sicurezza dei ciclisti soprattutto nelle ore serali o in condizioni meteo avverse.

Sanzioni previste in caso di mancato rispetto delle regole

La legge prevede anche sanzioni in caso di violazione. Il mancato utilizzo della pista ciclabile, quando ne sussistono le condizioni normative, può comportare una multa, in genere di natura amministrativa. Le sanzioni, pur non elevate, hanno un valore simbolico e puntano a promuovere comportamenti corretti più che a colpire il cittadino.

Molti ciclisti, specie tra i più giovani o tra chi utilizza la bicicletta in modo saltuario, ignorano le disposizioni del Codice della Strada. La mancanza di formazione unita alla percezione della bici come mezzo libero da vincoli, porta a comportamenti improvvisati o inadeguati.

Attraversamento pedonale, il ciclista deve scendere dalla bici?

Una delle domande più frequenti tra i ciclisti urbani riguarda il comportamento da adottare in prossimità di un attraversamento pedonale: si può attraversare restando in sella oppure è obbligatorio scendere dalla bici? La risposta arriva dall’interpretazione del Codice della Strada, che distingue il pedone e il ciclista in marcia.

Secondo la normativa, il ciclista non ha diritto di precedenza sulle strisce pedonali se attraversa restando in sella, poiché in quel momento è equiparato a un veicolo e non a un pedone. Per ottenere la priorità, e dunque il rispetto delle regole da parte degli automobilisti, bisogna scendere dalla bicicletta e condurla a mano, comportandosi in tutto e per tutto come un normale passante.

Questa regola non è solo una questione formale: garantisce maggiore sicurezza, visibilità e rispetto delle dinamiche stradali. Chi attraversa pedalando rischia al contrario non solo di sorprendere i conducenti dei veicoli, ma anche di incorrere in sanzioni per mancato rispetto della disciplina dell’attraversamento.

Il valore della responsabilità condivisa tra utenti della strada

Il rispetto delle piste ciclabili è anche una questione di responsabilità collettiva. Quando i ciclisti rispettano le regole, danno un contributo alla convivenza urbana. Allo stesso modo, automobilisti e pedoni sono chiamati ad accettare la presenza delle biciclette come parte integrante della mobilità cittadina. La creazione di una cultura stradale condivisa richiede l’impegno di tutti: chi pedala, chi guida e chi cammina.

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277201 Piste ciclabili, cosa dice la legge sull’uso da parte dei ciclisti
Come preparare l’auto alla primavera: 5 controlli da non saltare https://www.virgilio.it/motori/info-utili/cura-auto-primavera/277310/ Sat, 03 May 2025 08:56:07 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277310 Dopo mesi passati tra pioggia, strade sporche e freddo pungente, è arrivata la primavera. L’inverno, si sa, tra sale, umidità e temperature rigide, lascia sempre qualche segno. E un colpo di spugna non basta a far risplendere la nostra auto. Gli esperti di carVertical danno cinque dritte semplici per riportarla in forma, e goderci così i primi raggi di sole senza imprevisti.

Lavaggio profondo

Sembra banale, e invece no. Nel corso della fredda stagione, la carrozzeria accumula impurità: sale, fango, sabbia e “famiglia” si infilano ovunque. Anche sotto. Il rischio di ignorarlo? Ruggine, corrosione, danni nascosti a freni, scarico e sospensioni. Quindi curare l’estetica è appena l’inizio. Un giro all’autolavaggio, meglio se touchless o fatto a mano con una buona microfibra, è d’obbligo. E se puoi, chiedi pure il lavaggio del sottoscocca: è lì che si nasconde il grosso dello sporco invernale. Investi un’ora adesso, risparmi centinaia di euro in futuro.

Una volta pulita, dai un’occhiata con attenzione: hai visto qualche puntino marrone sospetto? Se sì, agisci subito. La ruggine si espande e fa danni veri. Portala da un carrozziere onesto e toglila di mezzo prima di pentirtene in un secondo momento. E per impedirle di tornare, prendi due buone abitudini: lavaggi frequenti (almeno ogni due settimane) e, se ne hai la possibilità, tieni la vettura al coperto. Un rivestimento protettivo sulla vernice è la ciliegina sulla torta: piccolo investimento, grande scudo contro l’umidità.

La gente pensa alla carrozzeria, ma dimentica l’interno. Eppure, nei mesi freddi, l’umidità entra con le scarpe bagnate, i vestiti zuppi, la condensa sui vetri. Fate largo a muffa, odori strani e sedili che si rovinano. Passa l’aspirapolvere bene: tappetini, sedili, angoli dove si accumula di tutto. Per la pelle usa un balsamo apposito, per il cruscotto un detergente delicato. E se vuoi il massimo risultato, una spazzolina nei pulsanti e nelle fessure farà miracoli. L’abitacolo è pure più sano.

Tergi e pneumatici da monitorare

Le spazzole dei tergicristalli non sono eterne. Il gelo, la neve e il ghiaccio le induriscono, le spezzano, le rendono rumorose. E quando arriva la prima pioggia primaverile, ti accorgi di malfunzionamenti. Il consiglio è intuitivo: cambiale. Senza attrezzi, ci metti cinque minuti e ti cambia la vita (soprattutto se guidi spesso). In genere, vanno sostituite ogni 6-12 mesi. E la primavera è il momento perfetto per farlo.

Le gomme sono tutto, letteralmente. L’unico contatto tra l’auto e la strada. Se consumate, secche o danneggiate, la sicurezza ne risente. Verifica il battistrada, i fianchi, la pressione. Usi gomme stagionali? È ora di passare al set estivo. Ma occupatene una volta controllato che non siano troppo vecchie: anche se sembrano in forma, dopo 10 anni vanno cambiate. Sempre. E già che ci sei, fai bilanciare le ruote. Ti evita vibrazioni strane e aumenta la durata delle gomme. Inoltre, un set ben tenuto ti fa consumare meno carburante, e dunque risparmiare.

La primavera è l’occasione giusta per dare una sistemata alla tua macchina. Bastano cinque interventi semplici, che puoi fare in una mattinata libera o in un paio di tappe dal meccanico di fiducia. Meglio pensarci ora, che pentirtene poi.

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277310 Come far risplendere l'auto in primavera
Quando è consentito trasportare passeggeri su un monopattino elettrico https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/trasportare-passeggeri-monopattino-elettrico/277190/ Sat, 03 May 2025 04:30:46 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277190 La capillare diffusione dei monopattini elettrici sta cambiando il concetto di mobilità urbana. Rapidi, leggeri, intuitivi e poco ingombranti, questi veicoli si pongono come una soluzione per gli spostamenti quotidiani, soprattutto nelle aree metropolitane congestionate. Con l’aumento della loro presenza in strada il legislatore è intervenuto per definire cosa è consentito e cosa è invece una infrazione. Tra i dubbi che emergono c’è anche la questione relativa alla possibilità di trasportare passeggeri su un monopattino elettrico.

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277190 Due in monopattino? Cosa dice il Codice della Strada
Cosa significa auto ibrida e quante tipologie esistono https://www.virgilio.it/motori/info-utili/auto-ibrida-cosa-significa/276880/ Fri, 02 May 2025 05:00:58 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=276880 Negli ultimi anni, il mondo dell’automobile ha vissuto una trasformazione profonda, spinto dalla crescente attenzione verso l’ambiente, il risparmio energetico e l’innovazione tecnologica. In questo contesto, le auto ibride si sono imposte come una delle soluzioni più promettenti per conciliare la mobilità quotidiana con una maggiore sostenibilità. Ma cosa significa auto ibrida? Dietro questo termine si cela una tecnologia che combina due fonti di energia, solitamente un motore termico e uno elettrico, per ottimizzare consumi, ridurre le emissioni e offrire un’esperienza di guida più efficiente. Comprendere il funzionamento non è solo utile per chi sta valutando l’acquisto di un nuovo veicolo, ma è anche un passo fondamentale per chi vuole orientarsi in un futuro sempre più attento alla sostenibilità.

Tipologie di auto ibride

Di auto ibride ne esistono vari tipi, che si differenziano in base ad alcune caratteristiche come le dimensioni e la potenza del pacco batteria. È possibile distinguere:

Mild Hybrid (MHEV)

A livello tecnico, un sistema mild hybrid si fonda sull’integrazione di un motore elettrico di dimensioni contenute, spesso identificato come alternatore/generatore reversibile (BSG o ISG), il quale è collegato all’albero motore attraverso una cinghia. Questo motore elettrico svolge una duplice funzione, agendo sia come motorino di avviamento potenziato, sia come generatore. Quest’ultimo è tipicamente un motore sincrono a magneti permanenti, capace di erogare una potenza limitata, generalmente compresa tra i 10 e i 20 kW, e una coppia modesta.

La sua principale finalità non è la trazione autonoma del veicolo, bensì fornire assistenza al motore termico. L’energia necessaria è immagazzinata in una batteria di dimensioni ridotte, con una capacità usualmente tra 0.2 e 1 kWh e un voltaggio di 48V. Questa accumula l’energia recuperata durante le fasi di frenata e decelerazione, attraverso il processo di frenata rigenerativa, per poi essere successivamente rilasciata a supporto dell’endotermico nelle fasi di accelerazione. Ciò riduce il carico sul motore a combustione interna e il miglioramento dell’efficienza complessiva e delle emissioni.

Un convertitore DC-DC svolge un ruolo cruciale nella gestione del flusso di energia tra la batteria a voltaggio più elevato e il sistema elettrico standard a 12V del veicolo. Alcuni sistemi MHEV possono anche implementare una funzione di “veleggiamento”, durante la quale il motore termico si spegne temporaneamente quando il conducente rilascia il pedale dell’acceleratore, sfruttando l’inerzia del veicolo, con il sistema elettrico pronto a riavviare il motore termico in modo rapido e fluido quando necessario.

Full Hybrid (HEV)

Le auto full hybrid presentano un’architettura tecnica più complessa, caratterizzata dalla presenza di un motore elettrico più potente e di una batteria con una capacità maggiore rispetto ai sistemi mild hybrid. Questa configurazione avanzata consente al veicolo di operare per brevi tratti in modalità di trazione esclusivamente elettrica. I motori elettrici impiegati in questi sistemi sono più performanti, con potenze che tipicamente variano tra i 30 e i 100 kW o anche superiori, e sono spesso di tipo sincrono a magneti permanenti o a induzione.

A seconda della specifica configurazione del veicolo, possono essere presenti uno o più propulsori elettrici, con uno dedicato alla trazione e un altro che funge da generatore. La batteria ha una capacità maggiore rispetto alle precedenti, solitamente compresa tra 1 e 3 kWh, e utilizza tecnologie come il nichel-metallo idruro (NiMH) o gli ioni di litio. Questa maggiore capacità permette di immagazzinare una quantità di energia sufficiente per brevi periodi di guida in modalità puramente elettrica. Un generatore dedicato, collegato al motore termico, sfrutta la frenata rigenerativa.

La trasmissione di potenza in questi veicoli spesso avviene tramite trasmissioni a variazione continua (CVT) o sistemi epicicloidali, come il sistema Toyota Hybrid Synergy Drive, i quali permettono una gestione fluida ed efficiente della potenza erogata sia dal motore termico che da quello elettrico. Un elemento centrale è rappresentato dalla centralina di controllo ibrido (HCU), un’unità elettronica che gestisce in tempo reale l’interazione tra i motori, il processo di carica e scarica della batteria, e la distribuzione della coppia motrice alle ruote, con l’obiettivo primario di ottimizzare l’efficienza complessiva e le prestazioni del veicolo.

Plug-in Hybrid (PHEV)

Le auto plug-in hybrid rappresentano un’evoluzione ulteriore dell’ibridizzazione, integrando motori elettrici ancora più potenti e batterie con una capacità significativamente maggiore, che possono essere ricaricate anche attraverso una fonte di alimentazione esterna. I motori elettrici presenti in questi veicoli spesso superano in potenza quelli delle full hybrid, raggiungendo o superando anche gli 80-150 kW, consentendo una trazione elettrica più performante e con un’autonomia estesa.

Le batterie impiegate nelle PHEV hanno capacità variabili, che possono spaziare dagli 8 kWh fino a oltre 20 kWh, e utilizzano prevalentemente la tecnologia agli ioni di litio. Questa elevata capacità permette di percorrere distanze considerevoli in modalità completamente elettrica, spesso superando i 50-100 km con una singola carica. Un componente fondamentale è il sistema di ricarica integrato, che permette di ricaricare la batteria collegando l’auto a diverse fonti esterne, come una presa domestica standard, una wallbox o una colonnina di ricarica pubblica in corrente alternata (AC). Alcuni modelli avanzati possono supportare anche la ricarica rapida in corrente continua (DC), riducendo significativamente i tempi di ricarica.

La gestione termica della batteria riveste un’importanza cruciale, con sistemi sofisticati di raffreddamento e riscaldamento progettati per mantenere la stessa all’interno della sua temperatura operativa ottimale, garantendone così la durata e le prestazioni nel tempo. Le PHEV offrono tipicamente diverse modalità di guida selezionabili dal conducente, come la modalità solo elettrica, quella ibrida automatica, quella di mantenimento della carica della batteria o di ricarica della batteria tramite il motore termico. Queste modalità consentono di massimizzare l’efficienza del veicolo in base alle specifiche esigenze di guida e alle condizioni del momento.

Come funziona

Nello descrivere le varie tipologie, è stato già accennato il funzionamento di ognuna di esse. In generale, quindi, un’auto ibrida prevede sull’integrazione sinergica di almeno due fonti di energia. Un sofisticato sistema di controllo elettronico gestisce il flusso di potenza tra questi componenti in base alle condizioni di guida e alle richieste del conducente.
In fase di accelerazione e ripresa, il motore elettrico può fornire una spinta aggiuntiva al motore termico, migliorando le prestazioni e riducendo il consumo di carburante. In alcune situazioni, come a basse velocità o in fase di manovra (soprattutto nelle full e plug-in hybrid), l’auto può viaggiare utilizzando esclusivamente l’energia elettrica, con zero emissioni locali.
Durante la frenata e la decelerazione, il sistema ibrido ricarica le batterie. Invece di dissipare l’energia cinetica sotto forma di calore attraverso i freni tradizionali, il motore elettrico funziona come un generatore, convertendo l’energia del movimento in elettrica che viene immagazzinata nella batteria. Questo riduce anche l’usura dei freni.
Il sistema di gestione dell’energia monitora costantemente lo stato della batteria e le richieste di potenza, decidendo automaticamente quale motore utilizzare o se combinarli per ottenere la massima efficienza e le migliori prestazioni possibili. Nelle plug-in hybrid, la possibilità di ricaricare la batteria esternamente offre un ulteriore livello di flessibilità e la possibilità di effettuare la maggior parte dei tragitti quotidiani in modalità elettrica, con notevoli vantaggi in termini di costi di esercizio e impatto ambientale.

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276880 Cosa significa auto ibrida
È obbligatorio dotare un monopattino di luci anteriori e posteriori? Cosa dice la legge https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/monopattino-obbligo-luci-anteriori-posteriori/277156/ Fri, 02 May 2025 04:30:25 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277156 Alimentata dal bisogno di soluzioni smart per gli spostamenti quotidiani, la tendenza dei monopattini elettrici ha visto un’adozione crescente da parte dei cittadini, in particolare nei contesti metropolitani. Non è un caso che il legislatore è più volte intervenuto per regolarmente utilizzo e circolazione, anche in relazione all’utilizzo delle luci.

Un monopattino che circola senza luci, soprattutto di notte, è infatti percepito dagli automobilisti come un ostacolo improvviso e invisibile fino all’ultimo momento. L’assenza di segnali visivi anticipatori crea situazioni di panico e può causare brusche frenate, sorpassi azzardati o manovre d’emergenza. Le luci, oltre a rendere visibile il mezzo, aiutano anche a comunicare le intenzioni del conducente, come il cambio di direzione o la decelerazione.

Luci obbligatorie sui monopattini, cosa dice la legge

Con la normativa aggiornata, i monopattini elettrici devono essere obbligatoriamente dotati di una luce anteriore bianca o gialla fissa e di una luce posteriore rossa fissa. Questi dispositivi devono essere accesi durante le ore notturne e in caso di scarsa visibilità, per rendere il mezzo visibile agli altri utenti della strada.

La normativa impone anche la presenza di catadiottri rossi posteriori e catadiottri gialli laterali, dispositivi che aumentano la visibilità passiva del monopattino. Devono essere sempre funzionanti, inamovibili e ben visibili.

Giubbotti e bretelle retroriflettenti ad alta visibilità, in particolare tra il tramonto e l’alba o in condizioni meteorologiche avverse, aumentano quindi la sicurezza attiva.

Luci accese sempre, anche di giorno?

Sebbene la normativa preveda l’obbligo di accensione delle luci in caso di scarsa visibilità o nelle ore notturne, è diffusa l’indicazione di utilizzare le luci anche di giorno. In ambienti urbani caotici, caratterizzati da traffico intenso e movimenti improvvisi, la presenza di una luce bianca frontale e rossa posteriore migliora la percezione visiva del mezzo da parte degli altri utenti della strada.

Si tratta in fondo di una scelta di prudenza: l’accensione delle luci anche durante il giorno può fare la differenza in condizioni di controluce, pioggia o semplicemente in presenza di ombre proiettate da edifici o alberi.

Le luci anteriori vanno posizionate in modo da illuminare il percorso davanti al conducente senza abbagliare chi arriva in senso opposto, mentre quelle posteriori devono essere visibili anche da una distanza superiore ai 100 metri. L’utilizzo di luci a basso costo, spesso con autonomia ridotta o intensità luminosa insufficiente, espone a rischi e può non essere considerato conforme in caso di controllo stradale.

Normativa e obblighi per i modelli in commercio

Dal primo gennaio 2024 è vietata la vendita in Italia di monopattini privi delle dotazioni obbligatorie, luci comprese. Chi acquista o circola con un monopattino non conforme va incontro a una multa da 100 a 400 euro, e nei casi più gravi anche il sequestro del mezzo. Non sono più ammessi compromessi: oggi, la conformità tecnica è un requisito per la circolazione su strada.

L’assenza di luci su un mezzo veloce e silenzioso come il monopattino elettrico è uno dei fattori di rischio nelle ore notturne. Numerosi incidenti sono provocati dalla mancata percezione del mezzo da parte di automobilisti e motociclisti. La visibilità notturna è un elemento della sicurezza e le luci sono il primo strumento per evitarne la compromissione.

Requisiti tecnici per le luci di serie

Le luci devono essere fisse, non lampeggianti, e devono avere un’intensità luminosa adeguata a garantire la visibilità del monopattino da una distanza sufficiente. È vietato l’uso di luci decorative, a led intermittenti o di colori non previsti dalla normativa. Anche le piattaforme di sharing sono chiamate a rispettare queste regole per tutti i mezzi messi in circolazione.

A tal proposito, nel caso della modalità sharing, la responsabilità sull’uso delle luci è condivisa. Se il mezzo presenta luci non funzionanti, l’utente ha il dovere di segnalarlo tramite l’app prima di iniziare la corsa. Alcuni operatori hanno introdotto procedure automatiche di controllo funzionalità prima dell’attivazione, ma non solleva l’utente da eventuali responsabilità. In caso di controllo o incidente, anche il conducente può essere sanzionato per uso improprio del mezzo.

Luci intelligenti e sensori automatici

Alcuni modelli di ultima generazione sono dotati di luci intelligenti che si attivano in automatico al calare della luce ambientale grazie a sensori crepuscolari. Questa innovazione, già comune nel mondo delle automobili e delle biciclette elettriche, sta diventando uno standard emergente anche nei monopattini.

Le luci con attivazione automatica riducono il rischio di dimenticanze e aumentano la sicurezza in condizioni di luce variabile, come tunnel, sottopassaggi o giornate nuvolose. L’integrazione con app e sistemi di diagnostica permette anche di monitorare in tempo reale lo stato della batteria delle luci.

Responsabilità in caso di incidente senza luci

Se il conducente di un monopattino elettrico provoca un incidente circolando senza le luci obbligatorie, può essere considerato responsabile anche qualora abbia ragione dal punto di vista della dinamica. L’assenza delle luci può infatti essere vista come concausa del sinistro, con riduzione del risarcimento o, peggio ancora, richiesta di rivalsa da parte dell’assicurazione. La mancata visibilità può in buona sostanza invalidare qualsiasi argomentazione a favore del conducente.

Durante i controlli su strada, gli agenti della polizia municipale sono autorizzati a verificare la presenza e il corretto funzionamento delle luci anteriori e posteriori del monopattino. Se le luci sono spente durante le ore obbligatorie o risultano non funzionanti, può essere elevata una sanzione amministrativa immediata.

Confronto con altri Paesi europei

L’Italia si allinea ad altri Paesi europei nel richiedere dotazioni luminose obbligatorie. In Germania, ad esempio, l’assenza di luci comporta il divieto assoluto di utilizzo su strada. In Francia e in Spagna, l’obbligo è analogo a quello italiano, con sanzioni per chi non rispetta le norme. A livello continentale, la tendenza è verso una regolamentazione sempre più stretta.

A ogni modo, le stesse regole si applicano anche nel caso di acquisto di monopattini elettrici da siti o rivenditori esteri, attratti da prezzi competitivi o modelli non ancora disponibili sul mercato italiano.

Se un monopattino proveniente da un altro Paese non è dotato di luci conformi a quanto previsto dal Codice della Strada, il conducente rischia sanzioni e il sequestro amministrativo del mezzo. La responsabilità dell’adeguamento ricade interamente sull’acquirente.

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277156 Monopattini e dotazioni luminose: cosa prevede il Codice della Strada
Qual è il limite di tasso alcolemico per i guidatori standard https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/limite-tasso-alcolemico-guidatori/277042/ Thu, 01 May 2025 04:40:36 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277042 La legge sul tasso alcolemico consentito alla guida è molto chiara: per i guidatori standard, ovvero tutti coloro che non rientrano in categorie particolari come neopatentati, conducenti professionali o under 21, il limite massimo di concentrazione di alcol nel sangue è fissato a 0,5 grammi per litro. Il superamento di questa soglia espone il conducente a una violazione amministrativa.

Perché è stato fissato il limite di 0,5 g/l

La soglia dello 0,5 g/l è stata definita tenendo conto degli effetti che anche piccole quantità di alcol possono avere sulle capacità psicofisiche del conducente.

Dopo aver raggiunto questo livello nel sangue, si registra una riduzione della prontezza dei riflessi, un abbassamento della capacità di giudizio e un calo della percezione del rischio. Elementi che, se combinati, aumentano il pericolo di incidenti, anche in situazioni di guida semplici.

Il razionale scientifico dietro al limite

La fissazione di questo tetto non è frutto del caso né di una convenzione arbitraria, ma deriva da studi che evidenziano come già a partire da 0,2 g/l il cervello inizi a manifestare segni di rallentamento nei riflessi, alterazione del giudizio e riduzione della percezione del rischio.

A 0,5 g/l, questi effetti si amplificano, con una sensibile diminuzione della capacità di concentrazione, dell’equilibrio motorio e della coordinazione oculo-manuale. Si tratta di un livello a partire dal quale il soggetto non è più in grado di gestire un veicolo in condizioni di piena lucidità.

Le conseguenze sanzionatorie del superamento del limite

La normativa sul tasso alcolemico dei guidatori non si limita a stabilire un limite numerico, ma prevede una progressione sanzionatoria in base alla quantità di alcol rilevata nel sangue. Per chi viene trovato con un tasso alcolemico tra 0,5 e 0,8 g/l, la legge prevede una sanzione amministrativa piuttosto severa, che consiste in una multa pecuniaria, accompagnata dalla sospensione della patente.

Non appena si supera la soglia degli 0,8 g/l, tuttavia, la violazione diventa penale. Significa che il conducente può essere arrestato, oltre a dover pagare un’ammenda più salata e affrontare una sospensione più lunga del titolo di guida. Nel caso in cui il tasso alcolemico superi 1,5 g/l, le sanzioni si fanno ancora più gravi: è prevista la confisca del veicolo (se di proprietà del conducente) e una sospensione della patente che può arrivare fino a due anni.

In presenza di un incidente stradale, le pene si inaspriscono con il possibile raddoppio delle sanzioni previste e l’aggravante dell’omicidio stradale, introdotto nel nostro ordinamento nel 2016.

Chi ha limiti più rigidi, categorie speciali e tolleranza zero

La normativa distingue tra conducenti standard e categorie speciali. Per i neopatentati, ovvero coloro che hanno ottenuto la patente da meno di tre anni, il limite consentito è pari a zero. Lo stesso vale per i conducenti professionali, come autisti di autobus, camionisti e tassisti, e per coloro che non hanno ancora compiuto 21 anni. In questi casi, anche una minima presenza di alcol nel sangue può far scattare le sanzioni amministrative.

Uno degli aspetti meno discussi ma più pericolosi dell’assunzione di alcol riguarda il suo effetto sulla memoria a breve termine e sulla capacità di prendere decisioni in tempo reale. Un conducente sotto effetto dell’alcol tende a dimenticare regole basilari, come rispettare la precedenza, mantenere la distanza di sicurezza o verificare la presenza di pedoni sulle strisce. Questa diminuzione della consapevolezza situazionale, anche se temporanea, può risultare fatale.

Come viene misurato il tasso alcolemico

La misurazione del tasso alcolemico avviene attraverso uno l’etilometro che rileva la concentrazione di alcol nell’aria espirata e la trasforma in una stima del tasso nel sangue. Se il conducente rifiuta di sottoporsi al test, incorre in una sanzione penale, equivalente a quella prevista per il superamento della soglia massima.

In caso di contestazione, il test viene ripetuto a distanza di qualche minuto per ottenere una seconda misurazione, che garantisca l’attendibilità del rilevamento.

Perché l’alcol ha effetti diversi da persona a persona

È bene ricordare che l’assorbimento dell’alcol nel sangue non è uniforme per tutti. A parità di bevande consumate, il peso corporeo, il genere, la velocità del metabolismo e anche lo stato di salute influenzano il tasso alcolemico raggiunto.

Una birra da 33 cl può avere un effetto modesto su un uomo di corporatura robusta, ma risultare già sufficiente a far superare il limite a una donna minuta o a una persona a digiuno. Non esiste una quantità sicura universale, e affidarsi a stime empiriche o calcoli approssimativi è molto rischioso.

Le campagne di sensibilizzazione promosse dal Ministero dei Trasporti, dalla Polizia Stradale e dalle associazioni per la sicurezza hanno l’obiettivo di modificare l’approccio culturale nei confronti del binomio “alcol e guida”.

Spot televisivi, affissioni pubblicitarie e iniziative nei locali notturni cercano di trasmettere un messaggio semplice e diretto: mettersi alla guida in stato di ebbrezza significa mettere a rischio la propria vita e quella degli altri. La comunicazione gioca un ruolo centrale anche nella dissuasione dei comportamenti pericolosi, soprattutto tra i più giovani, una delle categorie più esposte a questo tipo di violazione.

Alcol e uso di farmaci, binomio pericoloso

Un elemento sottovalutato riguarda l’interazione tra alcol e farmaci. Molti principi attivi, anche comuni come ansiolitici, antidepressivi o antistaminici, possono avere effetti sedativi che si potenziano in presenza di alcol nel sangue. Questo mix, anche a dosi modeste, amplifica il rischio di perdita di controllo alla guida. Da qui l’importanza di leggere attentamente i fogli illustrativi e, in caso di dubbio, astenersi dal mettersi al volante dopo aver consumato bevande alcoliche.

Quando non si ha consapevolezza di aver bevuto troppo

Il consumo di alcol da parte del conducente di un’auto non è sempre consapevole. Può infatti capitare che in occasione di cene, feste o aperitivi, si tende a sottovalutare il contenuto alcolico di alcune bevande, soprattutto quelle zuccherate o diluite, che mascherano l’effetto inebriante. È in questi contesti che diventa importante la prevenzione attiva, attraverso l’adozione di comportamenti responsabili.

Se si prevede di guidare, è sempre consigliabile astenersi completamente dal bere, o delegare la guida a un amico sobrio. In alternativa, si può ricorrere a mezzi pubblici, taxi o servizi di ride sharing, facilmente accessibili nella maggior parte dei centri urbani.

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277042 Guidatori standard e alcol: dove si ferma la legge?
Qual è la velocità massima consentita ai monopattini elettrici https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/velocita-massima-monopattini-elettrici/277037/ Thu, 01 May 2025 04:30:23 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=277037 Leggeri, pratici e a impatto ambientale ridotto, i monopattini elettrici hanno conquistato le strade delle città italiane portando con sé una serie di interrogativi sulla loro regolamentazione. L’utilizzo ha infatti imposto al legislatore la necessità di definire norme chiare e uniformi sia per garantire la sicurezza degli utenti sia per tutelare pedoni e automobilisti che condividono lo spazio urbano. Al centro della normativa vigente c’è anche il tema della velocità massima consentita.

Velocità massima consentita, cosa dice la legge

Secondo quanto stabilito dal Codice della Strada, la velocità massima che un monopattino elettrico può raggiungere durante la circolazione è pari a 20 km/h. Questo limite è il valore massimo tollerato su strade urbane e sulle carreggiate dove la circolazione è consentita.

Nelle zone pedonali, dove la presenza di persone a piedi è prevalente e continua, la legge impone una riduzione della velocità: in questi contesti, i monopattini elettrici non possono superare i 6 km/h, una soglia che permette di equiparare la loro andatura a quella del passo umano.

Questo limite non è solo teorico o indicativo: ogni monopattino elettrico in commercio in Italia deve essere dotato di un dispositivo che limiti elettronicamente la velocità. Se questa limitazione è assente o manomessa, l’utilizzo del mezzo non è conforme alla normativa e comporta conseguenze legali.

Dopodiché l’obbligo di rispettare i limiti di velocità si estende anche ai modelli a noleggio, soggetti a controlli e in grado di garantire in automatico il rispetto delle soglie stabilite.

Dove è consentito circolare con il monopattino elettrico

Oltre alla questione della velocità è altrettanto utile comprendere dove è consentita la circolazione dei monopattini elettrici. La normativa in vigore stabilisce che questi mezzi possono transitare solo su strade urbane con limite di velocità non superiore a 50 km/h. È consentito l’utilizzo anche su piste ciclabili, ma solo in alcuni contesti regolamentati e per un periodo limitato: oggi l’accesso a queste corsie è stato ristretto con modifiche normative che puntano a privilegiare la sicurezza dei ciclisti.

Al contrario, è vietato l’uso su marciapiedi, strade extraurbane e carreggiate a scorrimento veloce, pena l’applicazione di sanzioni amministrative e, nei casi più gravi, la confisca del veicolo.

Velocità percepita e reale, quando 20 km/h sembrano tanti

Un errore comune è sottovalutare l’impatto della velocità percepita rispetto a quella reale. Su un monopattino elettrico, privo di carrozzeria o sospensioni, anche 15 o 20 km/h possono trasmettere una sensazione di alta velocità, soprattutto se si attraversano zone pedonali o si viaggia accanto ad automobili in movimento.

La stabilità ridotta, il diametro contenuto delle ruote e l’assenza di protezioni laterali amplificano la percezione del rischio. Per questo, molti utenti inesperti faticano a controllare il mezzo e compiono manovre pericolose o improvvise, spesso sottovalutando le conseguenze.

Il dibattito sulle limitazioni tra sicurezza e libertà di movimento

Non mancano le critiche alle limitazioni di velocità, soprattutto da parte di chi considera il monopattino un’alternativa agile all’auto per i piccoli spostamenti. C’è infatti chi sostiene che 20 km/h siano troppo restrittivi, in particolare in città dotate di infrastrutture moderne e spaziose, dove i rischi di collisione sono ridotti.

Altri ritengono invece che il limite dovrebbe essere ancora abbassato per proteggere i pedoni e ridurre gli incidenti. Si tratta evidentemente di una tensione irrisolta tra l’esigenza di libertà individuale e la necessità di garantire sicurezza collettiva, equilibrio difficile ma imprescindibile per il futuro della mobilità sostenibile.

Requisiti tecnici obbligatori per i mezzi

Le autorità hanno introdotto anche una serie di requisiti tecnici obbligatori per tutti i monopattini elettrici immessi sul mercato o già in circolazione. Tutti i mezzi devono essere dotati di freni su entrambe le ruote, indicatori luminosi di direzione, luce anteriore bianca e posteriore rossa, nonché di un segnalatore acustico funzionante. Senza questi elementi il mezzo non può essere utilizzato su strada.

Per quanto riguarda gli utenti è previsto l’obbligo del casco per i minorenni, ma molte amministrazioni comunali ne raccomandano l’uso anche per gli adulti, soprattutto in contesti trafficati o in presenza di pavimentazione irregolare. In aggiunta, durante le ore notturne o in condizioni di scarsa visibilità, il conducente è tenuto a indossare un giubbotto o bretelle retroriflettenti per aumentare la visibilità agli occhi degli altri utenti della strada.

Velocità e condizioni atmosferiche. quando è meglio rallentare

Anche se la legge consente fino a 20 km/h, esistono condizioni in cui sarebbe opportuno rallentare, indipendentemente dal limite imposto. La pioggia, ad esempio, riduce l’aderenza al suolo e rende più difficile frenare in sicurezza. In presenza di asfalto bagnato, foglie, sabbia o ghiaccio, la velocità va adeguata alla situazione, al pari di quanto accade con i veicoli a motore.

Un monopattino elettrico non è progettato per affrontare condizioni meteo avverse con la stessa sicurezza di un’auto o una moto, e forzare la velocità in questi contesti può trasformarsi in un grave pericolo per il conducente e per chi lo circonda.

Assicurazione e responsabilità civile

Un altro elemento sempre più discusso riguarda l’assicurazione dei monopattini elettrici. Secondo le ultime direttive in materia di micromobilità, devono essere coperti da una polizza di responsabilità civile verso terzi, almeno nei contesti di utilizzo pubblico per garantire una tutela effettiva nei confronti dei danni che possono derivare da incidenti, anche lievi, nei quali il conducente del monopattino risulta responsabile.

Velocità e rischio, gli incidenti legati ai monopattini elettrici

Il tema della velocità è strettamente connesso al problema degli incidenti stradali che coinvolgono i monopattini elettrici. Secondo i dati raccolti da vari osservatori sulla mobilità urbana, la maggior parte degli incidenti avviene a velocità superiori ai 15 km/h e in prossimità di incroci, strisce pedonali o marciapiedi.

In molti casi la velocità eccessiva ha impedito al conducente di frenare in tempo o di evitare un ostacolo improvviso. L’assenza di una protezione

Sanzioni previste per chi viola la normativa

Sul fronte delle sanzioni, la normativa prevede un ventaglio piuttosto ampio di multe per chi non rispetta le regole. La mancanza di dispositivi obbligatori, la circolazione su strade vietate o il superamento dei limiti di velocità comportano sanzioni amministrative che variano da 50 a 800 euro, a seconda della gravità dell’infrazione.

In alcuni casi, le forze dell’ordine possono procedere anche al fermo amministrativo del mezzo, oppure alla sua confisca, in particolare se vengono riscontrate manomissioni tecniche messe a punto a eludere le limitazioni imposte dal costruttore o dalla normativa in vigore.

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277037 Dove è consentito circolare con il monopattino elettrico
Segnali di precedenza: stop, incroci regolati e dare precedenza https://www.virgilio.it/motori/info-utili/patente/segnali-precedenza-significato-quiz/276987/ Wed, 30 Apr 2025 13:15:57 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=276987 I segnali di precedenza fanno parte della segnaletica stradale di prescrizione e regolano il diritto di passaggio tra veicoli in prossimità di incroci, confluenze, restringimenti o situazioni particolari di traffico. Sono fondamentali per garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione stradale.

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Quali sono i segnali di precedenza?

I principali segnali di precedenza che rientrano in questa categoria sono:

Dare precedenza

  • forma: triangolare con vertice in basso;
  • colore: bordo rosso e sfondo bianco;
  • significato: obbliga il conducente a dare la precedenza ai veicoli provenienti sia da destra che da sinistra;
  • dove si trova: in prossimità di incroci dove la strada attraversata ha priorità.

Stop (Fermarsi e dare precedenza)

  • forma: ottagonale;
  • colore: rosso con scritta bianca “STOP“;
  • significato: obbliga a fermarsi sempre e dare la precedenza, anche in assenza di altri veicoli;
  • dove si trova: in incroci con scarsa visibilità o elevato rischio.

Strada con diritto di precedenza

  • forma: rombo giallo con bordo bianco su pannello rettangolare;
  • significato: indica che la strada su cui si viaggia ha priorità agli incroci successivi;
  • dove si trova: all’inizio di strade principali o statali.

Fine del diritto di precedenza

  • forma: uguale al precedente, ma attraversato da una barra nera diagonale;
  • significato: indica che la strada non ha più diritto di precedenza nei successivi incroci;
  • dove si trova: in uscita da una strada prioritaria.

Precedenza nei sensi unici alternati

  • forma: rotonda;
  • colori: sfondo bianco con due frecce, una nera (grande, verso l’alto) e una rossa (piccola, verso il basso);
  • significato: dà precedenza al conducente che vede il segnale, rispetto ai veicoli in senso opposto;
  • dove si trova: in restringimenti stradali o ponti a una corsia.

Dare precedenza nei sensi unici alternati

  • forma: rotonda;
  • colori: sfondo bianco con due frecce, una rossa (grande, verso l’alto) e una nera (piccola, verso il basso);
  • significato: obbliga a dare precedenza ai veicoli che provengono in senso contrario;
  • dove si trova: negli stessi punti del precedente, ma nel senso opposto.

Intersezione con diritto di precedenza (a “T” o ad angolo)

  • forma: rettangolare con sfondo blu;
  • simboli: linee bianche che indicano la conformazione dell’incrocio, con la strada principale in grassetto;
  • significato: informa il conducente della presenza di un incrocio dove ha la precedenza;
  • dove si trova: prima di intersezioni, specialmente su strade secondarie o a basso traffico.

Come si riconoscono

I segnali di precedenza sono immediatamente riconoscibili grazie a:

  • forma e colore distintivi (es. triangolo per “dare precedenza”, ottagono per “stop”, rombo per “diritto di precedenza”);
  • simbologia coerente, che rappresenta visivamente la situazione stradale;
  • posizionamento strategico: vengono installati in prossimità di incroci, svincoli o restringimenti dove il flusso del traffico deve essere regolato.

Comprendere e rispettare i segnali di precedenza è essenziale per la sicurezza stradale. Ogni segnale indica un comportamento preciso, pensato per evitare incidenti e garantire un passaggio ordinato e sicuro tra veicoli. Che si tratti di fermarsi a uno “stop” o di sapere quando si ha la precedenza, ogni segnale è una guida chiara per una circolazione consapevole.

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276987 Segnali di precedenza: il quiz
Un tasto può rendere l’auto più longeva: di cosa si tratta https://www.virgilio.it/motori/info-utili/tasto-start-and-stop-longevita-auto/276702/ Mon, 28 Apr 2025 12:17:28 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=276702 Nascosto tra i tanti comandi delle nostre auto moderne, c’è un pulsante che potrebbe rivelarsi un vero e proprio alleato della longevità del motore. Un tasto che ogni automobilista dovrebbe imparare a premere, ma che in pochi conoscono o utilizzano davvero: quello dello Start & Stop. A lanciare l’allarme è Scotty Kilmer, meccanico americano con oltre 50 anni di esperienza e autore di migliaia di video divulgativi su YouTube.

Utilizzare correttamente l’auto significa sì seguire le buone pratiche – come una guida fluida, evitare sforzi inutili al motore e rispettare le scadenze dei tagliandi – ma anche conoscere alcuni piccoli trucchi che possono fare una grande differenza. Secondo Kilmer, uno dei momenti più critici per l’usura del motore è proprio l’avviamento.

Il consiglio del meccanico

La maggior parte dell’usura del motore si verifica all’avvio – spiega Kilmer – perché l’olio si deposita nella parte inferiore del motore e deve essere pompato fino alla parte superiore prima di iniziare a lubrificare adeguatamente tutte le componenti“. Ogni volta che l’auto viene spenta e riaccesa, questo processo si ripete, esponendo il motore a microdanni ripetuti nel tempo.

Il riferimento del meccanico è diretto – come dicevamo – a una funzione ormai comune sulla maggior parte dei veicoli moderni: il sistema Start & Stop. Questo meccanismo spegne automaticamente il motore quando l’auto si ferma, ad esempio al semaforo, per poi riavviarlo non appena si preme l’acceleratore. Un sistema pensato per ridurre i consumi di carburante e le emissioni di CO₂, ma che secondo molti esperti può avere un impatto negativo sulla durata del motore.

Disattivare questa funzione potrebbe aiutare l’auto

Ogni volta che spegni l’auto – avverte Kilmer – e poi la riaccendi, sottoponi il motore a uno stress aggiuntivo. È importante premere il pulsante giusto per disattivare questa funzione“. Il pulsante in questione è contrassegnato da una A” cerchiata, spesso situato vicino alla leva del cambio o sulla plancia centrale, che consente di disattivare manualmente il sistema Start & Stop.

Secondo Kilmer e altri tecnici del settore, scegliere di disattivare il sistema Start & Stop potrebbe significare consumare leggermente più carburante e, conseguentemente, inquinare un po’ di più. Tuttavia, questa piccola concessione all’ambiente potrebbe tradursi in una maggiore durata del motore e in una riduzione dei problemi meccanici a lungo termine.

Combattere contro l’etica

Una questione di priorità, dunque: salvaguardare l’ambiente o preservare il motore? La risposta, come spesso accade, dipende dalle esigenze personali e dal tipo di utilizzo che si fa dell’auto. C’è chi preferisce risparmiare carburante a ogni fermata e chi invece punta alla massima affidabilità del veicolo nel tempo.

Va inoltre ricordato che il sistema Start & Stop non sempre si attiva: se il motore è troppo freddo, se la batteria è scarica o se il climatizzatore richiede molta energia, il dispositivo può non funzionare. Nessun motivo di allarme, dunque, se occasionalmente il motore resta acceso anche a veicolo fermo. Anzi, a giudicare da fonti esperte, se ne può fare a meno senza troppi patemi, questo può addirittura garantire alla propria auto una durata maggiore nel corso del tempo. Ovviamente, la decisione spetta a chi si trova al posto di guida.

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276702 Tasto Start & Stop: utile la sua disattivazione
I monopattini possono entrare in tangenziale o è vietato https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/monopattini-in-tangenziale/276337/ Mon, 28 Apr 2025 04:30:20 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=276337 I monopattini elettrici si sono imposti come uno dei mezzi più pratici, leggeri ed ecologici per gli spostamenti brevi in città. Il loro successo è dovuto anche alla facilità d’uso e alla disponibilità di servizi in sharing. Al di là dell’apparente libertà, i monopattini sono soggetti a norme vincolanti, che stabiliscono dove e come possano circolare. Tra i limiti c’è il divieto assoluto di accesso a tangenziali, autostrade e strade extraurbane principali.

Strade consentite e strade vietate, cosa dice il Codice della Strada

Secondo il Codice della Strada aggiornato, i monopattini elettrici possono circolare solo sulle strade urbane, e solo laddove il limite massimo di velocità non superi i 50 chilometri orari. Significa che qualsiasi tratto stradale in cui il limite è superiore, come le tangenziali – anche se si trovano in ambito cittadino – è vietato ai monopattini.

La ragione di questa restrizione è chiara: si tratta di arterie ad alta velocità, progettate per la circolazione di veicoli motorizzati, dove l’incolumità del conducente di un monopattino è compromessa. In queste condizioni, il rischio di incidenti gravi è elevatissimo.

Il divieto si estende anche alle strade extraurbane principali

Il divieto riguarda non solo le tangenziali vere e proprie, ma anche le strade extraurbane principali, identificate dalla segnaletica con sfondo blu e numerazione bianca. Queste strade, anche se a doppia carreggiata e a scorrimento veloce, sono considerate inadatte alla circolazione di mezzi leggeri e privi di protezioni strutturali, come appunto i monopattini elettrici.

Anche i tratti urbani di autostrade o di raccordi tangenziali sono inclusi nel divieto, indipendentemente dalla loro configurazione tecnica o dalla presenza di piste ciclabili adiacenti.

Monopattini e segnaletica per interpretare i divieti stradali

Un aspetto ancora poco chiaro per molti utenti è la corretta interpretazione della segnaletica verticale in relazione alla circolazione dei monopattini elettrici. Il Codice della Strada non prevede cartelli dedicati solo a questi mezzi, motivo per cui il rispetto delle regole di circolazione richiede una certa competenza nella lettura della segnaletica generale.

Ad esempio, un cartello che vieta l’accesso ai veicoli a motore non si applica ai monopattini, mentre un divieto d’accesso generico, o un’indicazione di strada riservata al traffico veloce, ne impedisce la circolazione. Per evitare multe o comportamenti pericolosi, il conducente deve essere in grado di distinguere le categorie di strada ammesse e quelle vietate in base ai cartelli esposti.

Sanzioni previste per chi viola il divieto

Nel caso in cui un utente venga sorpreso a bordo di un monopattino elettrico in tangenziale o su una strada non consentita, il Codice della Strada prevede una sanzione amministrativa. L’ammontare della multa varia da 41 a 168 euro, a seconda della gravità e delle circostanze della violazione. In alcune situazioni, le autorità locali procedono anche con il fermo amministrativo del mezzo, soprattutto in caso di reiterazione dell’infrazione o se il comportamento è ritenuto pericoloso per la sicurezza pubblica.

Altri divieti fra marciapiedi, passaggi pedonali e zone non autorizzate

Oltre alle tangenziali e alle strade ad alto scorrimento, la normativa vieta anche la circolazione dei monopattini su marciapiedi, passaggi pedonali e in tutte le aree pedonali non autorizzate. Solo nei casi in cui i Comuni abbiano predisposto specifici percorsi ciclopedonali o autorizzazioni per determinate ZTL, è possibile derogare al divieto.

I linea generale, il principio è uno solo: il monopattino deve restare sulla carreggiata e rispettare le stesse regole valide per le biciclette, a meno che non sia diversamente specificato dalla segnaletica.

Anche i Comuni rivestono un ruolo chiave nel definire e gestire l’accessibilità dei monopattini all’interno del proprio territorio. La creazione di zone a traffico limitato, piste ciclabili e percorsi dedicati favorisce la mobilità sostenibile se accompagnata da una regolamentazione chiara e coerente con la normativa nazionale. Alcuni Comuni hanno adottato ordinanze troppo restrittive, altri troppo permissive, creando disomogeneità tra città vicine e confusione per gli utenti.

Le ultime modifiche legislative: velocità e dotazioni obbligatorie

La diffusione dei monopattini ha portato il legislatore italiano ad aggiornare la normativa con limiti di velocità, obblighi di illuminazione, dotazioni obbligatorie e limiti di età per la guida. Dal luglio 2022, ad esempio, è stato stabilito che la velocità massima consentita è di 20 km/h sulle strade urbane e 6 km/h nelle aree pedonali consentite. Ed è obbligatorio l’uso di indicatori luminosi anteriori e posteriori e del casco per i minori di 18 anni, oltre che la disponibilità di un freno su entrambe le ruote per i modelli immatricolati dal 2023 in poi.

Perché le tangenziali sono pericolose per i monopattini

Le cronache raccontano che sono molti gli utenti che sottovalutano l’importanza dei limiti e si avventurano in strade dove non è permesso circolare. In particolare, l’accesso alle tangenziali è tentato per abbreviare il tragitto casa-lavoro o per evitare traffico urbano. Oltre a essere vietato, questa azione espone l’utente a seri pericoli, perché i monopattini non dispongono di sistemi di protezione passiva, come airbag o scocca, né sono visibili come un’automobile o una moto.

La velocità media dei veicoli in tangenziale può superare anche i 90 km/h, rendendo ogni imprevisto potenzialmente fatale per chi si muove con un mezzo così fragile.

Altri obblighi fra visibilità, auricolari e condizioni meteo

Va poi ricordato che i monopattini non possono trasportare passeggeri, né essere utilizzati in condizioni meteo avverse o con visibilità ridotta, salvo che siano dotati di sistemi di illuminazione adeguati.

Anche l’uso del cellulare durante la guida è vietato, così come l’ascolto di musica tramite cuffiette o auricolari che riducono la percezione acustica dell’ambiente circostante. Ogni infrazione di questo tipo, se commessa in aree ad alta densità di traffico come una tangenziale, comporta conseguenze legali e sanitarie.

Controlli intensificati e geofencing nei servizi di sharing

Le amministrazioni locali, negli ultimi mesi, hanno intensificato i controlli sull’uso dei monopattini, sia in modalità privata sia in sharing. Alcuni Comuni hanno avviato campagne informative per sensibilizzare gli utenti sui limiti della mobilità elettrica leggera. Altri hanno inasprito le sanzioni o installato sistemi di videosorveglianza nei punti critici per monitorare gli accessi non autorizzati a strade vietate. Le stesse aziende di monopattini condivisi stanno adottando tecnologie di geofencing, che disattivano il mezzo automaticamente se entra in zone non autorizzate. Non tutti i servizi sono però ugualmente efficienti, e alcuni lasciano agli utenti la possibilità di forzare i limiti o spingersi in zone vietate.

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276337 Monopattini elettrici, attenzione: circolazione vietata in tangenziale e strade extraurbane
Quando serve l’immatricolazione per un monopattino https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/immatricolazione-monopattino/276284/ Sun, 27 Apr 2025 05:00:38 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=276284 Comodi, agili, silenziosi e, almeno in apparenza, privi di complicazioni burocratiche. Questa fase di libertà regolamentare per i monopattini elettrici ha in realtà mostrato alcune criticità, in particolare per quanto riguarda la sicurezza stradale e la tracciabilità dei veicoli.

Con la riforma del Codice della Strada entrata in vigore a dicembre 2024, il legislatore italiano ha introdotto una serie di nuove regole per colmare queste lacune, tra cui l’obbligo di identificazione del monopattino tramite un contrassegno adesivo, spesso chiamato impropriamente targa.

La nuova regolamentazione ha anche un impatto sul mercato dei monopattini elettrici che si sta rapidamente adattandosi. I produttori stanno già lavorando a modelli più avanzati, con predisposizione per contrassegno, assicurazione integrata e dispositivi elettronici di controllo.

I tempi di attuazione delle nuove regole non sono immediati. Il legislatore ha previsto un periodo transitorio durante il quale i produttori dovranno adeguare i modelli alle nuove specifiche e i cittadini avranno modo di regolarizzare la propria posizione.

Il concetto di targa e l’equivoco sull’immatricolazione

I monopattini devono essere immatricolati come accade per auto e moto? La risposta, tecnicamente parlando, è no. Non si tratta infatti di un’immatricolazione in senso stretto, bensì dell’obbligo di apporre sul mezzo un contrassegno identificativo non removibile, fornito dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.

Questo adesivo, da posizionare in modo visibile, serve a identificare univocamente ogni monopattino e a consentire alle forze dell’ordine di risalire al suo proprietario.

Un aspetto delicato emerso con l’introduzione del contrassegno obbligatorio riguarda la tutela della privacy dei proprietari. Anche se il contrassegno fa da “targa”, non contiene dati sensibili direttamente visibili. Il numero identificativo è associato a un registro informatizzato consultabile soltanto dalle autorità, per evitare abusi o usi impropri da parte di privati.

Verso la responsabilizzazione dell’utente

La scelta di introdurre un sistema di identificazione obbligatoria nasce dalla volontà di responsabilizzare i conducenti, ridurre gli episodi di guida spericolata e migliorare l’efficacia dei controlli. Se prima i monopattini potevano circolare in forma quasi anonima, oggi sono a tutti gli effetti assimilati, almeno dal punto di vista della tracciabilità, ad altri veicoli a motore.

L’impatto della riforma sarà anche sulla percezione pubblica dei monopattini. Da semplice passatempo o alternativa per brevi tragitti, stanno diventando mezzi di trasporto veri e propri, con ciò che ne consegue in termini di responsabilità civica.

Nel dibattito giuridico c’è chi ha sollevato perplessità sulla definizione normativa di immatricolazione per i monopattini. Secondo una parte della dottrina, l’obbligo del contrassegno non corrisponde all’immatricolazione in senso tecnico, ma crea comunque un effetto simile sotto il profilo della tracciabilità e dell’assoggettamento a obblighi amministrativi.

L’assicurazione è un dovere, non più una scelta

Oltre al contrassegno, i proprietari dei monopattini elettrici saranno tenuti a stipulare una polizza assicurativa di responsabilità civile. Questa novità, che ha suscitato inizialmente perplessità, viene però accolta con favore da molti esperti di mobilità urbana, poiché consente di coprire danni a cose o persone in caso di incidente. Si tratta di una misura già in vigore in molti paesi europei e che l’Italia ha deciso di adottare per uniformare le sue normative a quelle dell’Unione europea.

Le compagnie assicurative, dal canto loro, si stanno organizzando per offrire prodotti specifici per la micromobilità, con formule flessibili e premi proporzionati al rischio. Si tratta di un segmento nuovo e in rapida crescita, con potenziali sviluppi futuri anche sul fronte della responsabilità civile verso terzi, analogamente a quanto accade per motocicli e ciclomotori.

Requisiti tecnici sempre più stringenti

La targa e l’assicurazione non sono gli unici obblighi introdotti dalla riforma della normativa. I monopattini, per poter circolare, dovranno rispettare una serie di caratteristiche tecniche: indicatori di direzione luminosi, segnalatori di frenata, freni efficienti su entrambe le ruote, e limiti di velocità rigidi (massimo 20 km/h in carreggiata urbana, 6 km/h nelle aree pedonali). Questi vincoli sono pensati per garantire sicurezza attiva e passiva a tutti gli utenti della strada, ciclisti e pedoni inclusi.

Un’altra novità riguarda i giovani conducenti. È previsto che per condurre un monopattino elettrico sia necessario aver compiuto 14 anni e indossare sempre il casco protettivo, anche se si è maggiorenni.

Va sottolineato che le nuove disposizioni si inseriscono in un contesto più ampio di riforma della mobilità urbana sostenibile, dove i monopattini giocano un ruolo nel ridurre il traffico e abbattere le emissioni. Le regole non mirano a scoraggiare l’uso del mezzo, ma a promuoverne una diffusione più ordinata e compatibile con le esigenze di sicurezza e convivenza tra gli utenti della strada.

Spetta alle amministrazioni comunali definire le modalità di applicazione delle regole sul territorio, organizzare campagne informative e predisporre gli spazi dedicati alla sosta. Alcuni comuni hanno già avviato collaborazioni con aziende tecnologiche per installare colonnine intelligenti per il parcheggio dei monopattini, dotate di riconoscimento automatico del contrassegno.

Con l’aumento delle regole, si è posta anche l’attenzione sulla necessità di effettuare controlli periodici per garantire che luci, freni e altri dispositivi di sicurezza siano sempre in piena efficienza. Alcuni comuni italiani stanno valutando l’introduzione di check-up obbligatori, come già avviene per le biciclette a pedalata assistita.

Le sanzioni per chi non rispetta le regole

Chi circola con un monopattino non dotato del contrassegno identificativo richiesto dalla nuova normativa può essere soggetto a sanzioni che vanno da 100 a 400 euro, oltre al possibile sequestro del veicolo. In caso di mancanza di assicurazione, le multe possono arrivare fino a 850 euro, con la sospensione dalla guida dei mezzi elettrici fino a sei mesi.

I monopattini in sharing sono soggetti ad altri tipi di controlli, poiché le aziende che gestiscono il servizio sono tenute a garantire il rispetto delle normative. Anche per questi mezzi valgono comunque le regole generali su limiti di velocità, dotazioni obbligatorie e zone di sosta. Le autorità locali possono inoltre prevedere specifiche restrizioni d’uso.

Il controllo del rispetto delle nuove regole spetta alle forze dell’ordine locali, in primis la polizia municipale, ma anche ai carabinieri e alla polizia stradale per quanto riguarda le arterie principali. I controlli possono essere effettuati sia visivamente che tramite lettura elettronica del contrassegno. In caso di infrazioni scatta immediatamente la sanzione, anche senza fermo del conducente.

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276284 Tutto quello che devi sapere sull’obbligo di targa per i monopattini
Mini sospensione della patente, quando è possibile richiedere un permesso di guida https://www.virgilio.it/motori/info-utili/patente/mini-sospensione-patente-permesso-guida/276321/ Sun, 27 Apr 2025 04:30:46 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=276321 Quando si parla di sospensione della patente, l’immaginario comune la associa a un blocco totale della possibilità di guidare, ma ci sono in realtà situazioni in cui è possibile continuare a utilizzare l’auto in fasce orarie limitate e per motivazioni precise grazie a un meccanismo che il Codice della Strada contempla in forma residuale: la cosiddetta mini sospensione con rilascio di un permesso di guida orario.

Si tratta di una possibilità prevista dalla legge per mitigare gli effetti della sospensione quando il conducente si trovi in condizioni di oggettiva necessità legata a motivi di lavoro o assistenza familiare, e a patto che non siano state provocate lesioni a terzi o incidenti con conseguenze gravi.

Il riferimento normativo e i requisiti di base

Il riferimento normativo è contenuto all’articolo 218 del Codice della Strada che regola la sospensione della patente e introduce la facoltà di ottenere un permesso circoscritto se sussistono comprovate esigenze professionali o personali. In altre parole, chi si trova senza patente a causa di una sanzione amministrativa può tentare di evitare l’arresto completo della propria routine dimostrando che l’assenza della patente determinerebbe danni economici, l’impossibilità di continuare a lavorare o la mancata assistenza a persone fragili.

Quando non si può richiedere il permesso

Uno dei punti fermi previsti dalla normativa riguarda la natura della violazione che ha portato alla sospensione: il permesso orario non può essere richiesto se la patente è stata ritirata in seguito a un sinistro stradale con feriti, a una guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, né tantomeno se si è verificata una recidiva.

Al contrario, nei casi in cui la sospensione sia stata determinata da infrazioni come l’eccesso di velocità o il mancato rispetto della segnaletica, senza conseguenze per l’incolumità altrui, la legge consente al cittadino di avviare l’iter per la richiesta del permesso speciale.

Presentazione della domanda e tempi ristretti

La domanda deve essere presentata al Prefetto della provincia in cui è avvenuta l’infrazione, entro cinque giorni dalla data in cui è stata notificata la sospensione. Questo limite è tassativo: chi non rispetta le tempistiche perde la possibilità di accedere al beneficio.

La richiesta deve essere motivata con precisione e corredata da documentazione dettagliata, utile a dimostrare che l’utilizzo del veicolo è indispensabile per raggiungere il luogo di lavoro, per svolgere attività improrogabili o per prendersi cura di un familiare con disabilità grave ai sensi della Legge 104 del 1992.

Uno degli elementi più delicati dell’intera procedura è il momento in cui la Prefettura o il Comando di Polizia valuta la documentazione presentata dal richiedente. Non esiste un automatismo né una lista rigida di criteri: ogni caso viene analizzato individualmente, alla luce delle circostanze personali e del quadro normativo.

Il funzionario incaricato tiene conto della coerenza tra la richiesta e le prove fornite, ma anche della gravità dell’infrazione, della condotta pregressa del conducente e della possibilità di accogliere la domanda senza svuotare di significato la sanzione.

Cosa occorre dimostrare per ottenere il permesso

La semplice dichiarazione d’intenti non è sufficiente perché bisogna dimostrare l’impossibilità o estrema difficoltà nel raggiungere la sede lavorativa attraverso mezzi pubblici o soluzioni alternative. Anche per i caregiver, la richiesta è valutata solo in presenza di documentazione sanitaria aggiornata e della dichiarazione formale del ruolo di assistente familiare. Ogni elemento va valutato dal Comando o Prefettura che ha disposto il provvedimento di sospensione, a cui spetta l’ultima parola sull’accoglimento o il rigetto della domanda.

Nel caso in cui la motivazione della richiesta sia legata a esigenze lavorative, un ruolo centrale è ricoperto dal datore di lavoro, chiamato a fornire una dichiarazione ufficiale contenente l’orario di lavoro del dipendente, la sede dell’attività e l’impossibilità di svolgere la mansione da remoto o di modificare l’orario. Questa dichiarazione assume il valore di prova determinante: deve essere chiara, sottoscritta in modo formale e preferibilmente su carta intestata aziendale. In alcuni casi, le Prefetture possono contattare l’azienda per verificare la veridicità delle affermazioni, specie se sussistono dubbi sulla coerenza dei dati.

Come funziona il permesso di guida orario

In caso di esito positivo, il permesso orario autorizza la guida all’interno delle fasce orarie richieste, e sempre per il tempo necessario a coprire il tragitto di andata e ritorno dal lavoro o dall’abitazione della persona assistita. La legge stabilisce che non si possono superare le tre ore complessive al giorno, che possono essere suddivise in due tranche. Ad esempio al mattino e alla sera.

Qualsiasi uso improprio, come guidare al di fuori dell’orario stabilito o per scopi diversi da quelli dichiarati, comporta l’aggravamento della sanzione e la revoca definitiva della patente.

Conseguenze sul periodo complessivo della sospensione

L’ottenimento del permesso non abbrevia il periodo di sospensione, bensì lo prolunga. Il Codice della Strada stabilisce che la durata della sanzione si allunghi di un numero di giorni equivalente alle ore totali autorizzate alla guida, convertite in giorni.

In pratica, per ogni ora al giorno concessa in deroga, il periodo di sospensione viene aumentato, secondo un coefficiente di equivalenza che può portare l’automobilista a scontare un periodo più lungo rispetto alla sanzione iniziale, pur continuando a guidare.

Il principio di equilibrio tra sanzione e necessità

Questa dinamica nasce da un principio di equità giuridica: la sospensione deve avere la stessa efficacia per tutti, anche per chi ottiene una parziale autorizzazione alla guida. In questo modo si preserva la funzione punitiva e dissuasiva della sanzione senza impedire la continuità delle attività vitali e lavorative per le persone che dimostrano di non avere alternative praticabili.

Proprio per questo motivo, le autorità competenti esaminano ogni caso con attenzione ed evitano che il permesso venga percepito come una scorciatoia per eludere la legge.

Permesso orario, uno strumento eccezionale, non automatico

Nel contesto giuridico italiano, la concessione del permesso orario è un equilibrio tra il rigore normativo e le esigenze di umanità e proporzionalità. Le statistiche mostrano che, pur essendo previsto dalla legge, questo tipo di beneficio viene concesso con estrema cautela e solo quando le motivazioni sono precise, coerenti e sostenute da documenti inoppugnabili. Non si tratta di una prassi automatica o concessa con leggerezza, ma di una possibilità da esercitare in modo responsabile.

Controlli su strada e obbligo di esibizione

È utile ricordare che chi riceve l’autorizzazione alla guida per fasce orarie controllate resta comunque sottoposto a controlli stradali, e in caso di violazione delle condizioni imposte dal permesso può essere sanzionato con rinnovato rigore.

Per questo motivo è consigliabile tenere sempre a bordo copia del provvedimento prefettizio, così da esibirlo in caso di controlli da parte delle forze dell’ordine.

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276321 Permesso di guida in deroga:, chi può ottenerlo e con quali limiti
Può essere controllata la velocità delle auto dall’interno delle pattuglie? https://www.virgilio.it/motori/info-utili/codice-della-strada/controllo-velocita-auto-pattuglie/276294/ Sat, 26 Apr 2025 05:00:29 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=276294 In un’epoca in cui la sicurezza stradale è al centro delle politiche pubbliche, il controllo della velocità dei veicoli è uno degli strumenti per ridurre il numero di incidenti e tutelare l’incolumità degli utenti della strada. Ma può davvero la Polizia Stradale rilevare l’eccesso di velocità mentre è in movimento, all’interno di un’auto di pattuglia? La risposta è affermativa, ma solo secondo precise condizioni. La normativa disciplina le modalità d’uso di questi dispositivi mobili e impone regole affinché le multe siano legalmente valide.

Cos’è lo Scout Speed e come funziona

Tra i sistemi di controllo oggi utilizzati, uno dei più discussi e tecnologicamente avanzati è lo Scout Speed, un dispositivo installato all’interno delle auto di servizio che consente la rilevazione della velocità dei veicoli anche mentre il veicolo della Polizia è in marcia.

A differenza dei classici autovelox fissi o delle postazioni mobili su cavalletto, questi apparecchi possono operare in modalità dinamica per una flessibilità operativa senza precedenti.

Negli ultimi anni, la dotazione tecnologica delle forze dell’ordine ha reso più sofisticati e precisi gli strumenti per il controllo della circolazione stradale. L’introduzione di dispositivi mobili è solo una delle tappe di un processo che vede coinvolte anche telecamere con riconoscimento ottico dei caratteri, radar doppler e sistemi integrati con banche dati nazionali.

La sinergia tra hardware e software consente oggi agli agenti di effettuare controlli in tempo reale, verificando non solo la velocità ma anche la validità dell’assicurazione, della revisione e perfino la presenza di denunce di furto legate a un determinato veicolo.

Le aree più soggette a controllo dinamico

In genere i controlli dinamici sono effettuati in tratti di strada caratterizzati da criticità strutturali, quali carreggiate strette, mancanza di piazzole, curve pericolose o elevata incidenza di incidenti. Autostrade, superstrade, strade extraurbane principali e perfino alcuni tratti urbani ad alta percorrenza rientrano tra le zone dove le pattuglie utilizzano dispositivi mobili in movimento.

L’obiettivo non è tanto sanzionare a tappeto, quanto intervenire laddove le condizioni non consentano alternative più stabili. In questo senso, il controllo dinamico viene giustificato come misura eccezionale ma necessaria, funzionale a garantire prontezza operativa e copertura capillare del territorio.

Quando può essere utilizzato dalle pattuglie in movimento

La flessibilità non significa assenza di regole. Secondo quanto stabilito dal Codice della Strada, e in particolare dall’articolo 142, è ammesso il controllo della velocità da veicolo in movimento solo in casi eccezionali, ad esempio laddove non sia possibile installare un dispositivo fisso o predisporre una postazione mobile, come accade in tratti di strada pericolosi o privi di spazi di sosta. In questi casi, le pattuglie possono agire in autonomia grazie a strumenti mobili installati all’interno delle vetture.

Il loro utilizzo non è libero, ma subordinato all’autorizzazione del Prefetto, che deve emettere un decreto per ogni tratto di strada interessato, indicando motivazioni e limiti operativi.

Copertura, prestazioni e requisiti tecnici

La capacità dello Scout Speed e di strumenti simili non si limita alla rilevazione della velocità in linea retta: questi dispositivi possono infatti monitorare più corsie contemporaneamente, sia nella direzione di marcia della pattuglia sia in quella opposta. Riescono a rilevare velocità superiori ai 270 km/h, operando anche in condizioni di traffico intenso e con visibilità ridotta.

Il tutto nel pieno rispetto dei requisiti tecnici, tra cui la taratura periodica del dispositivo e l’omologazione da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Senza questi requisiti qualsiasi sanzione comminata rischia di essere annullata su ricorso.

Nel dettaglio, affinché i dati raccolti durante la rilevazione della velocità possano essere utilizzati come prova valida in sede di contestazione, è indispensabile che il dispositivo impiegato sia stato omologato e sottoposto a verifiche periodiche di taratura.

L’omologazione è competenza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che certifica la conformità tecnica del sistema alle normative italiane. La taratura è una procedura di controllo che assicura la precisione delle misurazioni e va eseguita con cadenza annuale da enti autorizzati.

L’obbligo di motivazione del decreto prefettizio

Il decreto prefettizio che autorizza l’uso di strumenti mobili o dinamici per il controllo della velocità delle auto non può in alcun caso essere un atto generico. Deve contenere una motivazione dettagliata e specificare perché in quel tratto di strada non è possibile installare un autovelox fisso o una postazione mobile.

In assenza, il provvedimento rischia di essere viziato e, di conseguenza, le sanzioni derivanti dal suo impiego annullate in sede giudiziaria. Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito l’importanza di una motivazione chiara, specifica e non stereotipata, come garanzia del principio di legalità dell’azione amministrativa.

Segnalazione preventiva, quando è obbligatoria

Un aspetto dibattuto riguarda l’obbligo di segnalazione preventiva. Per gli autovelox tradizionali la legge impone che il controllo della velocità sia annunciato da appositi cartelli ben visibili, posti a congrua distanza dalla postazione.

Nel caso di dispositivi mobili installati su veicoli in movimento, come lo Scout Speed, l’obbligo non sussiste poiché non si tratta di postazioni fisse. Ne è nato un dibattito tra chi ritiene questa prassi una forma di controllo non trasparente e chi la giudica necessaria per contrastare le infrazioni più gravi in tratti pericolosi.

Contestazione immediata o differita, cosa cambia per la multa

Un altro nodo che caratterizza il dibattito è quello della contestazione immediata della violazione. Il principio generale, sancito dal Codice della Strada, prevede che l’infrazione debba essere contestata al momento stesso in cui viene accertata.

La contestazione differita è ammessa quando, per ragioni oggettive di sicurezza o praticità, non sia possibile fermare il veicolo, come accade quando la pattuglia è in movimento o in caso di traffico intenso. In questi casi la multa può essere inviata al domicilio del proprietario del veicolo. Per essere valida la sanzione deve contenere tutti gli estremi normativi, tra cui la citazione del decreto prefettizio che autorizza l’uso dello strumento in modalità dinamica e la dichiarazione che l’infrazione non è stata contestata per motivi oggettivi.

Non mancano infine i casi in cui i verbali vengono impugnati davanti al Giudice di pace, soprattutto quando mancano indicazioni chiare sul tipo di apparecchiatura utilizzata, sulla taratura aggiornata o sul provvedimento autorizzativo.

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276294 Multe senza fermo, quando le pattuglie possono rilevare la velocità in movimento
Pulizia FAP diesel, cosa fare e quanto costa https://www.virgilio.it/motori/info-utili/manutenzione/pulizia-filtro-fap/275983/ Sat, 26 Apr 2025 04:30:44 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=275983 ll filtro antiparticolato (FAP o DPF) è un componente chiave nei moderni motori diesel, progettato per catturare le particelle inquinanti dai gas di scarico. Queste vengono poi eliminate attraverso un processo chiamato rigenerazione, una sorta di autopulizia gestita dalla centralina del veicolo. Tuttavia, quando questo meccanismo non è sufficiente, il filtro si intasa, rendendo necessari interventi specifici per ripristinarne l’efficienza.

Metodi di pulizia FAP

Quando il filtro antiparticolato segnala un intasamento, tipicamente attraverso l’accensione di spie dedicate sul cruscotto o evidenti cali di prestazioni del motore, esistono diverse strategie per ripristinarne la funzionalità. La scelta del metodo corretto dipende dal livello di ostruzione e dalle condizioni generali del componente. Si spazia dai processi automatici gestiti dal veicolo fino ad interventi professionali specifici.

Rigenerazione naturale o forzata

La rigenerazione è il meccanismo primario con cui il FAP si autopulisce, bruciando la fuliggine accumulata. Esistono due modalità principali:

  • automatica: avviene autonomamente durante la marcia quando i gas di scarico raggiungono temperature elevate (sopra 550°C), condizione tipica della guida extraurbana a regime sostenuto. La centralina può anche iniettare più gasolio per favorire l’aumento termico;
  • forzata: viene indotta in officina tramite strumento di diagnosi quando quella automatica fallisce. Il motore viene mantenuto a regimi elevati da fermo per completare il processo. È una soluzione per intasamenti moderati da fuliggine, ma non rimuove le ceneri (residui incombusti derivati dall’olio motore e dagli additivi).

Pulizia chimica senza smontaggio

L’uso di prodotti chimici mira a facilitare la rimozione dei depositi nel filtro senza doverlo smontare. Si possono usare:

  • additivi: liquidi da aggiungere al carburante con lo scopo di abbassare la temperatura di combustione della fuliggine o sciogliere parzialmente i depositi. La loro efficacia è generalmente limitata a casi lievi o come azione preventiva;
  • pulizia con detergenti senza smontaggio: utilizzata da molte officine tramite attrezzature specifiche che iniettano detergenti potenti direttamente nel FAP, solitamente attraverso l’alloggiamento di un sensore. Questo approccio può essere valido per intasamenti non critici, risultando più rapido ed economico dello smontaggio, ma potrebbe non essere risolutivo su accumuli consistenti di cenere.

Pulizia con smontaggio FAP

Per intasamenti gravi, accumulo significativo di ceneri o per una verifica completa del filtro, lo smontaggio è la via più efficace. Il componente viene trattato in centri specializzati con tecniche avanzate come il lavaggio idrodinamico (con acqua e detergenti specifici), la pulizia a ultrasuoni (per eliminare i depositi interni) o la rigenerazione termica (cottura in forni controllati). Questi metodi, eseguiti con macchinari professionali, hanno lo scopo di eseguire un ripristino ottimale del filtro.

Pulizia fai da te

Sono disponibili kit commerciali “fai da te”, spesso spray chimici. Sebbene l’approccio possa sembrare economico, presenta rischi significativi. Un’applicazione errata o l’uso di prodotti non idonei possono danneggiare gravemente la struttura ceramica del filtro antiparticolato, il suo rivestimento catalitico o i sensori collegati. L’efficacia è inoltre limitata e non paragonabile ai metodi professionali.

Necessità pulizia FAP, cause e sintomi

Il filtro antiparticolato (FAP o DPF) ha il compito di trattenere le particelle inquinanti presenti nei gas di scarico dei motori diesel. Queste particelle vengono poi eliminate tramite il processo di rigenerazione. Quando questo meccanismo, viene interrotto o ostacolato, si verifica l’intasamento che rende necessaria la pulizia forzata. Analizziamo le ragioni principali dietro questo problema e i segnali di un FAP intasato.

Cause di intasamento

Diversi fattori possono contribuire all’ostruzione prematura del filtro, quindi è bene utilizzare delle buone pratiche per mantenere pulito il FAP. Vediamo le cause più comuni da evitare:

  • stile di guida e percorsi: l’utilizzo frequente del veicolo su tragitti brevi e a basse velocità, tipico della guida urbana, impedisce al FAP di raggiungere le temperature necessarie per la rigenerazione automatica;
  • olio motore non conforme: l’impiego di lubrificanti non specifici (a basso contenuto di ceneri) causa un accumulo accelerato di ceneri incombuste all’interno del filtro;
  • malfunzionamenti del motore: problemi a componenti come la valvola EGR, gli iniettori, il turbocompressore o i sensori (pressione differenziale, temperatura) possono aumentare la produzione di fuliggine o impedire le rigenerazioni.

Sintomi di intasamento

Il veicolo solitamente manifesta l’intasamento del filtro antiparticolato attraverso segnali inequivocabili. Prestare attenzione a questi sintomi è fondamentale per prevenire problematiche più gravi:

  • accensione spie: sul quadro strumenti si illumina la spia dedicata al FAP (un simbolo stilizzato del filtro) o la spia generica di avaria motore;
  • calo prestazioni: il motore perde potenza in modo evidente, a volte attivando la modalità di protezione (recovery mode) con conseguente accensione della spia motore limitando giri e velocità massima;
  • aumento consumi carburante: la centralina tenta rigenerazioni più frequenti e il motore lavora sotto sforzo, incrementando il consumo di carburante;
  • rigenerazioni frequenti: si percepisce che il veicolo tenta spesso la rigenerazione (rumore diverso, ventola attiva, fumo allo scarico) senza successo o con frequenza anomala;
  • livello olio: aumento del livello olio motore più alto rispetto al normale o oltre il livello massimo a causa del combustibile non bruciato in fase di rigenerazione.

Conseguenze di un FAP trascurato

Ignorare i sintomi di un FAP intasato porta a conseguenze più serie e spesso costose. L’eccessiva contropressione allo scarico generata può danneggiare componenti delicati come la turbina o parti interne al motore. Mentre le mancate rigenerazioni, come accennato in precedenza, possono causare diluizione dell’olio motore con il gasolio, aumentando il livello e riducendo l’efficacia di lubrificazione dei componenti. Oltre a ciò, un filtro inefficiente impedisce il superamento della revisione periodica.

Costo del trattamento di pulizia

Affrontare questo problema comporta inevitabilmente una spesa, ma l’entità varia notevolmente in base alla soluzione adottata. La pulizia professionale rappresenta quasi sempre un’alternativa più economica rispetto alla sostituzione completa del FAP, sebbene quest’ultima sia talvolta l’unica opzione percorribile. Valutiamo le diverse possibilità.

Ciclo di pulizia

Il prezzo di un intervento di pulizia dipende dalla tecnologia utilizzata e dalla complessità del lavoro. Ecco una stima indicativa:

  • additivi specifici: il costo è abbastanza contenuto, generalmente varia tra i 15 e 35 euro per gli additivi da immettere nel serbatoio, ma l’efficacia come detto è limitata a prevenzione o casi molto lievi;
  • rigenerazione forzata: eseguita in officina con strumento diagnostico, ha un costo che varia solitamente tra 50 e 200 euro;
  • pulizia professionale senza smontaggio: detergenti specifici utilizzati con il fai da te variano da 40 a 130 euro, mentre con attrezzature dedicate può costare indicativamente tra 150 e 350 euro;
  • pulizia con smontaggio: rappresenta l’intervento più approfondito e ha un costo variabile tra 250 e oltre 800 euro circa, a seconda della tecnica utilizzata (lavaggio, ultrasuoni, termica) e del tempo di manodopera necessario per smontare e rimontare il filtro sul veicolo specifico.

Intervento di sostituzione

La sostituzione del filtro antiparticolato è più onerosa rispetto a un ciclo di pulizia. Un FAP nuovo originale può avere un prezzo che parte da circa 800 euro e supera facilmente i 2000-2500 euro per alcuni modelli di auto. Esiste un’alternativa valida ed economica rappresentata da filtri antiparticolato rigenerati (puliti professionalmente) o revisionati (sostituita la parte filtrante interna), spesso con garanzia, offerti a un prezzo inferiore (generalmente -30/50% rispetto al nuovo).

Pulirlo o sostituirlo: cosa fare

La decisione tra pulizia e sostituzione dipende principalmente dallo stato del filtro. Se non presenta danni strutturali (crepe nella parte ceramica o fusioni) e l’intasamento è dovuto principalmente a fuliggine e ceneri accumulate, la pulizia professionale è la scelta più conveniente ed efficace. Se invece il filtro è danneggiato, ha percorso un chilometraggio molto elevato (indicativamente oltre 180-200 mila km) o se la pulizia non offre garanzie di durata, la sostituzione diventa la soluzione più indicata.

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275983 Pulizia FAP, spia filtro antiparticolato sul cruscotto
È possibile fare ricorso contro la mini sospensione della patente? https://www.virgilio.it/motori/info-utili/patente/ricorso-mini-sospensione-patente/276276/ Fri, 25 Apr 2025 05:30:55 +0000 https://www.virgilio.it/motori/?p=276276 Quando si parla di mini sospensione della patente, ci si riferisce a una misura di carattere amministrativo introdotta per sanzionare condotte considerate pericolose ma non estreme. La sospensione temporanea viene applicata per infrazioni come l’utilizzo del cellulare alla guida o il mancato rispetto di alcune norme fondamentali del Codice della Strada.

La sua durata ridotta rafforza il concetto di deterrenza senza arrivare alle sanzioni più pesanti previste nei casi gravi di guida in stato di ebbrezza o di eccesso di velocità estremo. Si tratta, nelle intenzioni, di uno strumento che serve a scoraggiare comportamenti recidivi e pericolosi senza privare il conducente per troppo tempo della possibilità di usare il mezzo.

Le regole per presentare un ricorso

Il Codice della Strada, all’articolo 204-bis, prevede la possibilità di proporre ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria contro il provvedimento di sospensione della patente. L’automobilista può rivolgersi al Giudice di pace territorialmente competente ovvero quello della zona in cui è stata commessa la violazione.

Il procedimento dinanzi al Giudice di Pace non è solo un esame di documenti. Il giudice dispone un’istruttoria vera e propria con audizione di testimoni, richieste di chiarimenti alla Polizia Stradale e talvolta perfino sopralluoghi. La presenza fisica del ricorrente o del suo avvocato può influenzare l’esito del ricorso.

Il ricorso deve essere depositato entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento. Per farlo bisogna allegare alla richiesta tutta la documentazione utile per sostenere la propria tesi, come copie dei verbali, relazioni tecniche, eventuali testimoni e certificazioni che attestino un pregiudizio personale o lavorativo causato dalla sospensione.

Oggi molti ricorsi si basano su dati digitali, come immagini di dash cam, tracciati GPS o estratti di geolocalizzazione forniti da app di navigazione. Questi strumenti, se ammessi come prova, possono dimostrare incongruenze nelle versioni ufficiali, come il mancato utilizzo del cellulare nel momento sanzionato o un rallentamento già in atto al momento della rilevazione.

Alternative al giudice, il ricorso al Prefetto

Accanto alla via giudiziale, l’automobilista ha la possibilità di presentare ricorso anche in via amministrativa, davanti al Prefetto. In questo caso il termine per l’impugnazione si allunga a 60 giorni dalla data di notifica dell’atto. Anche questa via non comporta la sospensione degli effetti del provvedimento, a meno che il Prefetto non decida espressamente in tal senso, cosa che nella prassi avviene raramente.

La sospensione resta in vigore anche durante il ricorso

Il dubbio successivo non può che essere riferito alla possibilità di sospensione degli effetti del provvedimento. In seguito alla presentazione del ricorso. La risposta è negativa. Il legislatore ha stabilito che il semplice atto di presentare ricorso non blocca l’efficacia della sospensione.

In pratica fino a quando non sarà emessa una sentenza favorevole da parte del giudice, la patente resterà sospesa e chiunque venga sorpreso alla guida rischia nuove sanzioni, comprese quelle penali per guida con patente sospesa.

Richiesta di sospensiva, lo strumento eccezionale

Nel quadro normativo attuale è però ammessa, a discrezione del giudice, la possibilità di chiedere una sospensiva temporanea dell’ordinanza. Avviene in casi particolari in cui si possa dimostrare che il danno derivante dall’esecuzione della sospensione sarebbe sproporzionato e irreparabile.

Si pensi ad esempio a un lavoratore autonomo che utilizza il veicolo per l’unica fonte di reddito della famiglia. Valutando i motivi addotti, il giudice può sospendere temporaneamente gli effetti dell’atto fino all’esito del ricorso. Ma si tratta comunque di un’eccezione e non della regola.

Le probabilità di successo

In termini concreti, le probabilità che un ricorso venga accolto dipendono dalla solidità degli argomenti presentati e dalla regolarità formale del verbale di accertamento. Se ad esempio emerge che il verbale non è stato redatto correttamente, che mancano dati essenziali o che il conducente non è stato messo nella condizione di esercitare i suoi diritti di difesa, allora il giudice può annullare l’ordinanza. Ma quando le prove a carico sono evidenti e il comportamento del conducente risulta oggettivamente pericoloso, le possibilità di accoglimento si riducono.

Va poi sfatato un mito diffuso: non è possibile proporre un ricorso collettivo contro sospensioni simili per più persone coinvolte in un controllo stradale. Il ricorso è sempre e soltanto individuale, poiché le circostanze, le giustificazioni e le prove variano da persona a persona. Ogni automobilista deve quindi preparare la propria difesa su misura, eventualmente coordinandosi con altri per le spese legali, ma senza poter accedere a una procedura unica.

La giurisprudenza più recente

Negli ultimi anni, la giurisprudenza ha oscillato tra orientamenti più severi e interpretazioni leggermente più tolleranti. Alcuni Giudici di pace hanno ritenuto che in casi particolari la mini sospensione fosse sproporzionata rispetto all’infrazione, soprattutto se la violazione è stata commessa per motivi di urgenza documentata. Nella maggior parte dei casi, le corti confermano la legittimità della sospensione, riconoscendo l’interesse pubblico alla sicurezza stradale come prevalente.

Nel sistema sanzionatorio previsto dal Codice della Strada, il principio della proporzionalità gioca un ruolo fondamentale. Ogni sanzione, compresa la mini sospensione, dovrebbe essere coerente con la gravità dell’infrazione commessa. Nei ricorsi presentati, uno degli argomenti più utilizzati dalla difesa è proprio l’eccessiva severità della sospensione rispetto alla condotta. Ad esempio, se un conducente ha usato il cellulare per pochi secondi in un contesto di traffico nullo o a veicolo fermo, si potrebbe invocare l’irragionevolezza della sanzione accessoria. La giurisprudenza, pur valutando caso per caso, tende a mantenere una linea rigida proprio per il valore deterrente della norma.

Le conseguenze della sospensione

Oltre all’immediata impossibilità di guidare, la mini sospensione ha anche altre ricadute. In alcuni casi può comportare conseguenze su rapporti lavorativi, polizze assicurative e perfino sull’autonomia dell’automobilista coinvolto. Alcune compagnie aumentano il premio assicurativo per gli anni successivi in caso di sospensione della patente. Per i conducenti professionali anche una breve sospensione significa la perdita temporanea (o permanente) dell’incarico.

Cosa cambia tra mini sospensione e sospensione ordinaria

È bene distinguere la mini sospensione, che è una misura straordinaria e recente, dalla sospensione ordinaria della patente prevista per reati gravi come guida in stato di ebbrezza o eccesso di velocità oltre i 60 km/h. Mentre la prima ha finalità preventive e dura poco, la seconda è spesso accompagnata da sanzioni penali e amministrative più severe, e può essere di durata molto superiore.

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276276 Ricorso contro la mini sospensione: quando è possibile e cosa sapere